Ecosistema Interviste

Apre la caccia: in campo cacciatori, guardie e bracconieri

Da metà settembre a fine gennaio circa 700 mila cacciatori e un numero indefinito di bracconieri percorrono le aree verdi del paese per “prelevare” specie cacciabili e non.

Domenica 19 settembre ha avuto inizio la stagione venatoria 2021-2022 che, come stabilisce la legge, salvo deroghe regionali si concluderà il 31 gennaio 2022. In Italia le licenze di caccia oscillano da anni intorno alla quota di 700 mila. La tendenza è stabile nell’ultimo decennio. È opinione comune, corroborata dai numeri, che le nuove generazioni siano meno attratte da questa pratica: negli anni ’80 i cacciatori erano intorno al milione e mezzo; mentre dalla metà degli anni ’90 sono scesi sotto la soglia del milione, continuando a calare fin ai numeri attuali. Secondo una ricerca diffusa anni fa da Federcaccia, la maggiore associazione italiana che riunisce più della metà dei cacciatori, il 78% di loro ha iniziato a cacciare proseguendo una tradizione familiare; e un altro 27% essendo iniziato da amici o conoscenti. Il 3% dei cacciatori ha dichiarato tra le motivazioni la passione per gli animali e la natura.

La legge italiana definisce la fauna selvatica “patrimonio indisponibile dello Stato”. Ai singoli cacciatori è consentito “prelevare” un certo numero di animali ogni anno e per ogni uscita; inoltre ogni cacciatore può uscire per un numero limitato di giorni durante la stagione venatoria, e mai di martedì e venerdì. Ovviamente non tutte le specie sono cacciabili: le regioni pubblicano ogni anno l’elenco delle specie consentite e il periodo durante il quale le si può cacciare. Ogni cacciatore è tenuto a registrare la propria attività sul tesserino venatorio personale ogni volta che esce: data e luogo prescelto, specie abbattute. Queste annotazioni vanno fatte sul momento, per consentire ad eventuali controlli sul campo di verificare che il cacciatore non abbia infranto i limiti stabiliti. Questi “controlli sul campo” vengono effettuati dalle Forze dell’Ordine, in prevalenza Carabinieri Forestali e Polizia Provinciale, spesso affiancati o richiamati da guardie volontarie. La legge infatti dà la possibilità anche ai cittadini di partecipare alla difesa e alla repressione dei reati relativi alla caccia e alla pesca, attraverso forme particolari di volontariato. Su tutto il territorio nazionale sono attivi quindi numerosi gruppi di “guardie venatorie volontarie”, “guardie zoofile” ed “ecozoofile” che controllano il territorio durante la stagione venatoria. Molti di questi volontari sono formati e organizzati da associazioni nazionali come WWF e LIPU, e spesso, dato le loro competenze specifiche sugli animali, svolgendo una fondamentale funzione di consulenza alle Forze dell’Ordine per il riconoscimento delle specie.

Luca Demartini – LIPU

All’indomani della prima giornata della stagione venatoria EarthDay.it ha intervistato Luca Demartini, coordinatore nazionale della Vigilanza Volontaria della LIPU, attivo in questi giorni nei controlli anti bracconaggio in tutta la provincia di Roma. L’audio e la trascrizione che seguono sono la versione integrale dell’intervista trasmessa in “Ecosistema”, la rubrica radiofonica di Earth Day Italia, in onda ogni giovedì nel programma “Il Mondo alla Radio” di Radio Vaticana Italia.

Che effetto ha avuto il lockdown sulla passata stagione venatoria 2020/2021?

Durante il lockdown la caccia è stata una delle attività permesse, ovviamente con più o meno limitazioni di spostamento territoriale, a seconda della regione di residenza dei cacciatori.  Questo ha sicuramente limitato lo spostamento dei cacciatori da una regione all’altra.

L’impatto sulla fauna?

In alcuni casi abbiamo registrato una diminuzione netta dell’attività venatoria, con conseguente beneficio per la fauna.

Si è detto che la natura in generale si sia ripresa grazie al lock down. Questo è vero anche per la “cacciagione”?

Sì, la cosiddetta “selvaggina”, la fauna cacciabile, essendo stata sottoposta a minore pressione ovviamente ne ha risentito in maniera positiva. Più in generale tutta la fauna ne ha risentito in maniera positiva perché il disturbo antropico sugli ambienti naturali, che solitamente è sottostimato, sicuramente è stato minore.

