Donatella Bianchi, presidente del WWF Italia, commenta per EarthDay.it la decisione della Commissione Europea sulla tassonomia verde e rilancia il tema della sostenibilità dei trasporti marittimi.
La Commissione Europea ha proposto di inserire il gas naturale e l’energia nucleare nella cosiddetta “tassonomia europea”, documento che sostanzialmente indica quali settori economici e industriali siano abbastanza sostenibili da meritare gli investimenti dei paesi membri nei prossimi anni. Lo scopo resta quello di arrivare ad azzerare le emissioni nette di CO2 e altri gas climalteranti, ma questa novità include due fonti energetiche che finora erano state escluse perché ritenute non sostenibili.
Il dibattito si è acceso immediatamente, anche perché il team di esperti chiamati dalla stessa Commissione a valutare questo cambio di rotta aveva dato parere negativo. Nei prossimi mesi la proposta passerà al vaglio del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’UE (quello composto da ministri degli stati membri) che hanno la facoltà di promuoverla o bocciarla, indirizzando così le politiche economico-energetiche dei prossimi anni.
Per un quadro generale è bene ricordare che all’interno dell’UE viene prodotta soltanto il 39% dell’energia consumata; il restante 61% viene importato da stati non membri. L’energy mix dell’Unione (fonte: Parlamento Europeo) è così composto: petrolio 36%, gas naturale 22%, rinnovabili (eolico, solare, idroelettrico, fotovoltaico, geotermico) 15%, carbone e nucleare chiudono la classifica, entrambi con un 13%. L’energia consumata in Italia proviene principalmente dal gas naturale (38%) e da derivati del petrolio (36%); poi da rinnovabili (18%) e carbone (5%). In questo particolare momento è poi interessante sottolineare che la Russia è il principale fornitore dell’UE sia per quanto riguarda il petrolio, sia per il carbone sia per il gas naturale.
Il traffico marittimo, secondo argomento dell’intervista che segue, è stato indicato dall’OMS tra i sei maggiori settori inquinanti, sia per la quota di particolato sia per i gas nocivi. Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente la navigazione è responsabile di quasi il 4% delle emissioni di gas serra dell’Unione Europea. Dal 1990 ad oggi queste emissioni sono aumentate di oltre il 30% seguendo lo sviluppo del traffico marittimo. Purtroppo l’area del Mediterraneo è quella dove si concentrano maggiormente gli inquinanti prodotti dalle navi. Secondo il CNR, ad esempio, da questo settore hanno origine dal 2 al 10% delle polveri sottili nel nostro paese, e dal 5 al 40% delle emissioni gassose, soprattutto in vicinanza dei porti.
Di seguito la versione integrale dell’intervista a Donatella Bianchi, trasmessa durante “Ecosistema” la rubrica settimanale di Earth Day Italia all’interno del programma “Il Mondo alla Radio” di Radio Vaticana Italia.
Il tema del momento è la proposta di emendamento della tassonomia verde dell’Unione Europea. Qual è la posizione del WWF e del collettivo di associazioni che si sono mobilitate contro di essa?
Sostanzialmente per noi questa rappresenta una resa: un posizionamento di retroguardia. Una soluzione scellerata che non risolve ma, anzi, rende ancora più critico un quadro già piuttosto negativo. Stiamo parlando della classificazione comune di tutti le attività economiche che, in Europa, possono essere considerate sostenibili dal punto di vista ambientale. Noi rifiutiamo il principio che il nucleare e il gas naturale possano essere considerati sostenibili. Perciò da settimane chiediamo al Governo italiano una posizione chiara, in linea con i mandati referendari e con gli impegni assunti sul cambiamento climatico. Non è questa la strada. Non è questa la soluzione. Sarebbe invece un gravissimo autogol, soprattutto per l’Europa rispetto agli impegni e gli scenari del Green New Deal. Per noi la proposta della Commissione è solo il frutto dell’enorme pressione delle industrie su alcuni governi europei, e l’atto adottato potrebbe veramente truccare il sistema finanziario europeo a danno del pianeta. Il WWF e molte altre associazioni hanno invitato gli europarlamentari a imporre alla Commissione di recedere da questa decisione, e tenere gas e nucleare fuori dalla tassonomia. L’atto delegato della Commissione mina completamente la leadership della finanza verde europea e rischia di bloccare e impedire all’Europa il raggiungimento degli obiettivi climatici.
All’atto pratico il gas e il nucleare fanno già parte del mix energetico europeo nella transizione verso le rinnovabili: in questo momento si produce o si importa energia anche da queste fonti. Che cosa cambia se gli viene data un’etichetta “verde”?
La tassonomia, con il nucleare e il gas nell’inventario delle rinnovabili, genererà criteri di riferimento ben più arretrati rispetto, ad esempio, all’attuale mercato dei green bond che esclude gas e nucleare. Rischiamo così di indirizzare verso industrie nocive miliardi di euro destinati agli investimenti davvero sostenibili. È molto semplice: è un grave danno a quel processo di transizione ecologica ed energetica che ormai è stato avviato… o quantomeno così sembrava. Basti pensare che solo una settimana prima della decisione su gas e nucleare, il gruppo di esperti della Commissione Europea sulla tassonomia aveva criticato la proposta della Commissione, sostenendo che non fosse assolutamente in linea con il regolamento sulla tassonomia stessa, e presentava addirittura un serio rischio di minare il quadro della tassonomia sostenibile. Non possiamo assolutamente ignorare quel processo di cambiamento avviato in questi anni, che scelte di questo genere andrebbero a minare profondamente.
