Stefano Ciafani, presidente di Legambiente
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Ciafani (Legambiente): “Imperdonabile farsi superare da altri paesi sulle rinnovabili”

Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, fa il punto sulle politiche energetiche nazionali sui temi delle rinnovabili e delle comunità energetiche.

L’Open Summit, organizzato a fine novembre al MAXXI di Roma dalla testata Green&Blue de La Repubblica, ha affrontato tra gli altri il tema delle Comunità Energetiche Rinnovabili: la possibilità che cittadini, aziende ed enti locali possano costituire degli aggregati di micro impianti (pannelli solari sui tetti o nei campi, pale eoliche, ecc) per produrre energia pulita a basso costo da distribuire ai soci e alla rete.

La tavola rotonda che ha fatto il punto sulla situazione italiana si è svolta pochi minuti dopo un video collegamento diretto in cui il neo Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Pichetto Fratin, era intervenuto sulla questione con parole poi ribadite nei giorni seguenti: “Il Governo punta fortemente sulla crescita delle energie rinnovabili – ha detto il Ministro – Sono una nostra priorità soprattutto in questo momento emergenziale in cui stiamo vivendo un problema con il caro energia“. Chiunque si interessi di rinnovabili e di politiche energetiche italiane è in attesa di un prossimo decreto legge che regolerà il settore delle CER per i prossimi anni. Il Ministero ha anche indetto una consultazione pubblica aperta a cittadini, associazioni e operatori del settore per definire lo schema di questo decreto: “Sulle procedure amministrative più importanti, che richiedono processi partecipativi dei territori, chiediamo la voce dei cittadini, delle imprese, delle associazioni e di tutti gli interlocutori di riferimento al fine di acquisire in modo trasparente le osservazioni. Serve uno contributo corale“, ha dichiarato il ministro Pichetto Fratin commentando la consultazione che resterà aperta fino al 12 dicembre.

Al dibattito “L’Italia delle CER, l’energia condivisa”  ha partecipato anche Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, con cui abbiamo potuto approfondire alcuni dei punti nodali della questione.

In questo convegno si è parlato molto di comunità energetiche. Essenzialmente è emerso che le tecnologie ci sono e le persone, le comunità, sarebbero anche pronte. Manca ancora qualcosa dal punto di vista organizzativo e autorizzativo?

Sì. Siamo in una condizione di stallo rispetto alla possibilità di realizzare comunità energetiche più grandi. Grazie a un emendamento in un decreto milleproroghe che riuscimmo a fare approvare un mese prima di entrare nell’era Covid, già dal febbraio del 2020 si possono realizzare comunità energetiche al di sotto dei 200 kW, allacciandosi alla cabina secondaria. II recepimento della Direttiva Europea sulle rinnovabili, risalente più o meno a un anno fa, permette di alzare la potenza massima delle comunità energetiche fino a un megawatt agganciandosi alla cabina primaria: vuol dire [la potenza necessaria a] interi paesi o quartieri di grandi città. Mancano le regole attuative da parte di ARERA, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, e il decreto attuativo del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Questi ritardi stanno impedendo di realizzare strumenti importanti, le comunità energetiche, che [comunque] non sono sostitutive dei grandi impianti industriali a fonti rinnovabili: bisogna farne tanti di impianti industriali; ma con le comunità energetiche si dà la possibilità a chi sta sul territorio (famiglie, imprese, enti locali e del terzo settore) di poter auto produrre energia elettrica, senza acquistarla da altri. Questo è un contributo concreto alla lotta alla crisi climatica, e un grande aiuto per chi deve fronteggiare quelle bollette elettriche impazzite ormai da tempo: da quando è partita la speculazione dei produttori di gas, molto prima dell’invasione militare russa che ha scatenato la guerra in Ucraina. Il paese da questo punto di vista è tecnologicamente pronto; le comunità sono in grado di mettersi insieme per costruire la comunità sociale, che è funzionale alla comunità energetica. Ma se continua a mancare l’apparato burocratico e normativo, rischiamo di mancare completamente questa grande opportunità

Stefano Ciafani, presidente di Legambiente

Allargando lo sguardo alla politica energetica e ambientale del paese: ci avviciniamo ai target del 55% di diminuzione della CO2 (entro il 2030) e net-zero, la neutralità carbonica, entro il 2050. Sappiamo che siamo su una curva che non porta a questi risultati: stiamo abbassando le nostre emissioni inquinamenti, ma non abbastanza. Lei è ottimista sulla possibilità di un’accelerata, come ha promesso anche in questo meeting il Ministro dell’Ambiente?