Qual è la geografia italiana della caccia? In quali regioni ci sono più cacciatori?

L’Italia ha una tradizione rurale abbastanza viva, anche se è cambiata negli ultimi lustri; perciò la caccia è ancora abbastanza diffusa in tutto il territorio nazionale, però con delle tradizioni venatorie molto differenti, a seconda delle varie zone. Il nostro è un paese di transito degli uccelli migratori, che si comportano in maniera differente sulle Alpi rispetto alle zone costiere. Quindi nei secoli passati si sono sviluppate tradizioni venatorie molto diverse. Abbiamo regioni in cui è molto forte l’attività venatoria sugli ungulati, la cosiddetta “caccia di selezione”: le zone montuose, alpine o della catena appenninica settentrionale. Ci sono zone invece in cui è ancora molto viva la tradizione di caccia alla piccola fauna migratoria, i cosiddetti “uccelli canori” di cui alcune specie sono ancora cacciabili: ad esempio il tordo e l’allodola. Ci sono zone in cui questa tradizione è ancora estremamente viva: la Lombardia è una zona ad altissima densità venatoria, con un altissimo impatto sulle popolazioni migratorie di piccoli uccelli; poi abbiamo la Toscana, il Veneto e l’Umbria dove la tradizione venatoria è molto forte.

Quali sono le specie più cacciate in Italia?

C’è da premettere che [in Italia] abbiamo un elenco di specie animali a cui è possibile legalmente sparare. Ovviamente queste sono le specie più colpite, perché vengono cacciate in tutte le regioni. Purtroppo abbiamo delle tradizioni molto forti di caccia illegale: il bracconaggio. Ad esempio una specie che chi abita in città non si aspetterebbe mai tra le più colpite è il pettirosso: nelle valli del bresciano si sono arrivati a stimare centinaia di migliaia, se non un milione e più, di pettirossi uccisi ogni autunno. Rimarco che il pettirosso è una specie protetta.

Tra le specie cacciabili?

Sicuramente i tordi e le allodole, che peraltro hanno subito un declino fortissimo negli ultimi anni. Ci sarebbe da interrogarsi fortemente sull’eventualità di chiudere definitivamente la caccia all’allodola. Una specie che viene colpita è la tortora selvatica, laddove vengono fatte le preaperture (periodi di caccia aperta concessi in deroga talvolta dalle regioni, nda.); e poi abbiamo il colombaccio. Tra gli ungulati sicuramente la specie più cacciata in assoluto è il cinghiale.

Quali sono le specie che non dovrebbero essere più cacciabili ma protette perché stanno diminuendo di numero?

Stiamo assistendo a fenomeni di trasformazione profonda dei nostri ambienti naturali, per motivazioni locali: la meccanizzazione; l’utilizzo sempre maggiore o comunque continuo di farmaci in agricoltura. Le attività agricole sono cambiate rispetto a un tempo, anche nelle tempistiche. Questo ha reso meno ospitali i nostri agro-ecosistemi per alcune specie. L’altro problema lo vediamo: veniamo da un’estate di incendi; abbiamo dei cambiamenti climatici, delle siccità sempre più lunghe, degli eventi meteo sempre più forti. Questo sta provocando lo spostamento della distribuzione degli uccelli e la diminuzione di alcune specie di uccelli. Bisognerebbe essere più veloci, più pronti a chiudere o limitare la caccia rispetto ad alcune specie. Per fortuna negli ultimi due anni alcune specie, che prima erano tradizionalmente cacciabili, sono state oggetto di protezione: per esempio la pavoncella e il moriglione

Quali avrebbero bisogno di protezione?

Ne cito due: l’allodola e la tortora selvatica.

In base alla sua esperienza sul campo chi sono i cacciatori “regolari”. Quali sono i motivi che li spingono? Sono degli sportivi e degli amanti della natura, come molti di loro amano definirsi? C’è una percentuale di loro che caccia per mangiare o portano solo avanti tradizioni familiari o antiche?

