Giulio Betti a Pordenonelegge 2024 - Foto Cozzarin per gentile concessione di Aboca Edizioni
Cambiamento Climatico Interviste

Annibale, Eric e le vigne inglesi: un libro contro la disinformazione sul clima

Intervista a Giulio Betti, climatologo del CNR e autore di “Ha sempre fatto caldo” (Aboca Edizioni), brillante volume che oppone dati e ragionamenti scientifici alle teorie e all’aneddotica propugnate dai negazionisti.

Girovagando tra gli stand degli editori, durante la recente fiera Più Libri Più Liberi, ero alla ricerca di pubblicazioni a tema ambientale, scientifico, ecologico, divulgativo da riportare al pubblico come segno di interesse degli editori e degli autori per questi temi, in questo momento storico. Alla postazione di Aboca Editore – che pochi anni fa ha pubblicato un interessante “Viaggio nell’Italia dell’Antropocene” di Telmo Pievani e Mauro Varotto, corredato di cartine che mostrano come vaste regioni del nostro territorio sarebbero sommerse completamente se le calotte polari si sciogliessero – l’occhio è caduto su una copertina decisamente curiosa. Il frontespizio di “Ha sempre fatto caldo” mostra il disegno di un dinosauro con gli occhiali da sole in piedi su una tavola da surf. Il titolo è uno dei cavalli di battaglia dei negazionisti climatici: anche in passato il clima, come raccontato dalle cronache storiche, era più caldo dell’attuale. L’optimum climatico ai tempi dell’impero romano, gli inverni miti del basso medioevo, il nome stesso di alcuni luoghi, come la Groenlandia (“isola verde”) così battezzata da Eric il Rosso, sono testimonianze inoppugnabili di lunghi periodi di temperature più alte che hanno sempre favorito lo sviluppo delle civiltà e i viaggi di esplorazione. Ero dunque di fronte a un libro negazionista? La perplessità è stata fugata prima dal sottotitolo: “E altre comode bugie sul cambiamento climatico”; e poi dal nome dell’autore: Giulio Betti, climatologo del CNR e del Consorzio LaMMA – Laboratorio di Monitoraggio e Modellistica dell’Ambiente. La vivace copertina infatti è solo un indizio del carattere divulgativo e non specialistico del libro, che nella successione dei capitoli fuga ogni dubbio sulla realtà del riscaldamento globale, disinnescando ogni falso mito negazionista con un linguaggio semplice, rigoroso e con una robusta dose di riferimenti a studi scientifici.

Quella che segue è l’intervista all’autore. Abbiamo voluto iniziare proprio dal titolo e da alcuni eventi storici che, soprattutto sui social, rispuntano fuori ogni volta che qualcuno vuole confutare gli allarmi sulla crisi climatica.

I romani andavano in giro con le tuniche e i pepli, le donne; e poi c’è la storia di Annibale, che passò le Alpi col suo esercito in ottobre, e con gli elefanti. Perciò dalle nostre parti esisteva la civiltà anche con un clima dalle temperature medie più alta. Che risposta può dare la scienza a questa obiezione?

La scienza risponde che in realtà all’epoca dei romani e di Annibale i periodi climatici erano effettivamente leggermente più umidi rispetto a quelli precedenti e successivi, ma molto più freddi rispetto ad oggi.

È facile far passare una verità citando degli esempi in maniera superficiale, ma quando poi approfondiamo la storia, le cronache e i dati oggettivi, vediamo che in realtà il clima era ben diverso rispetto ai giorni nostri. L’impresa di Annibale fu molto più difficile e tragica di quanto si racconta: i suoi elefanti furono uccisi non dai romani, ma dal gelo d’inverno padano del 218. Le tuniche dei romani in realtà erano molto più pesanti di quanto si pensi. Perciò bisognerebbe approfondire e farsi delle domande, prima di giungere a conclusioni affrettate.

Nel libro racconta anche il caso del vino inglese: del fatto che ora, come durante il medioevo, dei periodi di caldo prolungati hanno permesso di impiantare vigne anche in Inghilterra. La conseguenza sarebbe: bene, cambierà il clima, cambieranno le temperature, ma ci si adatterà; si farà il vino da altre parti e magari si coltiveranno banane non solo nei paesi tropicali.

