Economia

50 miliardi (non pubblici) e 4 termovalorizzatori

La ricetta di Utilitalia per uno sviluppo sostenibile del paese sono investimenti per 50 miliardi in 5 anni da destinare ai settori idrico, energia e rifiuti. Il piano comprende anche meno burocrazia, incentivi al risparmio energetico e alle fonti “pulite”; oltre a quattro nuovi termovalorizzatori per eliminare i residui non riciclabili, da installare e avviare nelle regioni del centro sud.

Poco prima di Natale, Utilitalia, la federazione che riunisce le imprese dei servizi pubblici dell’acqua, dell’ambiente, dell’energia elettrica e del gas, ha avanzato una proposta alle istituzioni politiche per sostenere concretamente il Green New Deal: il patto nazionale per la transizione ad un’economia circolare e a allo sviluppo sostenibile. La proposta è un piano di investimenti di 50 miliardi di euro da destinare nei prossimi 5 anni ai settori dell’energia, dei servizi idrici e dei rifiuti.
Per approfondire i dettagli di questa proposta “Ecosistema”, il programma di Earth Day Italia trasmesso da Radio Vaticana, ha intervistato Giordano Colarullo, direttore generale di Utilitalia.

Utilitalia ha proposto un piano al Governo e alle istituzioni per finanziare con 50 miliardi un nuovo sviluppo sostenibile delle aziende legate ai servizi. La cosa buona di questo piano è che non chiede soldi pubblici. Come avverrebbe quindi il reperimento dei fondi necessari a questi investimenti?

Come sempre tramite fonti di finanze che possono essere debiti e quant’altro. Le imprese poi effettuano degli investimenti. Nel caso in cui ci siano tariffe regolate, come nel settore idrico, questi investimenti vengono recuperati negli anni tramite la tariffa, appunto senza pesare sulla finanza pubblica.

Il piano è particolareggiato sui tre ambiti di servizio cioè: l’energia, i rifiuti e i servizi idrici; addirittura individua le priorità e le necessità di fondi sui tre ambiti a livello nazionale. Quali sono gli interventi più urgenti?

Per quanto concerne il servizio idrico, abbiamo il lascito storico del recupero infrastrutturale da fare: ad esempio il recupero delle perdite idriche. Si pongono anche altre sfide, in particolare quelle derivanti dal cambiamento climatico. In questo caso [servono] una serie di interventi che mirino a interconnettere le varie aree del paese, quelle con più o meno acqua, e invasi per avere la disponibilità dell’acqua durante l’anno, per raccogliere le piogge intense che ormai caratterizzano il nostro clima. Solo in questo ambito del cambiamento climatico, prevediamo nei prossimi quattro anni circa 7 miliardi di investimenti.
Per quanto concerne invece l’ambito della gestione dei rifiuti, il forte sforzo deve andare verso la capacità di muoversi in un quadro di economia circolare. Quindi con un forte intervento impiantistico che miri, da un lato al recupero della materia per quanto possibile: quindi evitare sprechi e reimmettere la materia nel ciclo produttivo e di consumo; dall’altro gestire il residuale, cioè quello che rimane fuori. In particolare ciò riguarda il cosiddetto residuo secco, che in Italia oggi viaggia per circa il 20% dalle regioni che non hanno impianti, come i termovalorizzatori, e che devono necessariamente esportarlo. Qui prevediamo un particolare intervento che metta in sicurezza il sistema nazionale con quattro impianti (di termovalorizzazione, nda.) di cui due al centro, uno al sud e uno nelle isole. A questo poi vanno aggiunti tutti gli impianti che riguardano il trattamento del rifiuto, cioè l’umido, che va valorizzato facendone degli ammendanti e fertilizzanti agricoli; ma anche biogas, che permetterà delle efficienze energetiche.
Infine il terzo grande comparto riguarda gli investimenti nel settore energia. In particolare sono investimenti volti ad aiutare le imprese al risparmio energetico; a promuovere vettori “puliti”, ad esempio l’utilizzo di vettori elettrici [che sfruttino] fonti rinnovabili per le automobili e per i consumi nelle case; ma anche vettori puliti come il tele-riscaldamento che deriva dal recupero del calore rilasciato dall’industria o da impianti di termovalorizzazione.

