Società

Malattie curabili ma non per tutti

Vaccini troppo costosi, o poco diffusi; focolai in zone di guerra o conseguenti a disastri ambientali. Così possono ancora diffondersi malattie curabili come morbillo, polmonite e tubercolosi, o virus come ebola e HIV.
Medici Senza Frontiere: occorre abbassare i prezzi dei vaccini.

In questi ultimi giorni è cresciuta l’allerta globale contro un nuovo virus proveniente dalla Cina, contro il quale si sono mobilitati i cordoni sanitari di tutto il mondo. La pericolosità dei nuovi virus è dovuta al fatto che quando appaiono e iniziano a diffondersi, cure e vaccini non sono ancora stati messi a punto. Ma non dobbiamo dimenticare che, anche quando le malattie sono ben note e curabili, i costi dei farmaci e la difficoltà per farli giungere ai malati, rappresentano il maggiore ostacolo da superare.

Accade così, ancora nel 2020, che malattie come il morbillo, il diabete e la tubercolosi, o virus come l’HIV o Ebola, nonostante non destino eccessive preoccupazioni in molti paesi, in troppe regioni del mondo rappresentino minacce ben più presenti e mortali.
“Ecosistema”, il programma radiofonico di Earth Day Italia su Radio Vaticana, ne ha parlato con Silvia Mancini, esperta in salute pubblica di Medici Senza Frontiere.

Medici senza frontiere ha recentemente lanciato i suoi “desideri” per il 2020. Sono interventi contro delle malattie che in occidente destano poca preoccupazione, ma che in alcune regioni del globo sono veramente mortali. La principale e più nota è ebola, la cui situazione è particolare. Ebola è nota da diversi decenni ma le cure sono state messe a punto solo dal 2014, quando un’epidemia ha minacciato di esplodere a livello globale. Com’è adesso la situazione?

È una malattia che desta ancora preoccupazioni. In Nord Kivu, una zona del Congo, è attualmente in atto un’epidemia che ha provocato più di 3000 casi e oltre 2000 decessi; non si riesce ancora a tenerla sotto controllo, nonostante l’utilizzo di un vaccino che, come lei ha ricordato, è stato messo a punto successivamente alla grande epidemia del 2014-2016. Un vaccino che, però, ancora non riesce ad invertire la tendenza epidemiologica. I casi continuano ad aumentare anche perché si tratta di una zona dove ci sono scontri e grande tensione. Ciò porta difficoltà nel contenimento, e nella somministrazione adeguata e più larga del vaccino per tenere sotto controllo l’epidemia. Oltre a questo, dal nostro punto di vista, per i prossimi anni sarà importante garantire il vaccino a chiunque a prezzi equi ed accessibili; ed eventualmente inserirlo nella somministrazione dei vaccini di routine. Anche perché questo vaccino, scoperto successivamente alla grande epidemia del 2014, ha comportato uno sforzo congiunto di diversi attori della comunità internazionale (in primis dei pazienti, che si sono messi in gioco con le sperimentazioni cliniche) con moltissimi fondi pubblici: a partire da quelli canadesi, e poi anche di alcuni governi europei.

Il prezzo di queste cure entra in gioco anche per un’altra malattia che da noi ormai è quasi storia: la tubercolosi. In questo caso i farmaci ci sono ma, a quanto ho capito, sono vecchi e poco efficaci. Quelli nuovi costano di più.

Esattamente. Per anni abbiamo dovuto trattare i nostri pazienti con dei farmaci assolutamente obsoleti che provocavano una serie di effetti collaterali rilevanti; con un trattamento lunghissimo che superava spesso i due anni. Di conseguenza una serie di casi non venivano seguiti correttamente, perché moltissimi [malati] abbandonavano il trattamento per gli effetti collaterali come nausee e vomito, provocando quindi anche delle resistenze. Ora finalmente sul mercato sono entrati due nuovi farmaci: la bedaquilina in particolare, e il delamanid; ma sono ancora eccessivamente cari. Proprio ieri (22 gennaio, nda.) Medici Senza Frontiere ha protestato di fronte alla sede di Wall Street contro la Johnson & Johnson, il principale produttore della bedaquilina, che ha posto sotto brevetto il farmaco, per richiedere la riduzione del prezzo. È fondamentale che il prezzo venga ridotto perché in questo modo potremmo curare molti più pazienti. Soprattutto in considerazione del fatto che, sulla stessa linea del vaccino contro l’ebola, inizialmente, quindi alla scoperta, la bedaquilina ha usufruito di moltissimi fondi pubblici: è stato uno sforzo congiunto della comunità scientifica internazionale e di moltissime organizzazioni non governative, inclusa Medici Senza Frontiere. Il fatto che da uno sforzo congiunto ci sia una privatizzazione dei guadagni fa un po’ torcere il naso. Di più: fa veramente arrabbiare.

