Ecosistema Interviste

Cani e gatti randagi: i numeri dell’amore tradito

Nei 1200 canili italiani sono ospitati 110 mila cani perduti o abbandonati dai padroni. Sul territorio vagano 500-700 mila cani e oltre 2 milioni di gatti. L’80% di loro non può sopravvivere a freddo, fame, malattie e pericoli della strada.

In Italia sono registrati circa 15 milioni di animali d’affezione: cani e gatti in prevalenza, ma anche furetti, rettili ed altri animali custoditi e accuditi dalle famiglie italiane. L’altra faccia di questo fenomeno è il randagismo: secondo le stime, 500-700 mila cani e oltre 2,6 milioni di gatti vagano per le città o per le campagne, senza padrone o comunque senza una residenza fissa presso una famiglia umana. Un problema per loro, che però si ripercuote anche sull’ambiente e sull’economia del paese. I numeri disponibili sono tratti dal “Dossier Randagismo” della Lega Anti Vivisezione, che raccoglie e analizza i dati dei canili, delle colonie feline e dei gattili di tutta Italia. Secondo gli ultimi dati, nei canili italiani sono ospitati più di 110 mila cani. Il numero è alto ma la tendenza è positiva, perché segna una diminuzione del 4% circa rispetto al dossier precedente. Altro numero che fa ben sperare è l’aumento del 7% circa delle iscrizioni dei cani all’anagrafe dei comuni: nel 2019 sono più di 11 milioni, quasi un milione in più rispetto all’anno precedente; segno che sempre più persone adempiono all’obbligo di legge di registrare i propri animali. Purtroppo, in assenza di un’indagine nazionale, non è possibile sapere esattamente quanti animali vagano senza padrone sul territorio: la stima è, appunto, di 500-700 mila cani e 2,6 milioni di gatti.

I randagi sono animali domestici che vivono all’aperto, e rappresentano un problema, oltre che per sé stessi, per la sicurezza stradale, per l’interazione con gli animali selvatici, con gli allevamenti e, nel caso dei cani inselvatichiti, con le persone che possono incontrare in natura. A parte ciò, questo fenomeno incide negativamente anche sull’economia del paese. Infatti, la gestione del randagismo e delle strutture che lo dovrebbero contrastare è a carico delle istituzioni locali: in primo luogo i comuni, che gestiscono canili e gattili attingendo ai loro bilanci. I canili sono circa 1200 in tutta Italia, tra quelli “sanitari” che accolgono e curano per primi i randagi, e quelli “rifugio” (il doppio rispetto ai primi) che li ospitano in attesa di adozione. Purtroppo non tutti i cani che entrano nei canili ritrovano poi il loro padrone o vengono affidati a una nuova famiglia. Al centro nord, dove ci sono più strutture e più registrazioni all’anagrafe, la percentuale media di restituzione è del 60%; in Sicilia invece è del 3 per mille! Purtroppo anche le adozioni sono in calo: dai canili rifugio italiani viene adottato in media solo un cane su tre; uno su due nelle regioni più virtuose, quelle del nord; uno su quattro in quelle del sud. Quindi la maggior parte dei cani passa la vita nei canili rifugio. Il danno economico per la collettività nasce dal fatto che ogni cane costa alle casse pubbliche 3,5 euro al giorno, per un totale nazionale di 385 mila euro al giorno, cioè 126 milioni di euro annui, calcolati per il 2018.

Che cosa consigliare agli amanti di cani e gatti per evitare di alimentare il fenomeno del randagismo? Innanzitutto registrare i propri animali e dotarli di microchip presso il veterinario o il Comune. In questo modo sarà più facile riportarli a casa in caso di smarrimento. Ovviamente mai abbandonarli in natura confidando che se la possano cavare: secondo la LAV l’80% dei cani e gatti domestici che per qualunque motivo si ritrovino a vivere all’aperto non sopravvive a malattie, freddo, fame e pericoli della strada. Per quanto possibile, piuttosto che l’acquisto (che può nascondere traffici illeciti, sfruttamento e speculazioni) occorre privilegiare l’adozione di animali ospiti di canili, gattili e rifugi, pubblici o gestiti da associazioni serie: sono animali che hanno bisogno di ritrovare affetto, e vengono affidati alla nuova famiglia già vaccinati e dotati di microchip. Infine il consiglio più importante: valutare che gli animali d’affezione non sono oggetti d’arredo, status symbol o giocattoli per bambini. Sono esseri sensibili che per tutta la loro vita avranno bisogno di spese, cure, attenzioni e affetto. Se non si è pronti o non si può accoglierli in casa come nuovi membri della famiglia, è meglio riflettere bene e magari rimandare l’adozione a quando sarà possibile.

