L’Italia è un esempio virtuoso di raccolta differenziata, soprattutto nei piccoli comuni. Mancano però in molte regioni gli impianti per recuperare in loco i materiali riciclabili e dare il via alla filiera virtuosa dell’economia circolare. Intervista a Laura Brambilla responsabile per Legambiente del “Comuni Ricicloni”.
Pochi giorni fa Legambiente, con la collaborazione dei consorzi del riciclo ha assegnato il premio “Comuni Ricicloni 2021”* e pubblicato il relativo dossier. Il riconoscimento è andato a 623 amministrazioni comunali che oggi si possono definire “Rifiuti Free”. Per ottenere questo traguardo bisogna raggiungere una quota di raccolta differenziata almeno del 65% e produrre non più di 75kg annui di secco indifferenziato per ogni cittadino. Per fare qualche nome, tra i comuni virtuosi e più noti ci sono Carpi, Fiesole, Orosei, Vittorio Veneto e Vinci. Le regioni più premiate sono il Veneto, la Lombardia e il Trentino Alto Adige; quelle con meno comuni virtuosi sono la Puglia, l’Umbria e la Val d’Aosta. La classifica mette conferma una forte differenza tra nord, centro e sud, anche se meno marcata rispetto al passato: il 68% dei comuni liberi da rifiuti si trova al nord, il 26% al sud e soltanto il 6% nelle regioni centrali. Il sud però è in forte crescita: negli ultimi due anni ha quasi raddoppiato il numero di comuni premiati. La Sardegna è quarta nella classifica delle regioni ed è anche quella che ha segnato l’incremento maggiore rispetto all’anno scorso: 39 comuni in più rientrati nei requisiti per il premio.
Tra gli aspetti negativi segnalati dal dossier c’è da sottolineare che in classifica mancano le città medie e grandi. Nei 623 comuni premiati risiedono circa 3 milioni e mezzo di cittadini: soltanto il 6% circa degli italiani; e tra i premiati ci sono solo quattro capoluoghi di provincia: Trento, Pordenone, Treviso e Belluno. Evidentemente differenziare e avviare a riciclo è più complesso nelle città turistiche e con più di 15 mila abitanti. Secondo dati recenti Milano ha però raggiunto il 64% di raccolta differenziata, alla soglia del parametro per entrare in classifica; mentre Roma orbita da qualche anno intorno al 45%. Il rapporto sottolinea anche che il 70% dei comuni premiati fa parte di consorzi di raccolta che servono più amministrazioni di territori vicini, abbassando i costi e facilitando il compito degli amministratori locali.
Ne abbiamo parlato con Laura Brambilla, responsabile di Legambiente per il premio Comuni Ricicloni. Di seguito la versione integrale dell’intervista rilasciata a “Ecosistema”, la rubrica radiofonica di Earth Day Italia, trasmessa nel programma “Il Mondo alla Radio” di Radio Vaticana Italia.
Il dossier riguarda le eccellenze tra i comuni, ma qual è la situazione generale italiana della filiera del riciclo?
In generale chi “fa”, lo fa veramente molto bene. Sul riciclo degli imballaggi non abbiamo nulla da invidiare al resto dell’Europa; anzi, L’Italia si posiziona molto bene da questo punto di vista. Abbiamo esempi che vengono copiati in tutto il mondo. Per i risultati ottenuti sulla raccolta differenziata metropoli di Milano è una delle città più virtuosa a livello mondiale. Da questo punto di vista non abbiamo assolutamente nulla da invidiare agli altri; anzi facciamo a scuola. Il problema è che un obbligo di legge diceva che entro il 2012 bisognava raggiungere il 65% di raccolta differenziata, ma ancora molti comuni e alcune regioni sono molto lontani da questo obiettivo.
Quali sono stati gli effetti del periodo della pandemia sulla produzione e lo smaltimento dei rifiuti? Si è notato per esempio che, per forza di cose, sono aumentati i prodotti monouso come le mascherine e i bicchieri di plastica nei bar, da quando hanno riaperto.
Effettivamente il monouso, che è stato messo al bando (dall’UE, nda.) da questo luglio, purtroppo ha dovuto tornare protagonista proprio perché legato all’emergenza sanitaria detto questo. Detto ciò, durante la pandemia la raccolta dei rifiuti non si è mai fermata un giorno, e gli operatori hanno sempre garantito il servizio. Abbiamo potuto notare che la gente costretta a casa ha agito in maniera più consapevole: ci si è concentrati molto sul fare bene le cose in casa. Sono cambiati i flussi dei rifiuti nelle grandi città, perché il lavoro a domicilio e il lockdown hanno influito su tante tipologie di rifiuti: penso alla ristorazione e ai bar chiusi. La produzione di rifiuti non è diminuita, sono semplicemente cambiati gli usi e le abitudini.
Dal dossier emerge che le solite differenze nord-sud qui sono più sfumate. C’è il sud in ripresa; il nord che comunque parte da una posizione di vantaggio; nel centro invece la raccolta differenziata è molto deficitari. Più che altro però emerge che sono favoriti piccoli comuni rispetto agli agglomerati urbani più importanti. Ci sono poche città in queste classifiche di merito, e sono comunque capoluoghi di provincia: mancano le grandi città. È facile fare i virtuosi quando si è in pochi?
