Società

Il Teatro per l’Ambiente: Il futuro ci guarda

Se i nostri discendenti potessero parlarci… Dal 14 al 19 dicembre, in scena a Roma una commedia incentrata sulle responsabilità individuali per la salvezza del pianeta.

Ci chiediamo spesso che pianeta lasceremo in eredità alle nuove generazioni: quali sfide, quali difficoltà, quali sconvolgimenti causati dai nostri errori affliggeranno i nostri figli, nipoti, pronipoti quando noi non ci saremo più. Che cosa penseranno di noi? Di che cosa ci accuseranno? E, se potessero parlarci, che cosa ci chiederebbero di fare… o meglio non fare? Se la realtà non può rispondere a queste domande, l’arte può farlo.

Al Teatro Vittoria, dal 14 al 19 dicembre, va in scena “Un pianeta ci vuole… c’è nessuno?”: una commedia che, con l’espediente del viaggio del tempo, o del contatto interdimensionale, fa incontrare un uomo del futuro con una persona qualunque del nostro presente. L’idea alla base dell’intreccio è di Daniele Ronco, che firma insieme a Ugo Dighero e Marco Melloni la drammaturgia, e calca la scena per interpretare Kesedaran, il misterioso umano venuto dal domani. La sua missione sembra essere quella di convincere Pino (Ugo Dighero) muratore del XXI secolo, a cambiare abitudini di vita: ridurre i consumi, inquinare meno con i mezzi di trasporto, attuare insomma tutte quelle modifiche al proprio stile di vita che potrebbero diminuire la pressione umana sull’ambiente. Il “discendente” vuole convincere il suo “antenato” a frenare la folle corsa del mondo moderno prima che sia troppo tardi: decrescere felicemente, prima che le future crisi climatiche, energetiche, alimentari, idriche e chissà che altro, costringano l’umanità a collassare insieme al suo sistema insostenibile.

Il voler influire sulle scelte di un muratore piuttosto che su un capo di stato o su un tycoon dell’industria pesante sembrerebbe il tipico esempio di storia con la “s” minuscola presa ad emblema di quella con la “S” maiuscola; se non fosse che il messaggio della pièce, diretta da Luigi Siravo e prodotta da Mulino ad Arte (non nuova all’impegno ambientale portato a teatro) non è diretto ai leader o all’umanità nella sua interezza, ma al singolo, all’uomo comune, ad ognuno di noi. La salvezza del pianeta, sostiene l’autore per bocca del suo alter ego, non è in mano ai pochi, ma ai molti… ai moltissimi: più che dare la colpa al “sistema”, alle dinamiche politico-economiche globali, agli interessi di chi muove grandi capitali, il muratore deve diventare consapevole che le sue azioni quotidiane hanno il potere di cambiare le cose, o la responsabilità di non farlo.

I posteri non se la prenderanno dunque con i presidenti, i dittatori, i multimiliardari e i grandi capitalisti, ma con i propri padri, madri, nonni e bisnonni? Questo sembra sostenere il visitatore dal futuro. Riuscirà a convincere Pino il muratore? E il pubblico in sala?

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