Ilaria Innocenti
Ilaria Innocenti

Di seguito la versione integrale dell’intervista a Ilaria Innocenti, Responsabile Area Animali Familiari della LAV – Lega Anti Vivisezione, autrice dell’ultimo “Dossier Randagismo”, trasmessa nella rubrica Ecosistema di Earth Day Italia, nel programma “Il Mondo alla Radio” di Radio Vaticana Italia.

Quali sono le cause tipiche del randagismo?

Il randagismo è un fenomeno che ha molte cause: l’abbandono di animali; ma anche la nascita di cucciolate di privati cittadini che poi non sanno come collocarli alimenta molto il fenomeno. Un’altra causa sono le cucciolate di cani e gatti liberi sul territorio, soprattutto al centro-sud, che le istituzioni preposte non hanno provveduto a sterilizzare, come invece prevede la legge. Da non trascurare neanche la leggerezza con la quale si inserisce un animale in famiglia: dovrebbe essere una scelta fatta in maniera consapevole. Durante il lockdown molte persone che non convivevano con animali ne hanno inserito uno nella propria vita, e successivamente ci sono state diverse rinunce alla proprietà o conferimenti ai canili; perché con il ritorno alla normalità quelle persone si sono rese conto di non riuscire più a gestire il cane. Questa è una scelta importante: oso dire come quando si decide di avere un figlio; perché il principio di responsabilità che abbiamo riguardo ad un essere vivente, ad una vita, ci impone di fare delle valutazioni importanti sulla nostra capacità di accudimento. Adottare un animale non significa soltanto dargli una cuccia e fornirgli del cibo, ma condividere con lui tempo ed esperienze. Gli animali [domestici] hanno bisogno della nostra presenza, di giocare e rapportarsi con noi, con altri animali, e di essere portati a spasso, nel caso dei cani. Anche l’adozione di un gatto non è meno impegnativa, perché ha bisogno di attenzioni, soprattutto in termini di gioco. C’è anche un fattore economico da non trascurare: perché gli animali, nel corso della loro vita, possono andare incontro a malattie, e bisogna essere in grado di sostenere le spese veterinarie. Bisogna anche tenere in conto il nostro nucleo familiare: se è destinato a modificarsi nel tempo; la nostra situazione lavorativa: eventuali trasferimenti per lavoro. Quindi c’è una serie di valutazioni da fare in maniera estremamente responsabile e ponderata.

Diciamo che questa scelta sia stata fatta in maniera ponderata. C’è anche da valutare come e dove prendere il cane o il gatto, e di che età. Nel vostro rapporto c’è un’allerta sul traffico dei cuccioli: un fenomeno internazionale. A che cosa bisogna fare attenzione?

Innanzitutto, quando si vuole inserire una cane o un gatto nella nostra vita, è sempre bene rivolgersi ad un rifugio per animali, dove ci sono solo animali abbandonati. In Italia ci sono circa 100.000 cani ancora in attesa di una famiglia; e anche i gatti sono estremamente numerosi. LAV, che è un’associazione per i diritti degli animali, è anche contro la mercificazione della vita. Perciò noi invitiamo sempre alle adozioni per restituire la felicità ad un animale abbandonato: una cosa che fa bene anche alla società, poiché per il mantenimento dei cani all’interno dei canili, nel 2018 si sono spesi ben 126 milioni di euro.

