Stefano Laporta, presidente dell'ISPRA
Innovazione Interviste

Conoscere l’Italia per salvarla dalle crisi ambientali

Intervista a Stefano Laporta. Dal Progetto MER, di esplorazione, pulizia e ripristino dei fondali, alla nuova Scuola di Specializzazione in Discipline Ambientali appena inaugurata. Il Presidente dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca dell’Ambiente fa il punto sulle attività in corso, i progetti in divenire e la situazione del territorio italiano in base agli ultimi rapporti.

In occasione della recente inaugurazione della prima Scuola di Specializzazione in Discipline Ambientali aperta a Roma dall’ISPRA, abbiamo intervistato il Presidente, Stefano Laporta, per una panoramica dello stato di salute del territorio nazionale; e per un riepilogo degli strumenti che l’Istituto mette a disposizione di amministrazioni, imprese, associazioni e cittadini, allo scopo di informare e prevenire i danni degli eventi ambientali.

Da dove nasce l’idea della Scuola?

La Scuola nasce dall’esigenza di creare un polo formativo e di ricerca a livello nazionale dedicato allo sviluppo di competenze, sia specialistiche sia molto trasversali, nel campo della tutela ambientale e della sostenibilità. È il riconoscimento della centralità della formazione ambientale che attraverso un approccio sistemico può essere lo strumento per discutere le tradizionali e consolidate competenze professionali, funzionali all’attuale modello di sviluppo; e anche proporre nuovi paradigmi didattici, utili alla formazione di figure professionali necessarie alla realizzazione di sistemi produttivi più sostenibili: sorta di “manager della sostenibilità”.

Quali sono le materie, le specializzazioni e gli ambiti di studio che faranno parte dei programmi?

L’offerta formativa si incentra su tutte le tematiche di tutela ambientale, che poi sono le competenze, il core business del nostro Istituto: tutela, conservazione e recupero della biodiversità; contrasto ai fenomeni di dissesto idrogeologico e di consumo del suolo; tutela delle risorse idriche; interventi di bonifica e messa in sicurezza del territorio; prevenzione e riparazione del danno ambientale; monitoraggio delle matrici ambientali; controllo e vigilanza su impianti e infrastrutture; economia circolare; neutralità climatica; decarbonizzazione; adattamento ai cambiamenti climatici; informazione ambientale e divulgazione scientifica; produzione di sistemi cartografici. Temi appunto di stretta relazione tra ambiente e salute. I programmi formativi riguarderanno tutte queste materie, e saranno elaborati annualmente, proprio per rispondere alle esigenze emergenti e prioritarie; per fornire tempestivamente gli strumenti conoscitivi necessari ad affrontare le problematiche ambientali più urgenti che, come sappiamo, spesso si modificano nel corso del tempo e si manifestano in fenomeni che non sempre siamo stati in grado di prevedere con anticipo.

A chi è rivolta l’offerta formativa?

Destinatari di questi percorsi formativi sono i dipendenti della Pubblica Amministrazione, sia centrale sia locale, che si occupano a vario titolo delle tematiche connesse alla tutela ambientale. Abbiamo però voluto aprire la Scuola anche ai policy makers e ai diversi stakeholders, per un dialogo e un confronto costruttivo tra la PA, il mondo dell’imprenditoria e il terzo settore. L’attività di diffusione della conoscenza ambientale si rivolgerà anche agli studenti universitari e ai giovani ricercatori, attraverso la realizzazione di collaborazioni con le università, summer e winter school, percorsi di alta formazione, master e dottorati di ricerca. Mi auguro veramente che l’idea da cui nasce la Scuola e il modo in cui si svilupperà, possano farne un luogo per il dialogo e il confronto tra attori differenti, e costituire un ponte tra ricerca, territorio e imprese: per la tutela dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile, ma anche per il trasferimento delle conoscenze e delle innovazioni tecnologiche, necessarie a raggiungere questi obiettivi.

Abbiamo seguito l’avvio del Progetto MER: quali attività sono in corso, e quali saranno avviate nei prossimi mesi?

Il MER è un importante intervento previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza; ed è il più importante progetto di difesa, tutela e monitoraggio del mare a livello europeo. Ad oggi è in via di completamento il rilievo topografico di tutta la costa italiana. A breve partiranno i voli per il rilievo batimetrico ad altissima risoluzione mediante i sensori LiDAR che sono in grado di penetrare la superficie dell’acqua, in alcuni casi anche fino a 50 metri di profondità. Ad oggi sono stati effettuati rilievi batimetrici dei primi due monti sottomarini, sui 79 previsti: l’Ovidio e il Cimotoe, al largo della Calabria e di Pantelleria. Con questo colmiamo un gap di conoscenza; perché fino ad oggi conoscevamo tre o quattro tra vulcani e monti sottomarini, sui 79 che sono stati censiti. In un paese come il nostro, che risente di un grave fenomeno generalizzato di dissesto idrogeologico, conoscere la realtà sottomarina è davvero importante.

Da fine ottobre sono partiti i recuperi delle reti fantasma: un altro problema a cui il progetto cerca di mettere mano. In tutto sono previsti interventi di recupero di reti abbandonate in ben 20 siti al largo di Siracusa: oltre a recuperare il materiale dai fondali si favorirà il ripristino degli ecosistemi che sono stati danneggiati.

