Salvinia molesta e Craspedacusta sowerbii: due specie aliene invasive introdotte per caso o per incuria in ecosistemi fragili vicino Roma. Lo zoologo Andrea Monaco racconta alcuni casi esemplari di minacce alla biodiversità italiana, da prevenire con l’aiuto di tutti.
Come è arrivata una medusa cinese a nuotare in un lago degli Appennini? E come può una felce acquatica brasiliana rappresentare un pericolo per gli animali che abitano un pozzo carsico in provincia di Roma? Sono due esempi delle cosiddette specie aliene: animali e vegetali introdotti per caso, per incuria o per errore in ecosistemi locali, minandone l’equilibrio millenario. L’Unione Europea ha stilato una lista di una settantina di specie esotiche presenti nel nostro continente: dal gambero della Louisiana al calabrone asiatico, dalla rana toro americana al pesce gatto dei coralli, dal giacinto d’acqua al rabarbaro gigante. Tutte presenze che i cittadini europei dovrebbero conoscere e segnalare, se hanno a cuore la sopravvivenza di animali, piante ed ecosistemi originari dei nostri ambienti naturali.
“Ecosistema”, il programma di Earth Day Italia trasmesso da Radio Vaticana Italia, ne ha parlato con Andrea Monaco, zoologo esperto di specie aliene.
Che cosa ci fa una medusa cinese in un lago dell’Appennino? Com’è possibile che ci sia arrivata?
Ha saputo della medusa… L’ho pescata personalmente con un mio collega, Andrea Pieroni, della Riserva Naturale Monte Navegna e Monte Cervia (provincia di Rieti, nda.). Molto probabilmente c’è arrivata secondo due possibili modalità. Con il commercio di piante acquatiche: basta semplicemente che qualcuno abbia comprato una pianta acquatica a Roma, e magari poi l’abbia spostata con l’acqua nella sua casa di villeggiatura sul lago. Questo potrebbe essere il canale di introduzione. Oppure potrebbe essere arrivata con stock di pesce non certificato, introdotto per fini di pesca sportiva, con micro organismi di vario genere che vivevano nell’acqua in cui sono stati trasportati. Ma questo è solo un esempio. Un esempio molto significativo, perché fa effetto anche il solo racconto: una medusa d’acqua dolce – e già uno si può sorprendere che esistano le meduse d’acqua dolce – che viene dall’altra parte del mondo e la ritroviamo in un’area del profondo Appennino, neanche tanto esposta ai commerci e agli spostamenti degli uomini. Fortunatamente le informazioni che abbiamo ad oggi, ci dicono che non si tratta di una specie aliena invasiva. È sicuramente aliena, ma per il momento non abbiamo evidenze che possa avere il carattere dell’invasività, e quindi possa creare danni alla biodiversità, o anche all’economia o alla salute dell’uomo. Peraltro questa specie, Craspedacusta sowerbii, è stata ritrovata anche in alcuni laghi alpini.
Le specie si muovono e si sono sempre mosse con l’uomo, che le ha aiutate molto a muoversi; le ha sempre trasportate, fin dall’antichità. Quello che ci deve preoccupare però è il cambio di passo seguito all’esplosione della globalizzazione.
Il pericolo può essere chiaro per delle specie animali come ad esempio la tartaruga palustre americana, che va a predare e a prendere gli spazi delle testuggini italiane che sono qui da sempre. Però c’è anche il caso della felce brasiliana: che pericolo può essere per la vegetazione locale una felce brasiliana che sta a terra e ovviamente non può spostarsi?