Il traffico dei cuccioli un fenomeno annoso. che coinvolge in maggioranza cani e in misura minore gatti, che provengono dai paesi dell’Europa. Sono trasportati nel nostro paese in condizioni spesso drammatiche. Vengono sottratti dalla madre a pochissimi giorni [dalla nascita], anche 15 giorni, per poi essere rivenduti online, ma anche in allevamenti e negozi. Questo traffico costa molta sofferenza agli animali coinvolti e talvolta costa loro anche la vita per essere stati strappati alla madre in età precocissima, senza le garanzie sanitarie. Per introdurre legalmente un cane o un gatto nel nostro paese, occorre che abbiano un’età superiore a 3 mesi e 21 giorni, oltre al microchip e il passaporto. Molto spesso questi cani, oltre ad essere giovanissimi, non hanno nemmeno questi requisiti sanitari e di tracciabilità. Un’altra cosa indispensabile è la vaccinazione antirabbica, che si può fare a tre mesi e occorrono 21 giorni affinché l’animale sviluppi gli anticorpi. Questo è il motivo per cui non possono essere introdotti in Italia cani d’età inferiore a 3 mesi 21 giorni. Questi cagnolini vengono acquistati soprattutto nei paesi dell’Europa dell’est, dove spesso non c’è nemmeno un controllo sui riproduttori: le madri fanno una vita di privazioni, costrette a continue gravidanze; per poi vedersi appunto strappare i cuccioli in età precocissima. Vengono acquistati a prezzi irrisori, 50-80 euro, per poi essere rivenduti sul nostro mercato tra i 500 e i 1000 euro, a seconda del canale di diffusione. Questo è fenomeno su cui LAV sta lavorando dal 2008, quando ha lanciato la campagna “Rompiamo le scatole ai trafficanti di cuccioli” che in soli due anni ha contribuito all’approvazione del famoso articolo contro il traffico dei cuccioli (Art.4 Legge n°201/2010, nda.) e ha reso l’Italia il primo e unico paese in Europa a prevedere uno specifico reato per questa fattispecie criminosa.

Dal rapporto emerge un dato positivo: l’aumento delle iscrizioni alle anagrafi degli animali d’affezione tenute dai comuni. Come si iscrive un animale all’anagrafe e quali sono i vantaggi?

Le iscrizioni all’anagrafe canina e l’identificazione con il microchip sono un obbligo di legge. È uno degli strumenti principali per sconfiggere il fenomeno dell’abbandono, perché se un animale identificato è meno soggetto ad essere abbandonato. Per iscrivere l’animale occorre recarsi da un veterinario libero professionista oppure al servizio veterinario pubblico, competente per territorio. Il microchip aiuta a ritrovare il cane o il gatto in caso di smarrimento. Occorre precisare che per il cane [il microchip] è sempre obbligatorio. Per il gatto è sempre obbligatorio in Lombardia e in Puglia, perché il possesso dei gatti è disciplinato anche dalla legislazione regionale. L’identificazione con il microchip è però sempre obbligatoria per i gatti ceduti a qualsiasi titolo: ad esempio se acquisto un gatto, il commerciante me lo deve vendere con il microchip; se lo adotto l’associazione me lo deve dare con il microchip. Il microchip è obbligatorio anche per tutti i gatti delle colonie feline. Questo è fondamentale per la tracciabilità degli animali.

Un luogo comune vuole che gli animali, liberi in aree di campagna o selvatiche, siano comunque nel loro elemento; quindi cani e gatti che non hanno più padrone se la saprebbero cavare. Qual è il destino reale di questi animali?

Ci sono degli animali che hanno delle competenze per poter stare sul territorio: sono quelli che nascono da animali già liberi. Il gatto e il cane che vivono in famiglia e poi vengono abbandonati non hanno mai queste competenze e possono andare incontro a maltrattamenti, avvelenamenti, morte per fame, sete, o per incidente stradale. Si calcola che circa l’80% degli animali abbandonati purtroppo va incontro a un triste destino.

Quali strutture che il nostro paese mette a disposizione di chi cerca soluzioni a questo problema? Ci sono i canili “sanitari” e i canili “rifugio”: dove sono e dove mancano? Che differenze ci sono tra queste due tipologie?