In realtà già adesso si sta piantando con successo il mango in Sicilia, e molte specie mediterranee e subtropicali stanno avanzando verso nord. Sì, ci si adatta al clima. Una delle azioni da mettere in atto è proprio l’adattamento al cambiamento climatico. C’è solo un piccolo problema: ci si può adattare se il cambiamento climatico rallenta la sua corsa; ma con un mondo che si scalda al ritmo attuale si farà molta fatica a far in modo che l’adattamento di oggi sia ancora valido fra trent’anni. L’adattamento è sacrosanto e necessario, ma bisogna anche mitigare: cioè ridurre le forzanti (le cause: ad esempio le emissioni di gas serra, ndr.) che stanno determinando questo rapidissimo aumento della temperatura globale.

Ad esempio, il freddo di questi giorni in Italia non è nulla di eccezionale, perché siamo a dicembre; ma se lo paragoniamo a ciò che sta succedendo nel resto del mondo, risulta una delle pochissime eccezioni di temperature leggermente inferiori alla media. Altrove, in questi giorni, dominano temperature superiori. Perciò bisogna fare i conti con la realtà, e la realtà ci dice che l’adattamento è necessario perché il clima si sta scaldando, ma si sta scaldando troppo in fretta, e un adattamento non sarà mai efficace se non rallentiamo questo processo.

Un altro argomento dei negazionisti riguarda la veridicità dei dati con cui vengono stilati i rapporti sul clima. Si fa l’esempio delle temperature rilevate delle centraline posizionate in contesti urbani dove, come è noto, la temperatura è più alta a causa del cemento.

Va detto innanzitutto che il numero delle stazioni di rilevamento urbane sono una minoranza assoluta rispetto a quelle periurbane e rurali. Tra l’altro, i trend di rialzo delle stazioni urbane rispetto a quelle rurali sono esattamente gli stessi. Infine, tutti i livelli termici urbani subiscono una correzione. Ormai da decenni i sistemi statistici correggono questo piccolo errore di surplus di calore dovuto alla conurbazione che, ripeto, a livello globale e regionale è del tutto ininfluente.

Inoltre le temperature sono registrate in maniera capillare ed estremamente precisa; e , rispetto al passato, possono contare anche su osservazioni satellitari e marittime. Abbiamo strumenti che coprono praticamente tutto il globo. Spesso ci viene contestato che si riesca a registrare la temperatura media di un pianeta. L’Uomo riesce a misurare con precisione la grandezza di atomi e particelle subatomiche; figuriamoci se sia un problema per l’essere umano misurare la temperatura del pianeta con tutte le osservazioni che abbiamo a disposizione.

Vorrei sottolineare che questo non è un libro catastrofista, espone anche le strategie internazionali di adattamento e mitigazione a quello che comunque è un cambiamento in atto e non più reversibile. Il capitolo finale è dedicato ad esempi di buone pratiche, messe in atto sia in paesi all’avanguardia, sia anche in paesi meno sviluppati dal punto di vista industriale ed economico.

Come detto, l’adattamento è una delle risposte più efficaci e di immediato effetto; anche perché ormai siamo molto avanti, come è stato giustamente sottolineato: certi processi ormai sono irreversibili.

Quindi che cosa bisogna fare? Innanzitutto non farsi prendere dal catastrofismo e pensare che tutto sia finito; perché altrimenti falliremo l’obiettivo di uscire da questa situazione o di attenuarla. Ci sono esempi virtuosi come la rinaturalizzazione dei territori, il ripristino delle aree umide e delle aree verdi, che non sono mera propaganda ecologista, ma Scienza con la “s” maiuscola.

Laddove sia possibile farlo – e ci sono miliardi di ettari di territorio nel mondo che possono essere “facilmente” rinaturalizzati – tutto ciò che viene riportato allo stato naturale porta benefici: immediati per le comunità; quasi immediati al clima; e immediati rispetto ai fenomeni estremi, riducendo l’effetto delle piogge intense e delle alluvioni, assorbendo l’anidride carbonica in eccesso, e recuperando biodiversità. Quindi questa è la prima cosa da fare. Ci sono esempi virtuosi non soltanto in paesi sviluppati, come in Olanda e in altri stati europei; ma anche in India, in Africa, in Cina, addirittura in Indonesia, dove hanno messo in atto dei processi di rinaturalizzazione che stanno dando dei frutti eccellenti.

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