La domanda mi impone di lavorare un po’ di fantasia, non appartenendo ovviamente al mondo venatorio.  Dagli incontri quotidiani con i cacciatori, che in due decenni di vigilanza venatoria ho avuto occasione di fare durante la stagione venatoria, posso dire che non è facile fare un ritratto del calciatore-tipo. Penso che non esista il cacciatore-tipo. Esistono sicuramente quelli che escono a caccia perché lo facevano il padre e il nonno. Sono legati a tradizioni e a quelli che loro ritengono essere dei riti di rapporto con la natura che, dal mio personale punto di vista, sono ormai anacronistici. Ci sono persone che però continuano a vivere questa realtà adattandola alle nuove leggi. Negli ultimi 40 anni abbiamo assistito ovviamente a una maggiore limitazione dell’attività venatoria, sia per adattarci alla trasformazione dell’ambiente, sia perché l’attività venatoria oggi è vista e percepita in un’altra maniera dalla gran parte della popolazione italiana. La legislazione ha seguito questo trend, ponendo dei paletti, in alcuni casi abbastanza stringenti, sull’attività [venatoria]. Io direi che in alcuni casi questi paletti vengono troppo facilmente aggirati. Non ce l’ho questo momento con i singoli cacciatori, ma con delle interpretazioni a livello locale delle normative nazionali.

In che percentuale un cacciatore che torna a casa con il carniere pieno di volatili poi mangia ciò che ha cacciato?

Penso prossima allo zero, a meno di fare un pasto particolare alla fine della stagione venatoria. Immaginate quanto possa pesare un tordo: mezzo etto?

Quindi si può dire che i cacciatori di volatili vedono sé stessi esclusivamente come cacciatori sportivi

Sicuramente non parliamo di una pratica che mira a procurarsi il cibo.

Il fenomeno “bracconaggio”. La caccia legale è rigorosamente regolata. Troppo spesso però condivide luoghi e stagioni con il fenomeno del bracconaggio: un crimine ambientale che mette a serio rischio il nostro patrimonio naturale. L’inizio della stagione venatoria coincide anche con l’impennata dell’attività illegale di chi non si fa scrupolo di saccheggiare la natura per i propri interessi. Il bracconaggio infatti è qualunque pratica venatoria che non rispetti le regole della caccia incorrendo in reati penali. Si commette un atto di bracconaggio, ad esempio cacciando in aree protette, o ancora quando si spara ad animali tutelati dalla legge, come i rapaci, i lupi e gli orsi. I cacciatori commettono reato anche quando superano il limite di prede consentite per quel giorno o per quella stagione; quando cacciano senza licenza, o con la licenza scaduta; quando vengono colti ad usare armi non registrate, o illegali, o modificate in maniera illecita; quando cacciano da un’automobile; quando fanno uso di trappole, richiami elettronici o Secondo il rapporto annuale del CABS, comitato internazionale che registra i casi di bracconaggio nei diversi paesi, nei 134 giorni della scorsa stagione venatoria, in Italia sono stati denunciati 515 casi di bracconaggio e 921 persone. Ci sono stati 460 abbattimenti di specie particolarmente protette come i pettirossi, le aquile, i cardellini, ed anche 16 lupi e una rara cicogna nera. Nel rapporto si evidenziano anche 209 casi di trappolaggi che vengono effettuati con meccanismi particolarmente crudeli. Intorno al bracconaggio ci sono forti interessi economici: le pregiate carni selvatiche di cinghiali, cervi e altri ungulati finiscono nei ristoranti anche per vie illegali; così come succede per migliaia di uccelli di piccola taglia che finiscono allo spiedo o in piatti tradizionali che possono arrivare a costare al cliente molte decine di euro. C’è poi il commercio di uccelli “ornamentali”, quelli canori, che vengono catturati illegalmente in natura per poi essere rivenduti ed esposti in gabbia.
Purtroppo quelli del rapporto sono numeri che, secondo la stessa associazione, rappresentano soltanto “la punta di un iceberg”: il CABS, nel penultimo rapporto aveva stimato 2,5 milioni di reati venatori all’anno in Italia; e soltanto lo 0,04% di questi è stato scoperto e denunciato. Il motivo sta anche nella carenza di mezzi e personale per i controlli. Secondo i dati il lavoro maggiore lo fanno i Carabinieri, Forestali e non, coinvolti nel 76% dei casi denunciati. Un altro 13% dei reati è stato scoperto dalle diverse polizie provinciali; e un 4% dai corpi forestali regionali. Un ruolo di spicco spetta anche alle associazioni di volontariato, che mediamente sono protagoniste di un terzo delle denunce di reato.

Chi sono i bracconieri? Che cosa li spinge?

Distinguiamo innanzitutto due mondi nel bracconaggio: esistono quelli che vogliono mantenere e continuare determinate attività nonostante oggi siano vietate; e non sono spinti da motivazioni economiche…

A che danno la caccia?