C’è in questo senso un caso forse ancor più triste: quello dell’insulina, che è stata scoperta un centinaio d’anni fa e regalata al mondo dagli scopritori, che tra l’altro per questo hanno ottenuto il Nobel. Ancora oggi però l’insulina è un qualcosa di costoso per le popolazioni dei paesi più disagiati.

Assolutamente si. L’insulina è [un esempio di] come si dovrebbe fare: mettere a patrimonio una scoperta scientifica che è un bene pubblico ed ha quindi una ricaduta sociale importantissima. Così è stato fatto. Ma oggi ci sono tre grossi produttori, Sanofi, Eli Lilly e Novo Nordisk, che detengono, diciamo così, un “monopolio”. Quindi una scarsissima concorrenza, congiuntamente a dei costi di produzione piuttosto elevati, porta all’innalzamento dei costi. Questo desta moltissima preoccupazione, perché oggi nel mondo ci sono 65 milioni di persone con un diabete di tipo 2 che hanno bisogno di insulina; ma solo la metà di questi ne ha accesso. Questa tendenza non diminuirà, perché c’è una crescita di casi di diabete nei paesi poveri e a medio reddito, anche a causa di stili di vita non sempre sani, com’è normale in contesti poveri. Chiaramente questo desta una serie di preoccupazioni, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha programmato, e sta mettendo a punto, un progetto pilota che porti all’estensione e all’individuazione di altri produttori che possano produrre l’insulina per aumentare la concorrenza ad abbatterne il costo. Ciò comporterebbe anche una pre-qualificazione dell’OMS; cioè, una volta che l’insulina sarà prodotta da altre aziende, l’OMS ne valuterà l’efficacia e la sicurezza prima che venga messa in commercio nei diversi paesi. Il caso dell’insulina desta sicuramente moltissima preoccupazione.

Continuando in questa catalogazione di casi emblematici c’è quello dell’HIV: quando è esploso comportava delle cure costosissime e sperimentali che però adesso hanno dei costi “accessibili” alla maggioranza. C’è però un’altra faccia della medaglia: mancano i farmaci pediatrici, per i bambini, perché l’industria farmaceutica non trova convenienza a svilupparli.

Questo avviene soprattutto perché nei paesi industrializzati l’HIV pediatrico è tenuto sotto controllo. La trasmissione materno-infantile è evitata e quindi nei paesi ricchi, che potrebbero avere un facile potere d’acquisto, non c’è un’esigenza specifica. L’effettivo bisogno risiede proprio nei paesi poveri, dove la trasmissione materno-infantile non è scongiurata perché la mamma sieropositiva spesso non sa di essere sieropositiva o non ha accesso alle cure; oppure partorendo trasmette la malattia al figlio. Si tratta di paesi “non solventi” che non hanno un interesse specifico per il mercato farmaceutico. A ciò si aggiunge il fatto che la lotta contro l’HIV, oggi più realizzabile nel primissimo stadio [del contagio], è comunque una sfida rilevante. Se i costi dei farmaci di prima linea sono oggi assolutamente sotto controllo, invece i farmaci di seconda o terza linea sono estremamente costosi. Sono quelli che vengono utilizzati se un individuo sviluppa delle resistenze o [i farmaci] hanno una mancata efficacia, una mancata risposta rispetto al primo trattamento. Quindi ci sono due problematiche maggiori: l’HIV pediatrico senz’altro è quella più rilevante, che probabilmente fa scuotere le coscienze; ma più in generale c’è la lotta contro i casi più complicati di HIV, che hanno bisogno di trattamenti più innovativi, di seconda e terza linea.

