Nel 2021 il conflitto armato, la siccità e il Covid hanno messo in ginocchio l’Afghanistan. La sicurezza alimentare di 23 milioni di persone è in crisi per il collasso di agricoltura e allevamento.
“Milioni di afgani vivono al limite della catastrofe, che si verificherà se i loro animali moriranno o se i campi resteranno incolti.”
Con questo appello il Direttore generale della FAO, Qu Dongyu, ha ribadito oggi l’allarme sulla situazione della crisi alimentare in Afghanistan. Al momento, stima la FAO, quasi 19 milioni di persone (il 47% degli afgani) vivono quotidianamente nell’insicurezza alimentare; una condizione che, senza interventi, entro la fine dell’anno affliggerà quasi 23 milioni di abitanti del paese.
La crisi riguarda tutte le province, nessuna esclusa. Se per circa 12 milioni di abitanti delle province del sud la situazione è classificata in “Fase 3 – crisi alimentare” (alti livelli di malnutrizione), 7 milioni di abitanti di quelle del centro-nord, compresa la capitale Kabul, vivono già ora in “Fase 4 – emergenza” (livelli molto alti di malnutrizione e di mortalità legata ad essi). La quinta fase ed ultima fase di questa scala sarebbe la “carestia”.
Il 2021 è stato un anno di sciagure per gli afgani: la siccità ha colpito 25 delle 34 province; il Covid e il conflitto armato che ha riportato al potere i talebani hanno causato una forte flessione dell’economia, con un’impennata dei prezzi e della disoccupazione, e una cospicua perdita di valore della moneta. Oltre 650 mila afgani hanno lasciato case, imprese e campi a causa del conflitto; e si sono andati ad aggiungere ai 3,5 milioni di loro compatrioti migrati negli anni precedenti.
Richard Trenchard, rappresentante della FAO sul posto ha testimoniato: “La situazione è disastrosa. Ogni contadino con cui abbiamo parlato ha perso quasi tutto il raccolto di quest’anno. Molti sono stati costretti a vendere gli animali. Hanno accumulato enormi debiti e, semplicemente, non hanno più denaro. Nessun agricoltore vorrebbe lasciare la propria terra. Ma quando non si hanno il cibo, il grano del raccolto precedente, i semi per i campi, e gli animali, non c’è scelta.”
Il 70% degli afgani vive in zone rurali; il settore primario rappresenta un quarto del PIL nazionale, e provvede all’80% di tutti i mezzi di sussistenza della popolazione. “Le nostre proprietà, le mandrie e le greggi sono state distrutte – ha dichiarato alla FAO un fattore di Qalue, nella provincia di Zendajan – Mancandoci semi, fertilizzante ed acqua non abbiamo potuto coltivare il grano. Nel nostro villaggio la gente non ha neanche il pane.”
“Dobbiamo aiutare l’Afghanistan ad evitare la trappola della fame” ha detto Qu Dyong, chiedendo immediati investimenti nelle produzioni agricole e zootecniche. La FAO ha quantificato in 115 milioni di dollari la portata dei primi aiuti necessari ad assistere cinque milioni di afgani e permettere loro di passare l’inverno. L’intervento dell’ONU si concretizza nella distribuzione di “pacchetti per la coltivazione del grano”, già in atto in 31 delle 34 province del paese: confezioni di semi di grano di alta qualità, che dovrebbero assicurare dei maggiori raccolti, corredate da una formazione tecnica per assistere gli agricoltori nelle fasi della coltivazione.
Le carenze alimentari del prossimo inverno non minacciano soltanto solo le persone, ma anche la sopravvivenza degli animali degli allevamenti. Il programma degli aiuti riguarda dunque anche circa 8,4 milioni di capi di bestiame, a cui devono essere assicurati cibo, acqua e cure veterinarie per mantenerli produttivi. Gli interventi previsti includono anche sostegno economico per i bisognosi nelle aree rurali, e il ripristino delle reti idriche, dei pozzi e dei sistemi di irrigazione.
Nel 2022 poi, ci sarà bisogno di altri 85 milioni per evitare il collasso della situazione e probabili migrazioni di massa. Purtroppo, infatti, per l’anno prossimo è prevista un’altra annata di siccità causata da La Niña, un episodico abbassamento delle temperature del Pacifico che altera gli equilibri climatici del pianeta. Sostenere l’agricoltura afgana adesso vorrebbe dire anche frenare l’abbandono delle campagne da parte di famiglie di contadini e allevatori spinti dalla siccità e dalla necessità di cibo e lavoro: un’eventualità che ingigantirebbe il problema.