Cooperazione internazionale, ricerca, satelliti, rilevamenti ambientali, indagini sul cambiamento climatico, detriti orbitanti. Intervista a Paolo Nespoli sulla sostenibilità del settore aerospaziale, in occasione della presentazione del libro “Spazio – La sfida del presente” di David Brown (Hoepli Editore).
La corsa allo spazio non è solo proiettata nel futuro, nella prospettiva di trovare risorse ed energie lontano dal pianeta. Le attività delle agenzie nazionali e internazionale, degli enti di ricerca, delle aziende e delle multinazionali che portano avanti l’industria spaziale, sono ben ancorate nel presente: telecomunicazioni, difesa, sonde minerarie, indagini e misurazioni del pianeta dall’orbita… tutti campi in grande sviluppo che hanno effetti anche sull’ambiente e sulla lotta al cambiamento climatico.
Recentemente abbiamo assistito alla presentazione di un libro che affronta questo argomenti: “Spazio. La sfida del presente” del giornalista e divulgatore statunitense David Brown. In occasione della fiera Più Libri Più Liberi, l’editore Hoepli ha organizzato un dibattito sui temi del libro con la partecipazione di Paolo Nespoli, Marco Brancati (Telespazio) e del giornalista Emilio Cozzi. I capitoli del volume e le interviste a diversi addetti ai lavori che contiene, toccano temi come i detriti spaziali che “inquinano” l’orbita; il ruolo dei satelliti per le misurazioni degli ecosistemi terrestri; la sostenibilità dell’industria spaziale; lo sfruttamento dell’energia solare; le tecnologie circolari necessarie a minimizzare sprechi e scarti negli habitat spaziali.
Paolo Nespoli, che durante la sua carriera ventennale ha partecipato a ben tre missioni spaziali, ha sottolineato anche un altro aspetto che lega la corsa allo spazio alle istanze per un futuro più sostenibile: la cooperazione internazionale. L’astronauta ha sottolineato che l’esperienza della costruzione e gestione della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) dimostra come le nazioni possano lavorare insieme a uno scopo comune, traendone benefici a vantaggio di tutta l’umanità. La foto di copertina di questo articolo mostra Nespoli all’interno del modulo russo, parte della ISS, insieme ai colleghi della sua ultima missione nel 2017: gli astronauti della NASA Randy Bresnick, Jack Fischer e Peggy Whitson, e i cosmonauti russi Sergei Ryazansky e Fyodor Yurchikhin. Le bandiere rappresentano le nazioni che collaborano per il funzionamento della Stazione Spaziale.
Prendendo spunto dal libro e dal dibattito, abbiamo potuto approfondire con Paolo Nespoli alcuni temi a margine dell’incontro. Prendendo spunto dal libro e dal dibattito, abbiamo potuto approfondire con lui alcuni temi a margine dell’incontro. Di seguito il podcast dell’intervista.
Il simbolo dell’Earth Day deriva da “Earthrise” la famosa foto del 1968 che mostra la Terra ripresa dalla Luna. Lei non è stato sulla Luna ma ha goduto di quella vista; può raccontare l’emozione della prima volta che ha visto il nostro pianeta dallo spazio?
Sicuramente vedere la Terra dallo spazio è una cosa che cambia la vita: fa capire come questo pianeta sia diverso da come lo percepiamo. Guardare il pianeta da terra è come guardare un quadro appoggiandoci il naso: si vedono i dettagli ma non che cosa “dice” il quadro. Spostandosi a 400 km da terra si ha una visione d’insieme diversa. Per esempio non si vedono i confini nazionali: di fatto siamo tutti assieme nello stesso minestrone; magari siamo una carota, un fagiolo e un pezzo di pasta; ma di fatto è lo stesso minestrone.
In quali modi la ricerca spaziale è importante per l’ambiente e la sostenibilità?
Lo spazio offre opportunità difficili da ottenere sulla Terra: una visione diversa del pianeta. Nello spazio si possono mandare dei sensori per fare misurazioni precise in continuazione su tutto il pianeta. Questi dati servono agli scienziati per verificare le loro ipotesi e capire alcuni fenomeni. Se non ci fossero questi dati il loro lavoro sarebbe molto più difficile.
La cosiddetta “spazzatura spaziale” è un vero problema, visto da lassù? Oppure è una cosa ingigantita dal nostro immaginario?