C’è poi il caso forse più frequente: quello dei paesi che non possono permettersi l’acquisto dei vaccini e quindi di fare vaste campagne di vaccinazione preventiva. È il caso della polmonite. C’è un dato terribile: ogni 39 secondi nel mondo un bambino muore di polmonite perché appunto non è stato vaccinato. Una malattia prevenibile molto semplicemente.

È una malattia spesso prevenibile. Spesso è causata dal pneumo-cocco e nel mondo ne muoiono moltissimi bambini. Il vaccino anti-pneumococcico è particolarmente costoso; ma è stato reso più accessibile da una serie di progetti pilota diffusi nei paesi in via di sviluppo secondo i quali, per accelerare appunto lo sviluppo di questo vaccino sul mercato, si donavano preventivamente una serie di fondi alle due case farmaceutiche che lo producevano: Pfizer e GlaxoSmithKline. Di fatto però queste agevolazioni vengono consentite solo ed esclusivamente in contesti particolarmente poveri. Il ché chiaramente è un bene. Allo stesso tempo però ci sono paesi a medio reddito e di medio sviluppo (ad esempio l’India e la Nigeria) in cui tassi di copertura vaccinali sono estremamente bassi e mortalità per infezioni legate al pneumococco è particolarmente elevata, ma che comunque non possono offrire “accessi privilegiati” a questo tipo di vaccino. Quindi i costi sono elevatissimi, proprio perché sono considerati paesi con un potere d’acquisto più elevato. Ciò chiaramente non consente di introdurre questo tipo di vaccini proprio nelle aree dove la mortalità risulta più elevata. Quindi [la polmonite] continua ad essere una sfida rilevantissima, per i paesi poveri assolutamente, ma anche per i paesi a medio reddito.

Un’altra malattia che colpisce particolarmente i bambini al di sotto dei 5 anni è il morbillo, che da noi alimenta al massimo le polemiche pro o contro le vaccinazioni. Invece, in paesi come il Congo, dove c’è un’emergenza di portata storica, il problema è avere a disposizione i farmaci per prevenirlo.

In Congo la situazione è anche più complessa, perché si tratta di un paese vastissimo con servizi sanitari non sempre adeguati; dove non sempre è fattibile il mantenimento delle coperture vaccinali al di sopra del 90% (questa in genere è considerata la soglia di copertura necessaria ad evitare che si diffondano le epidemie). Non è fattibile appunto perché le dimensioni sono vastissime. Spesso raggiungere alcuni villaggi remoti non è semplice. Ci sono delle zone di crisi dove la violenza e le lotte intestine tra le diverse fazioni spesso non permettono le vaccinazioni, e lasciano delle intere corti di nuovi nati senza una vaccinazione adeguata. Questo chiaramente provoca delle ricorrenti crisi epidemiologiche e ricorrenti epidemie di morbillo che, nei bambini di età inferiore ai 5 anni è particolarmente pericoloso e grave perché provoca un’alta mortalità. Anche dove non risulti mortale provoca spesso conseguenze rilevanti, come infezioni, polmoniti e meningiti. Quindi si tratta di un problema enorme.
Al momento l’epidemia in corso ha contagiato oltre 280 mila persone e fatto più di 5 mila morti. Medici Senza Frontiere è attiva in quest’area per cercare di vaccinare; di aiutare il ministero della salute ad estendere e innalzare le coperture vaccinali; ma anche di curare i bambini che sono affetti dal morbillo. Non esiste una cura specifica: si possono curare i sintomi e somministrare eventualmente delle cure, anche di supporto, per fare in modo che il sistema immunitario possa rispondere in maniera adeguata; soprattutto dove ci siano delle concomitanze di casi di malaria o di malnutrizione. Quindi si somministrano anche la vitamina A e lo zinco, e laddove ci siano delle co-infezioni di malaria, anche antibiotici. Resta il fatto che comunque il sistema sanitario congolese, che si trova impegnato anche sul fronte dell’ebola nella zona del Nord Kivu, attualmente ha risorse limitate per combattere un’epidemia dalle dimensioni così rilevanti. Bisogna tener conto che [il morbillo] è un’infezione estremamente contagiosa e si propaga per via aerea; quindi è facilmente trasmissibile da bambino a bambino.