Molto spesso agli uccelli. Persone che sparano a specie non cacciabili o non ancora cacciabili: cioè il periodo (la stagione di caccia concessa per quelle specie, nda.) è stato chiuso o non ancora aperto. Oppure sparano a specie protette: ad esempio i fringillidi, o lo storno che, in larga parte del territorio nazionale è protetto, è cacciabile solo in deroga in alcune regioni, storicamente è stato cacciato in epoche passate. Assistiamo a molti episodi in cui cacciatori sparano tranquillamente allo storno anche se è protetto, come a diverse altre specie. Questi non sono bracconieri a fine economico.  Esiste poi tutto un filone di bracconaggio indirizzato invece sia verso gli uccelli che verso i mammiferi: ad esempio il bracconaggio al cinghiale nelle aree protette; quello ai piccoli uccelli nel bresciano e in Sardegna. La carne di questi animali viene avviata al consumo illegale all’interno di sistemi di ristorazione che hanno un mercato parallelo rispetto a quello legale, e in cui questi animali vengono serviti.

Quali sono i metodi di caccia illegale più odiosi? Quelli che lasciano meno in scampo alle specie cacciate?

Rispetto ai mammiferi penso soprattutto al diffuso utilizzo del laccio d’acciaio, che intrappola l’animale praticamente strangolandolo: rimane preso per il collo in attesa che il bracconiere “pietosamente” venga a finirlo. Purtroppo è un metodo non selettivo, nel senso che nel cappio d’acciaio posizionato ad esempio per il cinghiale, possono facilmente finire un cervo, un capriolo, un vitello, un puledro, un cane o magari un animale molto molto più prezioso dal punto di vista della conservazione come il lupo. Il lupo rimane spesso vittima di questi arnesi che non sono messi per lui (se non in casi molto rari) ma per altre specie.  Altro metodo non selettivo utilizzato sono le reti, soprattutto per i piccoli uccelli. Poi abbiamo dei marchingegni diabolici: gli archetti che, ad esempio sulle Alpi, intrappolano e spezzano le zampe dei pettirossi o degli altri piccoli uccelli, lasciandoli agonizzanti con le zampe spezzate, appesi a un piccolo laccio finché anche qui non arriva il bracconiere a raccoglierli. Poi ci sono i cappi fatti [tradizionalmente] con i crini di cavallo (ma ormai con i fili di nylon) utilizzati in Sardegna per catturare soprattutto i tordi; ma ovviamente il cappio non distingue le specie, quindi anche lì si trovano pettirossi, pigliamosche e tantissime altre specie che non sono il target ma che comunque finiscono prima nella trappola e poi nel piatto.

Quanto è vasto il fenomeno del bracconaggio? Voi fate dei controlli sul territorio durante la stagione venatoria: ogni quanti cacciatori onesti e legali si trova un bracconiere?

Noi purtroppo riscontriamo molte infrazioni nell’attività venatoria, sia di natura penale che di natura amministrativa. Le sanzioni sulla caccia seguono questo doppio binario: ce ne sono alcune di natura esclusivamente amministrativa e altre che sforano nel penale. Purtroppo alcuni malcostumi sono ancora abbastanza diffusi. Ne cito uno su tanti: l’utilizzo dei richiami elettromagnetici registrati, che sono vietati sia della direttiva europea sia dalla legge italiana in recepimento. Ogni anno, in autunno, abbiamo decine, anche centinaia di accertamenti penali fatti sull’utilizzo di questi registratori. Vengono utilizzati di giorno per specie come il tordo e l’allodola; oppure posizionati di notte, ad esempio per fare in modo che le quaglie si radunino su porzioni di prato abbastanza ristrette, dove al mattino vengono rastrellate e scovate con i cani, e abbattute a richiamo spento. [Stabilire] l’incidenza percentuale [del bracconaggio] è estremamente difficile; perché la quantità dei controlli, rispetto alla vastità del territorio, è sicuramente insufficiente a dare un dato corretto.

La diffusione fuori controllo dei cinghiali è risolvibile allentando le restrizioni della caccia?