La mappatura dei nostri ecosistemi marini, costieri e profondi, rappresenta un elemento essenziale di conoscenza per fornire strumenti di pianificazione sia per protezione dell’ambiente marino, sia per la realizzazione di infrastrutture di un altro segmento importante nell’ottica dello sviluppo sostenibile: la Blue Economy. Pensiamo alle opere di difesa costiera; all’estensione delle banchine dei porti; agli impianti eolici offshore e relative connessioni a terra. Dall’altro lato, attraverso gli studi dei fondali, potremo ripristinare le condizioni naturali, per esempio con la piantumazione di letti di ostriche, altre alghe ed elementi essenziali per la vita dell’ecosistema marino che ne possano garantire un riequilibrio.

Siamo nella stagione caratterizzata dalle forti precipitazioni e abbiamo a che fare sempre più spesso con degli eventi eccezionali: alluvioni e altri fenomeni in cui la natura veramente sembra ribellarsi. Qual è la situazione del dissesto idrogeologico italiano? Qual è il contributo di Ispra per il controllo del territorio e la prevenzione delle crisi ambientali?

La situazione non è semplice né rosea. Il contributo di Ispra, mi permetto di dire, è molto importante sotto il profilo della conoscenza, del monitoraggio e dell’aggiornamento di questi fenomeni, che sono peraltro in continua evoluzione. Alcuni, soprattutto le frane, si aggravano per il susseguirsi di eventi estremi: ovvero se ne innescano di nuove. Conoscerle, per poterne poi verificare il movimento e lo sviluppo, ci aiuta a prevenire conseguenze dannose di eventi futuri che purtroppo si potrebbero verificare. Si tenga conto che il rischio naturale zero non esiste: possiamo lavorare per prevenire e gestire al meglio le emergenze; limitarne le conseguenze più tragiche e dannose; dobbiamo lavorare per questo; ma non potremo mai evitare che un evento naturale si possa verificare. Non riusciremo mai a impedire per esempio che si verifichino i terremoti.

Sul fronte delle alluvioni, Ispra pubblica un rapporto ad hoc da cui emerge che l’estensione delle aree potenzialmente allagabili ammonta al 5,4% del territorio nazionale. Nel caso di scenari di probabilità “elevata”, cioè soggetta ad eventi frequenti. I comuni con almeno il 20% del proprio territorio che risulta allagabile sono il 12,8% del totale. La popolazione esposta a vari gradi di rischio alluvione va da un minimo di 2,4 milioni di persone, circa il 4% della popolazione nazionale, ad un massimo di 12,3 milioni, che corrisponde al 20,6%.

Con cadenza triennale pubblichiamo il Rapporto sul Dissesto Idrogeologico in Italia. Dall’ultima edizione emerge che il 93,9% dei comuni italiani è a rischio per frane, alluvioni, o erosione costiera. Quasi 548.000 famiglie vive a rischio frane, e quasi 3 milioni a rischio alluvioni. Su un totale di 14 milioni e mezzo di edifici, quelli ubicati in area a pericolosità da frana “elevata” o “molto elevata” sono circa il 4%. Le frane censite nell’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia, sempre curato dal nostro Istituto, sono oltre 620.000: il 28% di queste sono fenomeni estremamente rapidi, caratterizzati da un’elevata distruttività; spesso con gravi conseguenze, purtroppo anche in termini di perdite di vite umane. Ogni anno si innescano circa un migliaio di nuove frane, e qualche centinaio di eventi principali di frana.

Recentemente Ispra ha presentato l’Atlante Ambientale degli Ecosistemi Urbani. Di che cosa si tratta?

Questa pubblicazione ha lo scopo di offrire una panoramica dei principali dati ambientali in Italia, attraverso mappe che ne mostrano la distribuzione sul territorio. L’obiettivo è fornire informazioni territoriali sempre più accurate ed aggiornate su: suolo, acqua, biodiversità, aria, clima, impatti ambientali delle attività umane. Allo stesso tempo vogliamo aiutare i nostri concittadini a prendere coscienza delle sfide ambientali che ci attendono; anche in un’ottica positiva, non sempre negativa: la necessità di ripristinare gli ecosistemi degradati. Questa edizione dell’Atlante tiene in considerazione anche quanto è stato previsto dal recente regolamento europeo sul ripristino della natura, la cosiddetta Nature Restoration Law, entrato in vigore da poche settimane, in base al quale dovremo assicurare il ripristino delle aree degradate terrestri e marine. Ricordo che i regolamenti comunitari sono disposizioni immediatamente esecutive per gli stati membri, quindi non hanno bisogno di una legge che le trasponga nell’ordinamento nazionale. Questo regolamento richiede che non ci sia nessuna perdita netta di spazi verdi e di copertura arborea nelle aree urbane fino al 2030, e un costante aumento della loro superficie totale a partire dal 2031. Ciò richiede evidentemente un grande sforzo anche da parte delle realtà locali, regioni e comuni, in termini di pianificazione urbana e territoriale. Gli ecosistemi di cui si può leggere nell’Atlante sono stati mappati per tutti i comuni italiani che quindi, con il ripristino e l’incremento della vegetazione, potrebbero migliorare anche la resilienza e l’adattamento nelle aree urbane. Ad esempio sfruttando la capacità delle aree verdi e degli alberi di trattenere e rallentare il ruscellamento dell’acqua in occasione di pioggia intensa; questo aiuterebbe in occasione di alluvioni ed eventi franosi. Altro vantaggio è la riduzione della temperatura durante le ondate di calore estive, sempre più frequenti sul nostro territorio che purtroppo rappresenta un hotspot dei cambiamenti climatici.

Articoli collegati

La corsa contro il tempo delle rinnovabili

Dalla pattumiera al compost al biogas: vantaggi ed errori (evitabili) del bioriciclo

Giuliano Giulianini

“In clima veritas”: a Torino il convegno per parlare di vino, clima e innovazione

Redazione