Elefanti che invadono le coltivazioni, leoni che attaccano il bestiame, pastori e allevatori che contendono il territorio ai predatori e li uccidono per ritorsione. WWF e UNEP chiedono di inserire la risoluzione dei conflitti tra uomini e animali selvatici tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030.
Il WWF e l’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, hanno da poco pubblicato un rapporto congiunto dal titolo “Un futuro per tutti – la necessità di una convivenza tra esseri umani e fauna selvatica”. Lo studio sottolinea l’urgenza di trovare una soluzione ai conflitti che si creano tra attività umane e animali selvatici quando queste si trovano a convivere. Il problema della coesistenza tra agricoltori, pastori, pescatori e comunità indigene che vivono ai confini o dentro le aree naturali è antico quanto il mondo, ma adesso, che la crisi climatica e ambientale mette in serio pericolo sia gli animali ancora esistenti allo stato naturale, sia le popolazioni che soffrono per i cambiamenti climatici, si impongono soluzioni e azioni sostenibili. Le mutazioni del clima aggravano i conflitti: siccità, inondazioni, incendi, cambiamenti nella stagionalità delle piogge, affliggono tanto gli animali quanto gli agricoltori e gli allevatori. Nelle stagioni secche sia i selvatici sia gli animali allevati competono per le stesse risorse d’acqua e di pascolo: si segnalano casi di deviazione dai soliti percorsi di migrazione di mandrie e, ad esempio, grandi branchi di elefanti, che portano gli animali a sconfinare in campi coltivati alla ricerca di cibo e acqua, con relativi ingenti danni per le coltivazioni.
Il rapporto fa gli esempi dei danni causati agli allevatori europei dalle predazioni di lupi, orsi e linci, che nel periodo 2005-2012 hanno causato rimborsi per oltre 41 milioni di dollari. In altre aree del pianeta i conflitti sono più drammatici: secondo il rapporto nel 2019 121 persone sono morte per essere entrate in conflitto con gli elefanti in Sri Lanka, e tra le 80.000 e le 138.000 a causa di morsi di serpenti in Africa e Asia. Ovviamente a fare le spese del conflitto sono anche le specie animali: nello stesso 2019 gli elefanti uccisi dagli uomini in Sri Lanka sono stati 405.
Il caso dei leoni è emblematico. Secondo la campagna per la conservazione di questa specie che il WWF sta portando avanti in questo periodo, la specie conta in Africa ormai circa 20 mila esemplari, con un calo del 90% nell’ultimo secolo. Inoltre i leoni sono scomparsi dall’80% dei loro habitat sul pianeta: gli esemplari sopravvissuti a secoli di conflitti con l’uomo abitano ormai solo alcune riserve localizzate in Africa subsahariana e in India. Uno studio locale citato dall’associazione ambientalista afferma che la diminuzione dei leoni ha portato ad un aumento del 200% della popolazione di bufali nell’area di Ngongoro in Tanzania; questo è un esempio di come lo squilibrio nella catena alimentare mette a rischio l’ecosistema naturale. Un problema da non sottovalutare visto che, come precisa il WWF, ben 300 milioni di persone, nel solo continente africano, dipendono dalla natura per la loro sussistenza. In altre zone però è la rarefazione delle prede a mettere in pericolo i leoni, che in alcuni casi rivolgono le loro attenzioni al bestiame d’allevamento, innescando le paure e le ritorsioni delle popolazioni locali. Nella sola Tanzania, ogni anno vengono uccisi 150 leoni, per autodifesa, come misura preventiva alle predazioni, o per ritorsione ad attacchi al bestiame che spesso sono attribuiti loro per errore. Un circolo vizioso che dev’essere interrotto per il benessere di tutti, uomini e animali.
Tra i passi necessari per arrivare a una mitigazione dei conflitti e a una pacifica convivenza, UNEP e WWF propongono innanzitutto di inserire il tema dei conflitti tra uomini e animali nel dibattito e nelle azioni degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile: i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 che, al momento, non riportano questo come uno dei nodi da sciogliere per la salvaguardia del pianeta. La soluzione passa per i limiti da imporre dei settori privati (agricoltura, industria, turismo, sfruttamento delle risorse, ecc.); per uno stanziamento di risorse economiche per intervenire nelle zone di conflitto (ad esempio con recinzioni che proteggano allevamenti e coltivazioni); e per campagne locali di informazione e sensibilizzazione delle popolazioni che portino a soluzioni diverse dalle uccisioni.