Noi siamo abbastanza preoccupati della situazione. Siamo nel pieno di una tempesta perfetta: non siamo ancora usciti dal Covid; siamo nel pieno dell’emergenza-bollette, causata dagli speculatori del gas; l’invasione militare russa in Ucraina ha fatto impazzire i mercati internazionali delle materie prime, dei prodotti alimentari, dei fertilizzanti. Insomma, c’è un problema generale che ovviamente sta facendo passare in secondo piano la grande emergenza che grava sulla testa dei miliardi di persone che vivono sul pianeta: l’emergenza climatica. La Cop27 ha fatto fare un passo in avanti ai negoziati, soprattutto sulle conseguenze per i paesi più vulnerabili; ma non è stata altrettanto capace ed efficace sul fronte delle cause dell’emergenza climatica, sulle emissioni di gas serra, sul trasferimento delle tecnologie dei paesi industrializzati ai paesi con economie emergenti e soprattutto in via di sviluppo. Nel nostro paese si continua a parlare di investire sulle rinnovabili; però il primo decreto del Governo ha sbloccato la possibilità di trivellare gas dai fondali marini tra le 9 e le 12 miglia dalla costa. Questo è assolutamente assolutamente controproducente, rispetto agli investimenti che bisogna fare nei prossimi mesi anni, al fine di liberarci dalla dipendenza dal gas e non per cambiare fornitore (ciò che ha fatto soprattutto il precedente governo). Il Governo ha varato il quasi raddoppio, da 40 a 70, dei membri della commissione VIA-VAS sul PNRR presso il Ministero dell’Ambiente (le commissioni di Valutazione Impatto Ambientale e Valutazione Ambientale Strategica che approvano o bocciano i nuovi impianti, nda.). Questo permetterà di velocizzare la valutazione di impatto ambientale, ed è una cosa positiva, però non risolve il problema causato ogni volta dal Ministero della Cultura, che dà sempre parere negativo sul PNRR in seguito ai pareri, spesso senza senso, delle sovrintendenze sul territorio, e a volte anche di quella nazionale. Dall’altra parte resta il collo di bottiglia degli uffici regionali: perché le autorizzazioni degli impianti le danno le regioni. Perciò se velocizziamo le valutazioni del Ministero, della Commissione VIA-VAS, ma non rafforziamo gli uffici delle 19 regioni e delle due province autonome per autorizzare più velocemente gli impianti, [di conseguenza] avremo molti più progetti con valutazione positiva e [contemporaneamente] un numero crescente di progetti in attesa delle autorizzazioni presso le regioni. Crediamo che lo Stato, e quindi il Governo, si debba far carico anche presso le regioni di un lavoro concreto, per aumentare l’organico degli uffici regionali che si occupano di autorizzazioni; ed anche per aumentarne la competenza sulla tecnologia che continua a migliorare. Se continuiamo ad avere uffici regionali sguarniti, rischiamo di non velocizzare le autorizzazioni, e quindi di non realizzare velocemente gli impianti a fonti rinnovabili: a partire da quelli grandi, industriali, fondamentali per liberarci dalla schiavitù delle [fonti] fossili, come il gas che continuiamo acquistare in giro per il mondo.

Molti obiettano che il 100% di generazione di energia da rinnovabili sia un’utopia, almeno nel nostro paese. Secondo lei è un’utopia economica? tecnologica? organizzativa? O non è un’utopia?

