Con un’anteprima di Karma Clima dei Marlene Kuntz, domenica inizierà a Torino la XXV edizione del Festival CinemAmbiente. L’evoluzione “green” delle storie raccontate sul grande schermo, i temi caldi della crisi ambientale che irrompono nelle sceneggiature, gli investimenti di Hollywood e i ritardi dell’industria cinematografica italiana, nell’intervista al direttore del Festival Gaetano Capizzi.
Domenica prossima, 5 giugno, si celebrerà la Giornata Mondiale dell’Ambiente. Lo stesso giorno, a Torino, prenderà il via la 25a edizione del Festival CinemAmbiente. La rassegna è l’occasione per confrontare il modo in cui i cineasti di 25 paesi del mondo vedono e raccontano i problemi ecologici. Chi andrà a Torino potrà vedere dal vivo gli 87 film in rassegna, divisi nei concorsi per i documentari e i cortometraggi; con una sezione riservata alle produzioni italiane e una ai film precursori prodotti in passato. Il festival si potrà seguire anche online sui canali web di CinemAmbiente, dell’UNEP, della Città di Torino, del Museo Nazionale del Cinema e sul portale LifeGate. Dal giorno successivo alla proiezione in sala, i film saranno inoltre disponibili gratuitamente in streaming fino al 21 giugno sul sito festivalcinemambiente.it: alla visione potranno partecipare fino a 500 persone collegate da casa. Durante la giornata d’apertura del festival, i Marlene Kuntz presenteranno il loro ultimo lavoro, “Karma Clima” che, come si intuisce dal titolo, affronta queste tematiche dal punto di vista musicale. Anche questa esibizione sarà trasmessa online sul sito del festival.
Che “ruolo” ha oggi l’ambiente al cinema? Il racconto per immagine dell’ambiente nei film si è evoluto nel tempo: il mare, le foreste, i ghiacci, i grandi spazi, le montagne, sono sempre stati presenti nel cinema, dagli albori: basti pensare al deserto in “Lawrence d’Arabia”; al Mar Rosso ne “I Dieci Comandamenti”; alle praterie di tanti film western; o all’isola di “Cast Away” per citarne uno più recente. Ma se una volta questi erano solo scenari per avventure, ricostruzioni storiche o storie romantiche, negli ultimi tempi gli ambienti naturali sono diventati protagonisti di pellicole, purtroppo spesso sull’onda delle preoccupazioni per il degrado del pianeta. Nel 2006 “Una scomoda verità”, il documentario con cui Al Gore portò in sala il problema del riscaldamento globale, si guadagnò ben due Oscar e diede una decisa spinta alla coscienza ambientale del pubblico degli Stati Uniti. Tre anni dopo “Avatar” il colossal di James Cameron in cui la difesa della natura di un pianeta remoto rappresenta il messaggio centrale e il fulcro della trama, di Oscar ne ha ricevuti tre, oltre a nove nomination.
Ma ci sono stati film “ambientalisti” anche nel secolo scorso, in anni in cui le preoccupazioni per l’ecologia non erano alla ribalta come oggi. Nella sezione “Panorama” del festival di Torino, verrà proiettato “2022, i sopravvissuti”: è un film del 1973 interpretato tra gli altri da Charlton Heston, che per il nostro presente immaginò un pianeta inquinato e sovrappopolato ai limiti del tollerabile; con la natura quasi scomparsa da tutti i continenti; e con l’alternanza delle stagioni che ha lasciato il posto a un’unica lunga estate torrida. Un quadro paurosamente simile alle previsioni che gli scienziati fanno oggi per il prossimo futuro.