No. Una cosa che mi dà soddisfazione di questo rapporto, che ormai seguo da tantissimi anni, è che l’Italia a tre marce è scomparsa. Non c’è più la netta distinzione tra nord, centro e sud che per anni ha caratterizzata la classifica. Ora si parla di classifiche regionali. Le piccole, medie e grandi realtà dimostrano che chiunque può farlo: basta volerlo. Chiaramente noi abbiamo dovuto alzare l’asticella: non ci limitiamo più a premiare i comuni che hanno raggiunto il 65% [di raccolta differenziata] perché era un obiettivo di legge del 2012. Era un po’ limitante: quando usavamo quel criterio premiavamo quasi duemila comuni d’Italia. Adesso con il concetto “rifiuti free” andiamo a premiare i comuni che, a discapito del secco residuo, fanno molta più raccolta differenziata: i parametri sono particolarmente restrittivi. Quindi è chiaro che per città grandi come Milano, con dei flussi turistici importanti, il secco rappresenta ancora un peso notevole. L’Europa ci sta giustamente imponendo di parlare di effettivo riciclo: perché non serve raccogliere in maniera differenzia il 90% se poi la qualità della raccolta è pessima; basta il 65% fatto bene. Quando si parlerà di effettivo riciclo, secondo me questi divari tra grandi e piccole città saranno più sottili.
Legambiente e il dossier pongono fanno anche delle proposte per migliorare la situazione. Tra l’altro si pone l’accento sull’effetto benefico dei consorzi di raccolta e sull’impiantistica.
Sicuramente per i comuni far parte di un consorzio che raccoglie, con lo stesso modello e le stesse attenzioni, i rifiuti di tutto il territorio, già è una garanzia e una sicurezza. Ormai il 70-80% dei partecipanti [al premio] sono i consorzi che si portano dietro tutti i loro comuni. Per quanto riguarda il discorso dell’impiantistica: possiamo spingere quanto vogliamo la raccolta differenziata, ma se poi non ci sono impianti di trattamento e trasformazione di questi rifiuti in materia prima-seconda, ci troviamo punto e a capo. Basta pensare che Roma manda tutti i giorni l’organico in Veneto per capire che tipo di impatto ambientale ed economico si ha senza un impianto in prossimità.
Quali impianti mancano in particolare?
Sicuramente mancano gli impianti di compostaggio: i biodigestori anaerobici la cui tecnologia ormai è super evoluta. L’organico rappresenta il 30% dei rifiuti. Può essere intercettato e diventare compost di qualità da usare in agricoltura nei terreni sovra sfruttati (penso alla Pianura Padana). Questo tipo di apporto potrebbe fare da correttivo a situazioni di impoverimento e desertificazione. Anche gli impianti di recupero della plastica e del vetro: mi viene niente la Sardegna dove raccolgono il vetro molto bene, però poi devono portarlo sul continente. Se ci fossero impianti sul territorio gli impatti economici e ambientali sarebbero ridotti; e in più si darebbe origine a quell’economia circolare vera e propria, cioè l’industria di trasformazione di queste materie prime-seconde.
In questo quadro i termovalorizzatori sono ancora necessari? Un luogo comune, soprattutto alimentato dai social, vuole che tutti i paesi, anche i più avanzati e virtuosi continuano ad usare i cosiddetti bruciatori.
I cosiddetti bruciatori ci sono e li usiamo come anello intermedio, come pre-trattamento alla discarica. Tutto quello che non si può riciclare, il secco residuo, dovrebbe passare da questi impianti per ridurne il volume e poi andare in discarica. Con quelli che ci sono, il potere di incenerimento delle regioni è più che sufficiente. L’inceneritore non va assolutamente pensato a discapito della raccolta differenziata: deve essere comunque parte dell’economia circolare, a valle di tutto un processo virtuoso; e non progettato senza tener conto di processo virtuoso. Anche perché poi gli inceneritori, o termovalorizzatori, una volta attivi devono bruciare; ce lo insegna la Germania: se i rifiuti non li hanno in casa, li prendono da altre parti.
A che cosa sono dovute le emergenze rifiuti nel nostro paese? Eccesso di produzione di rifiuti? Mancanza di filiere virtuose? O politiche sbagliate sul conferimento?
Sicuramente a politiche sbagliate. Quando si parla di “emergenza rifiuti”, l’emergenza dev’essere di breve periodo. Poi si deve attivare una serie di percorsi per uscire da questa emergenza. Ahimè, in Italia abbiamo regioni in emergenza da decenni. A metà degli anni novanta anche Milano aveva le montagne di rifiuti in strada, esattamente come le immagini che vediamo adesso [altrove]. La Lombardia poi ha reagito, semplicemente perché chiudendo le discariche si è dovuto trovare un’alternativa. L’alternativa è stata la raccolta differenziata e un sistema porta a porta con il controllo di qualità della raccolta differenziata. Questa è la strada da percorrere. L’emergenza continuerà finché avremo discariche a costi bassissimi, magari anche illegali, o infiltrazioni delle famose “ecomafie”; perché comunque il rifiuto muove grosse economie.
*Comuni Ricicloni è un’iniziativa di Legambiente con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Il dossier è realizzato in collaborazione con i consorzi Conai, CiAl, Comieco, CoRePla, CoReVe, Ricrea, Rilegno, Consorzio Italiano Compostatori, Assobioplastiche; e la rivista Rifiuti Oggi.