La Germania ha deciso nei mesi scorsi di raggiungere l’obiettivo del 100% di rinnovabili per la produzione di elettricità entro il 2035. Quindi entro i prossimi 13 anni. Non solo chiuderanno le ultime centrali nucleari (già dal prossimo anno), ma anche le centrali a carbone, a lignite e a gas. Se lo fa il primo paese manifatturiero d’Europa, credo sia assolutamente plausibile possa farlo anche il secondo: che è il nostro; a maggior ragione poiché abbiamo una quantità di vento paragonabile alla Germania, ma molto, molto più sole. Insomma, tecnologicamente siamo pronti; credo che dovremmo imparare come si organizza il paese per accogliere questa accelerazione che la Germania sta già facendo sullo sviluppo delle rinnovabili. Da questo punto di vista siamo ancora molto indietro. Non a caso, spesso, le aziende del nostro paese vanno ad investire all’estero: la tecnologia italiana viene utilizzata all’estero perché il paese non è pronto a diffondere tecnologia Made in Italy. Speriamo di poter recuperare questo ritardo nei prossimi mesi, perché dobbiamo fare la stessa cosa: entro il 2035 portare al 100% il quasi 40% di energia elettrica generato in Italia da fonti rinnovabili.

Quali sono le tecnologie più promettenti, e magari meno sfruttate? Nel suo intervento ha detto dell’eolico off shore italiano che praticamente non esiste.

Il paese si decarbonizzerà per la produzione elettrica puntando soprattutto sul fotovoltaico e, come seconda fonte rinnovabile, sull’eolico. Dovremmo fare molto più fotovoltaico, ma l’eolico sarà un potenziale molto importante da sfruttare: abbiamo tra i 20 e i 30GW di eolico da realizzare. Una parte verrà realizzata in mare, ma la gran parte deve essere fatta a terra con nuovi impianti o con il repowering: la sostituzione dei vecchi impianti poco potenti, realizzati magari 20 anni fa, con i nuovi molto più potenti, magari con meno pale, che si possono realizzare oggi. Il fotovoltaico ovviamente dovrà essere diffuso sui tetti domestici, pubblici, privati e delle imprese. Non basteranno i tetti, bisognerà anche promuovere la tecnologia dell’agrivoltaico: i pannelli da mettere sui terreni, che garantiscono la prosecuzione dell’attività agricola e non la sostituiscono come succedeva con il vecchio fotovoltaico a terra. Poi c’è ancora un po’ di potenziale da recuperare sull’idroelettrico, e in parte sul geotermico, ma il grosso sarà fatto attraverso l’eolico e il fotovoltaico. Ci sono da fare interventi sulle reti di trasmissione e distribuzione, e sugli accumuli: sia per quelli da idroelettrico (bacini artificiali, nda.) sia per quelli elettrochimici, con le giga factory. [Si tratta di] grandi impianti che ospiteranno tante batterie per conservare la produzione di elettricità in surplus, quando c’è tanto sole e tanto vento. Le politiche di efficienza sono fondamentali, però dobbiamo anche essere consapevoli che se noi, come dobbiamo fare, elettrificheremo i consumi domestici e i trasporti, dovremo produrre molta più energia elettrica di oggi. Insomma c’è da fare un grande lavoro: sicuramente eliminare gli sprechi e massimizzare le politiche di efficienza; ma nei prossimi 10, 20, 30 anni la necessità di produrre elettricità aumenterà. Perché i trasporti non andranno più con i derivati del petrolio, ma con la trazione elettrica. In casa non utilizzeremo più le caldaie a gas ma [climatizzatori] e pompe di calore per riscaldare e raffrescare, e fornelli a induzione elettrica al posto di quelli a gas. Bisogna sbloccare lo sviluppo delle rinnovabili attraverso autorizzazioni molto più veloci. Sarebbe imperdonabile farsi superare da altri paesi europei ed extra europei perché c’è molto da fare e tanti nuovi posti di lavoro da produrre in questo settore.

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