Ci sono poi epidemie e focolai che nascono in conseguenza ad eventi ambientali, che siano o meno causati dall’Uomo. Un esempio è l’emergenza malaria in Venezuela, causata dal fenomeno delle miniere d’oro illegali. Come nasce questa correlazione?

A seguito della gravissima e pesantissima crisi economica che, ormai da qualche anno, sta attraversando il Venezuela, moltissimi venezuelani emigrano nella zona dove sono queste miniere d’oro, in uno degli stati più grandi del paese: lo stato del Bolivar. Lo sfruttamento del suolo ha creato le condizioni ottimali per il diffondersi della malaria: scavando il suolo si creano spesso delle pozze d’acqua, habitat ambientale favorevole allo sviluppo delle larve e al ciclo di vita della femmina della zanzara anopheles che trasmette la malaria. Questo ha causato dei picchi di malaria in un paese in cui, fino a qualche anno fa, si erano invece registrati dei successi incredibili, e che si era posto come principale protagonista nella lotta alla malaria. L’enorme movimento di popolazione, la promiscuità e le precarie condizioni di vita fanno il resto, enfatizzando e ampliando i numeri dei casi di malaria. Perché, con una densità di popolazione più elevata, una zanzara passa da persona a persona trasmettendo la malattia e l’infezione. Oggi i casi sono superiori ai 300 mila. Medici Senza Frontiere è attiva nello stato del Bolivar e in altri stati per curare i casi di malaria, e diagnosticarli rapidamente, in modo che l’intervento possa essere immediatamente somministrato. Una delle politiche adottata da MSF nel paese è mettere in piedi dei laboratori, dei sistemi di cura della malaria direttamente vicini all’epicentro della malattia. In questo modo chiaramente la diagnosi è più immediata e la cura può essere somministrata in maniera più diretta e consequenziale. Alcuni di questi centri di salute si trovano per esempio direttamente all’interno delle miniere. Inoltre Medici Senza Frontiere sta supportando il programma nazionale di cura alla malaria, anche in alcuni ambulatori locali nella municipalità di Sifontes (sempre nello stato del Bolivar, nda.). Perché anche qui c’è stato un enorme incremento di casi e di popolazione, e quindi in questo modo siamo in grado di rispondere efficacemente diciamo al problema. Oltre ai casi di malaria, considerato il fatto che il Venezuela sta attraversando una crisi pesantissima, con un calo di servizi sanitari anche su altri fronti, MSF aiuta la popolazione anche su altre questioni: per esempio la salute materno-infantile e riproduttiva, e la cura delle malattie croniche non trasmissibili.

Un altro tipo di relazione tra clima, ambiente e crisi sanitarie è quello delle alluvioni. In questo momento stanno colpendo ad esempio il Sud Sudan, dove quasi un milione di persone sono interessate, e addirittura due terzi di loro hanno bisogno di assistenza umanitaria immediata. Le alluvioni possono accadere ovunque, anche nei paesi più avanzati. Quali sono le complicazioni sanitarie che seguono un’alluvione?

Oltre agli effetti più tangibili (si ritrovano spesso in ripari precari e in condizioni di vita difficili) le persone sfollate nell’immediato sono esposte a tutta una serie di rischi come: le malattie respiratorie, perché appunto spesso dormono fuori, in condizioni precarie; la mancanza d’igiene; la promiscuità; i casi di diffusione di diarree e colera. Insomma tutta una serie di conseguenze legate alla mancanza d’igiene, all’esposizione agli agenti atmosferici, al freddo e così via. La scarsità d’acqua [e l’acqua] poco pulita favoriscono la diffusione di malattie a trasmissione oro-fecale. Il colera è il caso più grave ma ci sono anche le diarree acquose, che possono causare fastidi gastro-intestinali, oltre a problemi come la scabbia [causati] anch’essi da mancanza d’igiene.

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