L’ambientalismo al cinema non è entrato solo nelle sceneggiature e nei soggetti, ma anche nell’impegno dei protagonisti di questa che, oltre ad essere un’arte è anche un’industria economica, e come tale deve ripensare le sue dinamiche in ottica sostenibile. Nel programma del festival ci sono anche dibattiti e incontri tra esperti, addetti ai lavori e protagonisti del cinema, che sono impegnati a rendere le produzioni più sostenibili, meno inquinanti, più rispettose delle comunità locali quando si spostano per girare. La conversione ecologica del settore sta procedendo su diverse strade: dalla riduzione dell’impatto energetico ed ecologico dei set, alle scelte logistiche quando si riprende in esterni. I produttori sono sempre più attenti a ridurre i consumi di cibo, acqua, energia sui set televisivi e cinematografici. Si lavora anche per ridurre al minimo i materiali per le scenografie e per la promozione dei film, privilegiando i materiali riciclati per realizzare manifesti e allestimenti. Entro la fine di quest’anno anche i grandi festival italiani, da Venezia al Giffoni alla Festa del Cinema di Roma, avranno un “protocollo festival green” a cui l’AFIC, Associazione Festival Italiani di Cinema, sta lavorando con i ministeri della Cultura e della Transizione Ecologica. Saranno fissate delle linee guida per razionalizzare, ad esempio, il consumo di energia, i trasporti e i soggiorni di ospiti e visitatori, privilegiando la mobilità sostenibile e gli spostamenti brevi; le risorse alberghiere, la ristorazione, i produttori di cibo e servizi locali; e ancora la corretta raccolta dei rifiuti da avviare a riciclo durante gli eventi; fino all’utilizzo di materiali riciclabili o riciclati per allestimenti temporanei, materiali promozionali e gadget.
Di seguito la versione integrale dell’intervista a Gaetano Capizzi, fondatore e direttore del Festival CinemAmbiente, trasmessa nella rubrica settimanale di Earth Day Italia “Ecosistema”, ospitata nel programma “Il Mondo alla Radio” di Radio Vaticana Italia.
Nell’immaginario collettivo i “generi” del cinema sono: western, drammatico, guerra, sentimentale… finora non c’è stato il genere “ambientale”; è cambiato qualcosa?
Si. In tutti questi generi l’ambiente c’era, era lo sfondo su cui succedevano tutte le vicissitudini umane: un duello western aveva dietro la Monument Valley. Il paesaggio e l’ambiente sono sempre stati rappresentati al cinema, però non come protagonisti. La novità è che il protagonista del genere cinematografico “green” non è più l’uomo ma proprio il paesaggio, e il rapporto tra l’uomo e l’ambiente. Sono ormai moltissimi i film che hanno per soggetti principali i vari temi dell’ambiente. Perciò si parla di un filone green del cinema, che ha anche un suo pubblico. Ci sono film che si sono affermati: “The Cove” (USA 2009, nda.) sulla mattanza dei delfini in Giappone, è un film eccezionale e ha vinto l’Oscar (come miglior documentario del 2010, nda.). Film che hanno incassato molto, documentari, oppure grandi film di fiction come “Don’t Look Up”, l’ultimo film interpretato da Di Caprio: ha avuto le sue vicissitudini perché è stato trasmesso solamente in televisione (sulla piattaforma Netflix, nda.); ma è un film ma è fantastico, evocativo e significativo di quello che sta succedendo: il fatto che un asteroide sta colpendo la terra e tu non lo devi guardare… è quello che sta succedendo al pianeta.
La cosa incredibile è che poteva sembrare un film del genere catastrofico come ne abbiamo visti tanti dagli anni 70 credo – asteroidi, alieni, ecc. – ma invece chiunque la abbia visto ha capito che l’asteroide, in realtà, rappresenta quello che stavi sottolineando…
Si, un film che fa una metafora. Il genere catastrofico è po’ diverso, perché parte da un assunto scientifico, o pseudoscientifico, e poi si sviluppa seguendo delle logiche; come “The Day After Tomorrow”: c’è un cambiamento climatico e succede tutta una questione (film USA del 2004: racconta di un cambiamento climatico globale repentino che causa una nuova glaciazione, nda.). Se nel genere catastrofico non rispetti questa regola crolla tutta la finzione. Ma anche nel genere catastrofico, o meglio post-catastrofico, che c’è adesso è sempre coinvolto l’ambiente: sono film in cui il disastro è già venuto. Le grandi produzioni che escono oggi nelle sale sono film che raccontano la vita “dopo” la catastrofe: perché il cinema dà per scontato che il cambiamento climatico e l’inquinamento ci hanno portato a un punto per cui noi e i nostri eroi dobbiamo vivere in un mondo ormai distrutto. Una volta invece la catastrofe veniva rappresentata: “L’Inferno di Cristallo” (USA 1974, nda.), l’aereo che cade, il terremoto. Il film raccontava il terremoto; adesso c’è già stato; è significativo, perché questo tipo di film va a scavare nelle angosce collettive: questi film hanno successo se attecchiscono, se sentono che a livello di sensibilità comune ci sono queste preoccupazioni; ed allora hanno successo. Questi generi poi evolvono, perché il cinema è un’industria che segue gli incassi al botteghino.