Sicuramente i detriti spaziali sono un problema; “quanto” lo siano veramente è tutto da vedere. Sicuramente negli anni abbiamo lavorato nello spazio ignorando questo problema o facendo finta di niente. Prima non lo conoscevamo, e quando abbiamo cominciato a conoscerlo lo abbiamo ignorato lo stesso. Adesso bisogna capire se abbiamo superato il punto di non ritorno. La mia convinzione personale è che non lo abbiamo ancora superato; che siamo ancora nelle condizioni di mitigare ciò che faremo in futuro, e cercare di risolvere i problemi che abbiamo creato in passato. Sulla Stazione Spaziale Internazionale il problema dei “debris”, dell’immondizia che viene dallo spazio, non è la buccia di banana: debris è anche un meteorite, qualcosa di naturale di cui lo spazio è pieno. La ISS è in orbita da 20 anni e, sebbene sia stata colpita e anche bucata da piccoli meteoriti, di fatto non è mai successo niente di grave. Questo non vuol dire che dobbiamo ignorare il problema – forse dobbiamo considerarci fortunati – ma capirlo e lavorare per ridurlo al minimo.
Mi ha colpito la sua descrizione dello spazio: lo chiamiamo così ma in realtà sulla stazione orbitante lo “spazio” è ridotto al minimo e viene ottimizzato. Quando tornava sulla Terra aveva l’impressione che qui sprechiamo tanto spazio, occupando eccessivamente il suolo, mentre voi lassù siete più… modesti nello sfruttare le risorse?
Gli astronauti in generale cercano di essere minimalisti, perché capiscono che avere tante cose è un aiuto ma anche un fardello e un problema: le devi gestire, te ne devi occupare. Giorni fa ero a casa persone che hanno un parco incredibile; ho pensato a quanto tempo ed energia spendessero per mantenerlo così bello e pulito. Mi domando: vorrei avere un parco così? Forse no, perché non vorrei la responsabilità di doverlo mantenere. Se mi regalassero una montagna che me ne farei? Meglio lasciarla così com’è, a disposizione di tutti.
La ricerca spaziale è uno dei pochi ambiti dell’agire umano che ha unito i popoli anche ai tempi della guerra fredda, come ha spiegato durante la presentazione del libro. Per quale motivo? Perché è fatta da scienziati? Perché i governanti hanno capito che in quell’ambito è bene cooperare? Perché quando si sta lassù si ha una visione diversa e lo si riesce a spiegare anche a chi prende le decisioni?
Direi che tutte queste cose contribuiscono a quel risultato. Sicuramente, quando uno è “fuori dalla Terra”, si sente un po’ “terrestre” e perde le sue connotazioni molecolari o atomiche. È un po’ come quando mi capita di trovare qualcuno del mio paese da tutt’altra parte (io vengo da un paesino) e siamo improvvisamente amici. Il fatto di essere lontani e accomunati da qualcosa ci porta a sentirci uniti. Il lavorare tutti insieme per il beneficio dell’umanità è forse una delle cose che ci fa andare avanti senza guardare la nostra “unità molecolare”.
Questa cooperazione ha funzionato ai tempi della guerra fredda. Oggi, dopo i fatti dell’Ucraina, i due colossi della corsa spaziale, Stati Uniti e Russia, sono ancora su quella lunghezza d’onda? È cambiato qualcosa in questi ultimi anni?
Io vedo la parte tecnica che vuole andare avanti come prima. La parte politica invece cerca di utilizzare queste cose dal punto di vista politico. Ma questo è lavoro dei politici. Il Presidente dell’agenzia spaziale russa dice di voler buttar giù la Stazione Spaziale Internazionale (Dmitry Rogozin, in risposta alle sanzioni annunciate da Biden contro il suo paese dopo l’invasione dell’Ucraina aveva ventilato l’ipotesi che i tecnici russi potessero causare lo schianto dell’ISS sulla Terra, nda) mentre i tecnici sanno che non è possibile. Però lo deve dire lo stesso perché è una cosa politica, perché deve supportare chi l’ha messo lì. La politica è un po’ come i film di Hollywood: è tutto esagerato. Veramente riusciamo ad attraversare un paese con un’automobile in modo forsennato e spericolato? Sì, per le necessità del film. Nella realtà probabilmente no. Ma se siamo a Hollywood va bene così.