No, per un semplice motivo: la caccia non è un’attività tecnica. Possiamo anche non essere d’accordo ma comunque la caccia è un’attività di tipo ricreativo. Eventualmente la caccia “di selezione” è un’attività tecnica, ma dovrebbe essere compiuta seguendo alcuni dettami precisi: andando a colpire determinate classi di età e di sesso, in diversi momenti dell’anno. Si è visto per esempio che la caccia “alla braccata” – la caccia più diffusa nel centro Italia, praticata con grosse squadre di cacciatori alla posta e cani segugi che stanano e spingono i branchi di cinghiali verso le poste – non avendo la minima selettività sui tipi di animali che si abbattono, non ho avuto nessun impatto. Non è mai servita a diminuire la popolazione di cinghiali. Anzi, i “lanci” di cinghiali, proprio ai fini venatori, hanno contribuito al problema che noi oggi conosciamo. Lanci sia legali, legittimi, operati dalle pubbliche amministrazioni in anni passati; sia lanci abusivi. Noi abbiamo visto il cinghiale apparire dalla notte al giorno in alcune zone del nord Italia, non vocate alla sua presenza, senza che nessuno li abbia immessi. Parlo di fenomeni che ormai risalgono a qualche decennio fa, ma da lì è cominciato tutto. Per “lancio” intendo l’immissione in natura di esemplari di cinghiale che poi sono andati a riprodursi. L’origine di questi animali molto spesso non era autoctona, non era italiana. Essendo peraltro animali che qui non avevano un nemico naturale – perché il lupo all’epoca era ridotto in piccolissimi nuclei – si sono diffusi liberamente, portando alla situazione odierna.

La legislazione corrente offre strumenti legali sufficienti a chi controlla la caccia e contrasta il bracconaggio? Servirebbero leggi nuove o sarebbero sufficienti solo più controlli?

Sicuramente la cosa più semplice da ottenere sarebbe una quantità maggiore di controlli, anche se ovviamente questo peserebbe sulle casse dello Stato. Una cosa a cui tengo in maniera particolare è che, contrariamente alle altre guardie volontarie (segnatamente le “zoofile” e le “ittiche”, previste dalle leggi nazionali) per le guardie “volontarie venatorie” non è esplicitamente prevista nella legge la qualifica di “polizia giudiziaria”. Questo limita moltissimo l’efficacia dell’azione delle guardie; le quali possono accertare i reati, ma per esempio sono nell’impossibilità pratica di assicurare la prova del reato, a meno che non siano affiancate da una forza di polizia giudiziaria. Quindi ovviamente sono estremamente limitate da questa scrittura della norma. Una scrittura sulla quale si potrebbe intervenire con un po’ di buona volontà, con tre righe che chiariscano definitivamente l’attribuzione della funzione di polizia giudiziaria alla guardia venatoria volontaria.

Nella scorsa stagione venatoria, secondo l’Associazione Vittime della Caccia, in Italia sono stati registrati 19 “incidenti” che hanno coinvolto non cacciatori (persone che non erano impegnate nella caccia in quel momento). Quindici sono rimaste ferite e quattro sono decedute. Di solito chi sono le persone coinvolte nell’incidente di caccia?

Negli incidenti di caccia possono rimanere coinvolte le categorie di persone che fruiscono degli ambienti naturali, oltre ai cacciatori. In Italia vige il principio della caccia sul terreno libero, anche privato, dove il cacciatore, in assenza di un vincolo di divieto di caccia, può andare rispettando determinate distanze che però sono abbastanza risibili. La distanza minima per cacciare da una strada è 50 metri; da una casa e da un luogo di lavoro è 100 metri. I fucili hanno tutti gittate comunque superiori a queste distanze. Quindi la presenza diffusa di cacciatori su tutto il territorio verde della nostra nazione fa sì che ormai si creino situazioni di attrito inevitabili: penso al cicloturismo, a chi va a cavallo, al cercatore di funghi, al birdwatcher, al fotografo, al trekker, al camminatore. Tutte persone che si trovano nella condizione di passare su un sentiero, magari a pochi metri da un appostamento fisso di caccia in attività. Secondo me questa è una situazione che purtroppo peggiorerà nel tempo, se non si decide di normare in maniera differente questo tipo di attività.

Nella sua visione personale c’è modo etico di cacciare? Magari con armi meno sofisticate, eliminando i richiami, anche quelli legali; o con arco e frecce come vorrebbe una certa visione romantica della caccia nel sentire delle persone comuni.

Nella mia visione personale fatico a vedere una caccia etica; perché fatico a immaginare di divertirmi uccidendo qualcosa, o qualcuno, a seconda di come consideriamo l’animale. Sull’arco e frecce ho dei dubbi: sicuramente sono meno letali del fucile. Il che vorrebbe dire imporre ad un animale una sofferenza molto maggiore. Quindi se proprio uno deve – ma è meglio se non deve – è meglio un mezzo letale rispetto a uno che fa soffrire l’animale.

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