Questi temi entrano anche in altri generi, come ad esempio i film d’animazione, che hanno iniziato a dargli spazio anche a scopo educativo.
Si. “Piovono polpette” (USA 2009, nda.) divertentissimo, stupendo, della Pixar, in cui il cibo cade dal cielo, è un film sullo spreco alimentare: uno dei problemi inaccettabili tanto dal punto di vista etico quanto da quello ecologico, perché si butta via il cibo quando c’è gente che soffre la fame; e c’è una parte della popolazione mondiale che invece soffre per le malattie della sovralimentazione. Si calcola che ormai, col cibo sprecato, potremmo sfamare l’intera umanità per più di una volta. “Piovono polpette” è perfetto per far vedere ai bambini che troppe caramelle, troppe gelatine, troppi polli e troppi hamburger sono un sovrappiù e poi devono essere buttati. “Galline in fuga” (USA 2000, nda.) è un film sugli allevamenti intensivi: lo fai vedere i bambini e parli loro degli allevamenti intensivi che sono una cosa tremenda da molti punti di vista. Ne “La gang del bosco” (USA 2006, nda.) gli animali vanno (in una casa, nda.) a rubare degli alimenti come le caramelle e si ammalano perché non sono abituati a mangiare quelle cose. “Wall-E” (USA 2008, nda.), sull’inquinamento da rifiuti, è fantastico. Quando i ragazzi e i bambini guardano questi film riescono poi a capire gli argomenti di cui gli parli.
Hollywood a parte, quali sono le cinematografie più attive in questo senso? Il cinema italiano si sta allineando, o deve recuperare terreno?
Il cinema americano “green” è molto forte: ha delle grandi produzioni, con grandi mezzi. Ma ci sono anche altre tradizioni. La Francia sforna capolavori, film importantissimi; ha una grande tradizione di documentarismo. Anche l’Inghilterra ha una florida industria che riflette sull’ambiente. Anche paesi come la Svizzera e l’Austria fanno investimenti sul cinema di ricerca, sul cinema sociale, ed hanno degli autori internazionali. L’Italia è un po’ fanalino di coda in questo aspetto perché i [grandi] film scarseggiano, anche se [le piccole produzioni] sono numerose. Nel Festival abbiamo una sezione dedicata ai film italiani, “Made in Italy”: quest’anno presentiamo 40 nuovi film. Però sono tutte autoproduzioni, film piccoli, in cui magari il regista è anche produttore. Non c’è un vero investimento dell’Industria cinematografica.
Sono fiction o documentari?
Sono principalmente documentari; anche se ogni tanto, anche nella fiction, l’Italia sforna film che con contenuti ambientali. Al contrario siamo più avanti nella ecosostenibilità della realizzazione dei film. Ci sono ormai dei protocolli che i produttori devono adottare per abbassare l’inquinamento mentre realizzano il film. Ad esempio: non utilizzare la plastica usa e getta; utilizzare l’acqua pubblica; differenziare i rifiuti; non tenere accesi i motori dei camion sul set; utilizzare certi strumenti. Ad esempio si ragiona molto sull’alta definizione, che non sempre è utile ma è impattante dal punto di vista ambientale, perché assorbe energia. Perciò bisogna decidere quando utilizzare queste tecniche per abbassare l’impatto ambientale. Questo [è il percorso che] il cinema italiano sta iniziando a seguire. Il contenuto dei film spesso non è sui temi ambientali perché ancora non ci sono questo mercato e questi investimenti sul cinema.
Quali sono i punti forti e gli appuntamenti per il Festival CinemaAmbiente?
È un’edizione particolare perché è la venticinquesima: è un quarto di secolo che proiettiamo film sull’ambiente. Si svolge dal 5 al 12 giugno a Torino, al Cinema Massimo, una struttura del Museo del Cinema. Inizieremo nella Giornata Mondiale dell’Ambiente, in collaborazione con UNEP (il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, nda.), con un evento gratuito alla Mole Antonelliana: un concerto del gruppo rock Marlene Kuntz che ha realizzato un disco sui cambiamenti climatici, “Karma Clima”, che presenteranno in anteprima all’apertura di CinemAmbiente. Avremo ospiti come Vandana Shiva (attivista indiana, nda.), gli autori dei film presenti in concorso; avremo masterclass e vari panel, perché è anche un festival dove si discute.