Credo che lei stia citando un caso poco raccontato: meno di quanto dovrebbe. Stiamo parlando di Salvinia molesta: il nome ci fa un po’ tremare. Una specie che alcuni anni fa (nel 2013, nda.), a seguito di un referendum internazionale tra gli esperti di specie aliene invasive, è entrata nell’elenco delle cento specie riconosciute tra le più invasive nel mondo. Salvinia molesta (detta anche “erba pesce gigante”, nda.) ha avuto un caso molto esemplare: a un certo punto ce la siamo ritrovata in un posto molto particolare, nei dintorni di Roma, che si chiama Pozzo del Merro. Racconto questa storia perché fa capire di che cosa ci dobbiamo preoccupare. Salvinia molesta è una piccola felce natante, fluttuante sui bacini d’acqua interni, non marini. Presumiamo, ma non abbiamo la certezza, che sia stata introdotta da qualcuno che, non potendo più tenere a casa una trachemys, la testuggine americana, ha rovesciato [nello specchio d’acqua], il contenuto del suo acquario: trachemys, acqua e, presumiamo, anche la Salvinia molesta. È successo che è stata notata la presenza [in loco] di questa specie che non c’era mai stata. Dopo poco tempo ci si è accorti che felce aveva proliferato a tal punto da coprire completamente lo specchio d’acqua. Il problema è che sotto l’acqua, la luce non è più passata. Il Pozzo del Merro è un posto speciale: sta nei Monti Cornicolani, e si prolunga con una galleria sotterranea di oltre 500 metri. In gergo tecnico si chiama “sink hole”, ed è il secondo più profondo del mondo. Dentro questo pozzo c’è un piccolo organismo: un crostaceo di acqua dolce che si chiama Niphargus cornicolanus; è talmente autoctono che sta solo lì, e da nessuna altra parte nel mondo. L’impossibilità di penetrazione dei raggi di luce, e quindi di attivazione di quelle catene trofiche (alimentari, nda.) che permettono la sopravvivenza di specie come Niphargus, ha messo a rischio di estinzione una specie unica, che avremmo perso completamente. Fortunatamente l’Università La Sapienza ha coordinato un intervento di rimozione, credo anche con l’aiuto dei sommozzatori dei Carabinieri. È stata trovata anche la trachhemys, rimossa insieme alla felce che non si è più ripresentat. Adesso quell’ecosistema così delicato è ritornato al suo antico splendore.
In questo recupero di ecosistemi endemici può avere un ruolo anche la gente normale. Ci sono piattaforme digitali su cui si possono segnalare specie aliene, ovviamente conoscendole. Come possiamo informarci ed agire?
Quello del cittadino “qualunque”, cioè di tutti noi – e voglio dargli valore non sminuirlo – è un ruolo cruciale; perché molti dei comportamenti che poi si concretizzano nell’introduzione in ambiente di una specie aliena invasiva, animale o vegetale, sono della nostra quotidianità. Quindi è determinante che tutte le persone siano sensibilizzate e abbiano un minimo di conoscenza su questa grossa problematica (l’invasione di specie aliene, nda.) che, ricordo: è la seconda minaccia alla biodiversità su scala globale (dopo la distruzione degli habitata, nda.); comporta ogni anno danni a livello europeo per miliardi di euro; ed è una grave minaccia anche per la salute dell’uomo. Faccio un esempio che tutti conoscono: la zanzara tigre, che ha completamente cambiato le nostre vite, è una speciale aliena invasiva, arrivata con un carico di copertoni al sud est asiatico.
Tutti noi possiamo fare qualcosa. Il primo passo è la consapevolezza. Cioè avere quelle informazioni di base che ci facciano capire quali sono i rischi legati a comportamenti non sicuri. Consideriamo che la maggior parte delle introduzioni [di specie aliene] legate all’uomo sono di natura involontaria. Altre sono di natura volontaria, come immagino sia stato nel caso del Pozzo del Mero e della trachemys rilasciata. Noi vediamo tante trachemys in giro per i nostri corsi d’acqua. Anche in ambienti meravigliosi dove c’è la specie originaria, la Emys orbicularis (testuggine palustre europea, nda.), messa a rischio da persone che, credendo di fare una cosa giusta, rilasciano questo animale (la trachemys, nda.) che poi sarà un grande competitore, vincente rispetto alle specie originarie.
La consapevolezza è il primo passaggio. Non a caso insieme a ISPRA, Legambiente, Federparchi e altri soggetti, abbiamo messo in piedi il progetto internazionale LIFE Asap: il primo progetto su scala europea finalizzato alla comunicazione delle specie aliene, alla sensibilizzazione del grande pubblico e dei portatori d’interesse, rispetto ai rischi che esse comportano. Bisogna parlare con le persone. Per esempio, una delle campagne che abbiamo fatto nell’ambito di questo progetto LIFE è stata parlare con i viaggiatori. Negli scorsi giorni abbiamo portato a termine un presidio andato avanti per due anni all’aeroporto di Fiumicino, in cui parlavamo con le persone. Il nostro slogan era: “Informati, pensa, viaggia”; perché cercavamo di parlare con i viaggiatori, informandoli dei rischi legati al trasporto, spesso involontario, di piante o animali. Animali che noi trasportiamo su souvenir naturali, comprando all’estero bulbi, oggetti in legno. Animali o piante, o semi, o pezzi di piante che trasportiamo da una parte all’altra del mondo sui vestiti, nelle tende da campeggio, nelle attrezzature da alpinismo, nella terra incastrata sotto le suole delle scarpe che abbiamo usato per fare magari un’escursione in un posto meraviglioso in Nuova Zelanda o da qualche altra parte. Ci sono tanti piccoli atti quotidiani che facciamo inconsapevolmente che possono aumentare i rischi di spostamento di specie, con impatti che a volte neanche ci rendiamo conto di provocare.