Da qualche mese l’opinione pubblica sente voci a favore del nucleare come energia “verde” tout court, non solo in prospettiva (fusione); soprattutto in base all’assunto che, con le attuali tecnologie, le rinnovabili da sole non basterebbero a fornire sufficiente energia a un paese come l’Italia. Qual è la verità?
Io parto sempre dai fatti. Negli ultimi sessant’anni la fusione è sempre stata data come imminente. Se oggi scegliessimo di investire nel nucleare disponibile (reattori a fissione, nda.) ci vorrebbero almeno quindici o vent’anni prima di vedere un impianto attivo. Parlando del gas: non risolve il problema delle emissioni climalteranti. Quindi oggi ci troviamo di fronte a scelte cruciali e urgenti per il nostro futuro, anche per ciò che riguarda le politiche energetiche. Dobbiamo investire molti miliardi di euro: dobbiamo scegliere velocemente e bene. Il problema è che siamo di fronte a un dibattito miope; quindi proviamo a fare ordine: il nucleare non è un’opzione. Non solo perché oggi è insicuro ma perché è costosissimo, e gli impianti hanno tempi di realizzazione molto lunghi. Se guardiamo ai fatti con il gas non avvieremmo una transizione energetica: avrebbe comunque bisogno a strettissimo giro di un’altra transizione verso le rinnovabili; sarebbe un doppio passaggio. E comunque con il gas disponibile non riusciremmo a coprire tutte le richieste e risolvere la nostra dipendenza dall’estero; nemmeno aumentando le estrazioni. Le fonti rinnovabili sono oggi l’unica opzione che vada bene al clima, alla sicurezza energetica e al portafoglio dei cittadini visto che sono molto meno soggette agli sbalzi di mercato. Sarebbe bello sapere quanti fondi il nostro paese ha investito fino ad oggi in ricerca sulle rinnovabili e quanti sul nucleare, dopo i due referendum. Però non siamo assolutamente contrari alla ricerca, anzi; siamo favorevoli soprattutto all’individuazione di soluzioni che possano garantire la sostenibilità. Però, allo stato attuale, ci rendiamo conto che le scelte vanno fatte rapidamente e con il buon senso; non possono essere determinate da interessi di parte.
Se ho ben capito siete favorevoli alla “fusione” nucleare, cioè quella tecnologia che tra l’altro in questi giorni l’Enea ha annunciato aver dato un ottimo risultato nel progetto Eurofusion. È la forma più “pulita” di nucleare: è accettabile?
Questo non possiamo saperlo. Possiamo sapere che questa sarà una soluzione per il futuro, e diciamo che la ricerca non deve fermarsi. Se esistesse una fonte pulita, economica e sicura sarebbe una buonissima notizia per il pianeta, non solo per il paese e per l’Europa. Purtroppo però le scelte per arginare la crisi climatica vanno fatte oggi: di fatto oggi non abbiamo alcuna garanzia che questi esperimenti di fusione nucleare possano essere veramente la soluzione per il futuro. L’unica certezza che abbiamo è che gli investimenti sulle rinnovabili, quelli sì, potrebbero rappresentare una svolta green, anche economicamente sostenibile. Anche nelle proiezioni più ottimistiche sulla fusione si parla di tecnologie che comunque non sarebbero mature prima di trenta o quarant’anni. Questo non dobbiamo mai dimenticarlo. Non abbiamo tutto questo tempo a disposizione quindi, ripeto, oggi l’unica opzione sul tavolo sono le rinnovabili, su cui però bisognerebbe concentrare gli sforzi per garantire ai cittadini l’accesso a un’energia pulita e conveniente.
In un recente convegno sulla mobilità elettrica lei ha sollevato il problema del traffico marittimo. Qualcosa di cui si parla effettivamente poco nella comunicazione di massa. Qual è la situazione e quali le possibili soluzioni “verdi”?
Il mare non appartiene al nostro quotidiano. Lo scopriamo in estate e comunque guardiamo solo attorno a noi: non consideriamo il cambiamento irreversibile che sta subendo, ad esempio, il nostro Mediterraneo: un mare molto piccolo, che ha un lungo e lento ricambio delle acque. Dobbiamo cominciare a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che il trasporto marittimo rappresenta una quota crescente delle emissioni di gas ad effetto serra. Il 90% delle merci viaggia via mare; ed anche la circolazione delle persone ha un impatto molto importante. Per questo il mare deve ritrovare una sua centralità, a partire dal sistema portuale che è il fulcro dell’economia del mare nel nostro paese e nel Mediterraneo in generale, e che finalmente è all’attenzione del Ministero per i Trasporti e la Mobilità Sostenibile. Bisogna trovare delle soluzioni per ridurre gli impatti, per arrivare alla decarbonizzazione anche del traffico marittimo. Sentiamo parlare di “porti verdi”, meno dell’infrastrutturazione dei porti turistici. Bisogna investire anche qui nella ricerca per trovare delle soluzioni; bisogna trovare e adottare delle tecnologie che forniscano energia alle barche in porto, azzerando l’inquinamento e le emissioni, soprattutto quando sono ferme; biogna migliorare le connessioni con le reti ferroviarie per ridurre gli impatti; bisogna promuovere l’elettrificazione e [alimentare] i consumi portuali con le fonti rinnovabili. Per fare questo servono un progetto, una road map e degli obiettivi chiari che vanno raggiunti anche in tempi certi.