Ha parlato dei termovalorizzatori, degli inceneritori, dei quattro impianti che sarebbero necessari. Però io leggo nel vostro comunicato che servono impianti che trattino i rifiuti “per tornare ad essere un nuovo materiale o, qualora non fosse possibile, ne sfruttino comunque il potenziale energetico”. Quel “qualora non fosse possibile” lascia aperta la porta all’ipotesi rifiuti zero?

I “rifiuti zero” sono un’impossibilità della fisica, perché nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. La verità è che noi abbiamo fatto dei calcoli, nell’ipotesi in cui il paese sia completamente allineato alle richieste del pacchetto europeo dell’economia circolare che prevede il riciclaggio. Attenzione: facciamo la differenza fra “riciclaggio” e “differenziazione”. Riciclaggio significa riuscire a re-immettere la materia nel circuito produttivo e di consumo. Quindi noi abbiamo fatto dei calcoli su questa ipotesi: [in Italia] siamo in linea con quanto ci chiede l’Europa e ricicliamo il 65% dei flussi di materia che sono utilizzati nei nostri consumi quotidiani. Quest’ipotesi “virtuosa” (perché in molte parti d’Italia siamo ben lontani da questi target) porterebbe ad avere un problema con il materiale residuale, cioè con ciò che non si riesce a riprendere, lavorare e re-immettere nei cicli di consumo e produzione. Pertanto, questi investimenti sui termovalorizzatori sono finalizzati soltanto a quello specifico elemento residuale. Quindi noi diciamo: “discariche zero”; perché chiaramente [quella delle discariche] è la strategia peggiore, che lascia un fardello alle future generazioni. Dobbiamo invece spingere al massimo il recupero e il riuso della materia; e da quello che rimane cercare di estrarre l’ultimo possibile valore aggiunto: l’energia.

Oltre agli interventi strutturali, parlate anche di rimuovere gli ostacoli burocratici che frenano lo sviluppo delle aziende. Quali sono questi ostacoli? Non c’è il rischio di bypassare delle autorizzazioni che tutelano ambiti cruciali come il suolo, il paesaggio e l’ambiente in generale?

No, infatti noi non suggeriamo di bypassarle, bensì di creare delle procedure dell’alta velocità: in sostanza “parallelizzare” certi procedimenti; quindi interessare gli uffici pubblici in parallelo, nella misura in cui questo è possibile e, soprattutto laddove questi interventi infrastrutturali sono fondamentali alla vita dei cittadini, dare a queste procedure priorità assoluta nel senso di velocizzarle. Il problema è quando ho un impianto, di depurazione piuttosto che di incenerimento, per cui dal momento in cui metto il primo mattone al collaudo passa al massimo un anno e mezzo, e poi però devo attenderne due e mezzo o tre per farmi dare tutte le autorizzazioni. Dovremmo riuscire almeno a dimezzare i tempi dal lato autorizzativo. Ripeto: senza rendere [le autorizzazioni] meno stringenti o pregnanti ma semplicemente velocizzarle, mettendone magari alcune in parallelo, come è possibile fare; e dare un segnale all’amministrazione pubblica affinché dia priorità a queste procedure per permettere lo sviluppo infrastrutturale. Dopodiché l’impegno delle imprese è raccogliere i necessari fondi sui mercati del debito, ad esempio dalle banche, dalle obbligazioni o quant’altro; mettere le proprie capacità industriali; chiudere rapidamente gli investimenti; e quindi subito sollevare [i livelli] sia in termini occupazionali, ma anche di servizio ai cittadini; particolarmente in quei territori che sono più afflitti da carenze infrastrutturali: notoriamente appunto il sud Italia.

La proposta è datata a circa un mese fa, prima di Natale. Come è stata accolta a livello politico?

Abbiamo avuto certamente un grande interesse, anche da diversi ministeri. La discussione più dettagliata avverrà sperabilmente nelle prossime settimane, perché il lavoro ministeriale e parlamentare sono un po’ “ingolfati” da provvedimenti di urgenza come la legge di bilancio e il cosiddetto mille-proroghe. Quando si rientrerà nell’ordinaria amministrazione prevediamo diversi appuntamenti con gli uffici per spiegare [il piano] e confrontarci con le strutture tecniche del Governo.

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