Il canile sanitario è dove viene condotto il cane rinvenuto sul territorio, per la verifica del microchip e per il ricongiungimento alla propria famiglia qualora il cane ne sia provvisto; o comunque per rintracciare il proprietario qualora invece non ne sia provvisto. Queste strutture hanno una funzione sanitaria, perché si provvede a microchippare i cani senza una famiglia; e dovrebbero avere il compito di sterilizzarli, anche se purtroppo non sempre le sterilizzazioni vengono effettuate tempestivamente. Il cosiddetto canile-rifugio, che assume denominazioni diverse sul territorio nazionale, è quella struttura dove, a seguito dei controlli sanitari, della microchippatura e della sterilizzazione, il cane viene condotto in attesa di essere adottato da una nuova a famiglia. Le due strutture sono presenti in maniera diversa su tutto il territorio nazionale. Al sud mancano i canili e i gattili sanitari: ce ne sono pochi in regioni come la Calabria ad esempio, dove invece ce ne sarebbe veramente bisogno perché il numero degli animali randagi è molto alto. Una cosa che manca in tutta Italia sono i gattili sanitari, poiché purtroppo non li prevedono la legislazione nazionale e (non sempre) quella regionale in recepimento. I gatti, sulla base della loro etologia, sono definiti “animali liberi” ed è vietato spostarli dal territorio nel quale vivono. Ci sono però delle situazioni in cui è necessario farlo. Ad esempio se l’animale ha bisogno di cure o se contrae delle patologie tali che non gli permettono più di vivere libero o di adattarsi al territorio nel caso di quelli abbandonati.

Tra le varie soluzioni al problema, LAV propone anche l’evoluzione del canile per come lo immaginiamo adesso: chiamate “parco-canile” questa struttura ideale che si potrebbe diffondere. Come lo immaginate?

Un centro servizi, dove si fa anche educazione cinofila; dove gli animali non sono accolti in box ma in strutture con molta vegetazione. Soprattutto dove c’è un turnover di animali: strutture dove si promuovono e si effettuano molte adozioni. Quindi non più la concezione di canile-discarica dove gli animali che vengono “conferiti” rimangono per tutta la loro vita; ma un centro aperto anche alla cittadinanza per favorire la corretta relazione uomo-animale.

Queste sono tutte soluzioni a valle del problema. Quali sono invece quelle a monte, per risolvere i grandi numeri del randagismo animale in Italia?

Innanzitutto occorrere un piano nazionale di gestione del fenomeno, che comunque ha delle caratteristiche molto diverse. Ad esempio al nord possiamo definire il randagismo canino quasi sconfitto: non ci sono più animali liberi vaganti per le strade. Al sud Invece questo fenomeno è ancora purtroppo un’emergenza. Quindi un piano nazionale che tenga conto anche delle differenze che ci sono a livello regionale. Bisognerebbe partire da un censimento fatto con criteri omogenei; perché soltanto avendo la contezza reale di un fenomeno si possono declinare una serie di interventi. Gli strumenti fondamentali sono innanzitutto l’identificazione dei cani e dei gatti con il microchip. Anche quando non è obbligatoria, la microchippatura dei gatti è sempre auspicabile. La nostra associazione sta chiedendo che anche la microchippatura dei gatti diventi obbligatoria (com’è quella dei cani) per prevenirne l’abbandono. Un altro strumento fondamentale è la sterilizzazione: sia di cani e i gatti che vivono liberi, sia dei cani e gatti che vivono nelle nostre famiglie. La sterilizzazione è un intervento di routine che non ha conseguenze sulla salute degli animali; anzi previene una serie di patologie e migliora anche la convivenza con le persone: ad esempio nel caso di un gatto non sterilizzato che con l’urina può infastidire i vicini. Inoltre [con la sterilizzazione] non ci sono più nemmeno i “rumori” legati alla stagione degli accoppiamenti, quindi la loro presenza nel tessuto sociale viene recepita meno negativamente da coloro che non amano gli animali.

Avete anche avanzato proposte nel campo delle tasse e degli incentivi.

Il fisco è un problema che riguarda oltre 15 milioni tra cani e gatti che vivono le nostre famiglie, e anche tutti gli animali accuditi dalle associazioni: perché le prestazioni veterinarie e il cibo per animali subiscono un’IVA del 22%, proprio come quella sui beni di lusso. Inoltre si detrae pochissimo per le cure veterinarie; sebbene, con la nostra campagna #ipiùtassati, in 2 anni siamo riusciti a ottenere un piccolo aumento della quota di detrazione fiscale della denuncia dei redditi, che fino al 2019 era ferma da 20 anni. Quello che si può detrarre è però ancora troppo poco: sono 79 euro, indipendentemente dal numero di animali che vivono nelle nostre famiglie. Perciò LAV sta chiedendo la riduzione dell’IVA sulle spese veterinarie e sul cibo per animali; ma anche l’aumento della quota di detrazione delle cure veterinarie dalla denuncia dei redditi. Questo innescherebbe sicuramente anche un meccanismo virtuoso che potrebbe fare emergere il lavoro nero.

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