L’umanità e i suoi prodotti pesano più di tutti gli animali e la vegetazione della Terra. Il prof. Chiarucci (Università di Bologna) propone di destinare a riserva protetta 500 metri quadrati di territorio per ogni cittadino.
Com’è noto si sta diffondendo sempre di più il termine “antropocene”: una parola che per assonanza con le ere geologiche del passato vuole significare che, almeno dalla rivoluzione industriale in poi, le azioni dell’uomo sono il fattore che più contribuisce a cambiare la superfice del pianeta. Ogni elemento naturale del pianeta ha subito dei profondi cambiamenti: i mari, i suoli, le specie animali e vegetali (in gran parte addirittura estinte) e perfino il clima.
A partire dalla metà del XIX secolo siamo riusciti ad innalzare la temperatura del pianeta di 1 grado, sconvolgendo l’alternanza delle stagioni e i climi locali di diverse parti del mondo. Se sembra poco, basti pensare che entro la fine di questo secolo, cioè tra meno di ottant’anni, è previsto che a quel grado se ne aggiungeranno altri tre se non correremo ai ripari. Sempre entro fine secolo, il livello di alcuni mari del mondo potrebbe innalzarsi dai 25 ai a 40cm; questo vorrebbe dire la scomparsa di città costiere, di regioni che adesso sono al livello del mare, e di intere nazioni insediate su isole e atolli. Già oggi, per effetto dello scioglimento dei ghiacci polari, i mari del mondo si alzano di tre millimetri all’anno. I ghiacciai himalayani sono diminuiti del 15%, quelli alpini del 50%.
Ma una delle opere più deleterie dell’essere umano è la distruzione della biodiversità: negli ultimi cinquecento anni abbiamo causato l’estinzione di una percentuale di specie viventi che varia tra il 7,5 e il 13%. Vuol dire che centinaia di migliaia di specie animali e vegetali che abbiamo scoperto e catalogato negli ultimi secoli, oggi non esistono più a causa nostra.
Di questo impatto dell’Uomo sulla biosfera ha parlato in particolare uno dei relatori del recente convegno “Nature in Mind”, organizzato dall’Arma dei Carabinieri e da Coldiretti, in un intervento dal titolo: “Le radici della natura per la preservazione della biodiversità”
Di seguito la versione integrale dell’intervista ad Alessandro Chiarucci, direttore del Dipartimento di Scienze Biologiche Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, trasmessa durante “Ecosistema” la rubrica settimanale di Earth Day Italia all’interno del programma “Il Mondo alla Radio” di Radio Vaticana Italia.
Quanto “pesa” l’umanità sulla biosfera?
Siamo tanti. Non siamo mai stati così tanti nella storia del pianeta, e anche in termini di peso, di biomassa, occupiamo una frazione importante. Basta citare il fatto che gli umani sono il 32% della massa di tutte le circa 7000 specie di mammiferi del pianeta Terra. Inoltre, gli animali domestici, sostanzialmente quelli che utilizziamo per la nostra alimentazione, ammontano al 64%.
Sta parlando di cavalli, ovini, bovini, cani, gatti…
Esattamente. Cani e gatti ovviamente pesano pochissimo; però è uscito un lavoro che fa una stima della biomassa, in cui viene fuori che umani e animali domestici assommano in peso al 96% della massa totale dei mammiferi terrestri.
Quindi quanto rimane di leoni, giraffe…
Tutti questi, balene incluse e così via, assommano al 4%: 7000 specie che ormai pesano soltanto il 4%. Dobbiamo dire che è una stima, quindi un valore che ha un margine di incertezza; ma anche se invece che il 4%, forse l’8% sarebbe comunque pochissimo.
Questo purtroppo succede anche nel confronto fra le piante, le foreste, e le costruzioni umane: anche lì c’è stato il sorpasso.
Nel 2020, anno più anno meno, perché sono sempre stime, la quantità di materiale prodotto dall’uomo, inclusi i rifiuti, gli edifici, le strade assomma in peso a più della biomassa della biosfera.
Come si pone rimedio a questo? Lei ha presentato al convegno un interessante obiettivo, e ci sono anche altri obiettivi ufficiali.
Innanzitutto bisogna salvare gli ecosistemi naturali dove sono rimasti; perché tanta della biomassa di cui dicevo sta nei sistemi agricoli o forestali produttivi. Quindi dobbiamo anzitutto salvare quei luoghi, quelle foreste, il mare, gli ecosistemi delle barriere coralline che sono ancora naturali. Per far questo ci sono vari obiettivi. In “Metà della Terra” (saggio del 2016, nda.) Edward Wilson (biologo, naturalista e saggista di fama mondiale, nda.) propone di condividere a metà le risorse tra l’uomo e gli altri viventi. Poi c’è la strategia Europea per la biodiversità, che propone il 30% di aree protette: obiettivo che possiamo raggiungere nel prossimo decennio. Un terzo di queste però deve essere strettamente protetto: ovvero totalmente privo di attività umane; totalmente libero dagli interessi, dalle produzioni e dal disturbo della nostra comunità
E i 500 metri quadrati per ogni cittadino che sono stati l’oggetto di un interessante momento della sua relazione al convegno?
Ho fatto questa analogia: come da anni si parla di piantare un albero per ciascun cittadino, ho proposto, per ogni italiano, di destinare 500 metri quadrati del nostro territorio alla conservazione integrale, ovvero alla preservazione dei soli processi naturali. Ciò porterebbe al 10% del territorio nazionale protetto in modo rigoroso, dedicato esclusivamente alla biodiversità, per il bene delle generazioni attuali e di quelle future.
Quindi ognuno di noi avrebbe un angolo abbastanza grande di natura dove però sarebbe meglio non andasse.
Di andarci se ne può discutere; il problema è di non arrecare disturbo, non fare attività che possano trasformare la natura. Il processo naturale deve essere lasciato “in opera”. La visita, percorre un luogo, non è un grosso problema, se fatto con criterio.