Economia

La chimica “verde” conviene a tutti

L’industria chimica è chiamata a virare su materie prime vegetali e tecniche di produzione sostenibili, per un progressivo abbandono dei derivati del petrolio. Già oggi la domanda del mercato e il risparmio sui costi di produzione rendono conveniente la chimica verde.

La chimica e l’industria, applicate alla produzione di beni, materiali e derrate alimentari, sono due dei principali motori che hanno accelerato lo sviluppo umano dalla metà dell’800 in poi. Purtroppo, come sappiamo, i loro progressi hanno comportato pesanti effetti collaterali sull’ambiente e la salute umana. Ora però la tecnologia e le scoperte scientifiche permettono di parlare di una chimica che può essere definita “verde”, e di imprese che possono produrre in modo “sostenibile”.  Il prossimo 26 febbraio, il CNR terrà a Milano un importante convegno sul tema. Il titolo è eloquente: “L’industria chimica italiana abbraccia la chimica verde”. Di questo settore fondamentale per la transizione verso un’economia pienamente sostenibile parliamo con Nicoletta Ravasio, primo ricercatore dell’Istituto di scienze e tecnologie chimiche “Giulio Natta” del CNR di Milano.

“Chimica” è una parola che ha una brutta nomea, in questo periodo in cui si ricerca l’assoluta sostenibilità. Esiste però anche una chimica verde di cui in Italia si sta parlando. Qual è la definizione di chimica verde?

La chimica verde è appunto la chimica sostenibile, ovvero la chimica che migliora i processi produttivi attuali. Se pensa che per produrre la molecola che compone un farmaco ci vogliono di solito sette o otto passaggi, già ridurre il numero di passaggi, e quindi il numero di scarti, oppure ridurre la richiesta energetica di questi passaggi pur mantenendo la chimica “tradizionale”, è già chimica “verde”.  oppure Ci sono diverse soluzioni: ad esempio adottare nuove metodologie come la chimica “a influsso”. O ancora, come sarà illustrato nell’evento di Milano del 26 febbraio, con “verde” ci si riferisce anche alla chimica che parte dalle materie prime di origine vegetale, sostituendo quindi il petrolio e i suoi derivati.

Quali sono gli scopi dichiarati? Quali le applicazioni fattibili e immaginabili in questo momento?

Innanzitutto, come dicevo, migliorare tutte le sintesi che sono attualmente presenti nell’industria chimica. Oppure si possono immaginare diversi percorsi produttivi, quindi diversi prodotti, che appunto hanno origine da materie prime vegetali. Per esempio i carburanti diesel derivati da oli vegetali; i lubrificanti, sempre derivati da oli vegetali; oppure i detersivi; i prodotti cosmetici estratti da sostanze naturali; anche bioplastiche e compositi con una parte derivante anche da materia prima vegetale. Quindi tantissimi (per non dire tutti) prodotti e materiali attualmente uso, possono avere origine vegetale

Il titolo dell’evento è “L’industria chimica italiana abbraccia la chimica verde”. Qui vvengono tirate in ballo l’imprenditoria e le aziende, oltre al mondo della ricerca di cui lei fa parte. Quanta parte delle aziende italiane già si dedica alla chimica sostenibile?

Sempre di più. Innanzitutto l’esigenza di una chimica più sostenibile viene naturalmente dall’opinione pubblica che richiede sia processi meno inquinanti, sia prodotti più sostenibili; perché ormai all’opinione pubblica sono noti i vantaggi e l’effetto positivo dell’utilizzo di questi bio materiali e bio prodotti, sia sull’ambiente che ci circonda, sia sulla salute pubblica. Quindi c’è una richiesta sempre crescente in Europa di bio materiali e bio prodotti. Inoltre per le aziende c’è anche un vantaggio sia d’immagine, sia economico. D’immagine perché, appunto, si pongono sul mercato con nuovi prodotti e nuovi materiali più sostenibili. Naturalmente c’è anche un vantaggio economico nel momento in cui riescono a fare lo stesso prodotto spendendo meno energia o inquinando di meno, e quindi spendendo meno nel trattamento delle acque reflue o degli inquinanti gassosi. Perciò la gran parte dell’industria chimica, italiana e non, si rivolge sempre di più a questa chimica verde.

Che posto occupa l’Italia nel mondo? Siamo all’avanguardia in questo settore?

Direi di sì. Abbiamo degli attori di tutto rilievo a livello internazionale; come la Novamont, per esempio, che produce i sacchetti di plastica biodegradabile. Siamo molto avanti nei lubrificanti, e in molti prodotti e materiali la chimica verde italiana si posiziona molto bene.

È ipotizzabile che la chimica sostenibile sostituisca del tutto quella dei materiali non rinnovabili?

Con un po’ di buona volontà, e con l’aiuto delle normative europee o internazionali su come ottenere i prodotti, secondo me è ipotizzabile. Naturalmente in un futuro non vicinissimo.

La divisione del CNR di cui lei fa parte ha già ora in atto dei progetti che sfruttano le possibilità della chimica verde. Per esempio il progetto CiRCo che ricicla i residui della tostatura del caffè.

È un progetto di economia circolare. Un modello economico nel quale lo scarto di una produzione non viene buttato via o smaltito, ma riutilizzato ed eventualmente valorizzato. C’è una pellicina che si stacca dal chicco durante la tostatura del caffè e va rimossa immediatamente, perché si incendia facilmente. Quindi, il più delle volte, viene aspirata nella camera di tostatura, allontanata, e poi smaltita come rifiuto solido urbano. Da questa pellicina si può estrarre un grasso che ha una composizione molto particolare. Nell’ambito di questo progetto abbiamo estratto questo grasso con una tecnica “verde”: l’estrazione in CO2 supercritica. È una tecnica che non prevede l’uso di solventi, quindi è totalmente verde. Abbiamo estratto questo grasso “pulito” e l’abbiamo girato a un partner del progetto: un’azienda multinazionale cosmetica con sede in Lombardia che ne ha già realizzato dei rossetti e degli ombretti con caratteristiche particolari, diverse da quelle che si possono ottenere utilizzando altri grassi naturali che si usano in cosmetica come il burro di karité. Inoltre, dopo aver estratto questo grasso, estraiamo un antiossidante molto potente. Modifichiamo anche questo per via chimica, per renderlo più miscelabile con i materiali che vengono utilizzati nelle creme, e otteniamo una molecola con una potente azione anti età. Infine, il residuo di queste due estrazioni è praticamente cellulosa che un altro partner del progetto, la Cartiera Favini, utilizza per sostituire il 15% della cellulosa vergine in carte grafiche speciali. Quindi da questo scarto che, ripeto, il più delle volte viene buttato tra i rifiuti urbani, otteniamo due prodotti, il grasso e l’antiossidante, utili all’industrie cosmetica; e in più sostituiamo parte della cellulosa vergine. Quindi nel “ciclo globale”, operando con processi di chimica verde, abbiamo trasformato questo scarto in un’ulteriore risorsa, anche in un’ottica di simbiosi industriale.

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