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Da rifiuto a risorsa. Il valore economico e ambientale della rigenerazione dell’olio minerale usato

Conou: in 35 anni raccolte 6 milioni di tonnellate do olio usato.

L’olio minerale esausto è un rifiuto potenzialmente pericolosissimo per l’ambiente. Ne bastano 4 litri, il quantitativo utilizzato in media da una vettura, per inquinare uno specchio d’acqua grande come un campo di calcio.

Rapportando questo esempio al grandissimo parco auto circolante in Italia e aggiungendovi le moltissime attività industriali che per la produzione utilizzano olio minerale, si può capire quanto sia importante recuperare e smaltire correttamente questo materiale, che invece, se gestito in maniera corretta, può essere trasformato in una preziosa risorsa economica per il Paese in un’ottica di economia circolare.

In Italia di questo si occupa il CONOU, Consorzio nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati. Il presidente, ingegner Paolo Tomasi, ne spiega il lavoro e il valore economico e ambientale intervenendo su Ecosistema, programma a cura di Earth Day Italia trasmesso da Radio Vaticana Italia.

 

Secondo i vostri dati nel 2018 sono state avviate alla rigenerazione 187.000 tonnellate di oli minerali usati, quasi il 100% dell’immesso al consumo. Cosa diventa questo materiale e quale è il valore della filiera in termini economici?

Se mi consente partirei da un po’ più lontano, da quando a livello comunitario ci si rese conto che era necessario intervenire nella raccolta dell’olio usato che poteva essere un inquinante importante per la vita dell’uomo. Da lì sono nate alcune attività che con una legge dell’82 ci hanno portato alla realizzazione in Italia di un consorzio che ovviamente non ha lavorato subito al 100% della performance perché c’era una situazione consolidata per cui l’olio usato veniva utilizzato nella combustione.

Piano piano il consorzio ha preso spazio e oggi siamo arrivati a raccogliere il 100% dell’olio usato prodotto e lo destiniamo alla rigenerazione come prevede la legge; siamo arrivati ad ottenere un sistema complessivamente valido all’interno di un contesto di economia circolare.

Stiamo parlando di un sistema complesso fatto di presidi di raccolta, 70 imprese distribuite in tutta Italia, e tre raffinerie di rigenerazione, la più grande al nord dove vengono raccolte le maggiori quantità, la seconda al centro Italia, la terza nel meridione.

Rigenerare vuol dire a prendere un rifiuto, trasformarlo e ottenerne dei prodotti finiti: fondamentalmente un olio base dal quale si farà nuovo lubrificare, la resa è intorno al 65%, poi abbiamo un 8% di gasolio, un 12% di bitume e una parte, che poi deve essere ulteriormente trattata, fatta prevalentemente di acqua e inquinanti.

In questo ciclo abbastanza complesso la regia del consorzio che opera da 35 anni è andata gradualmente a migliorare. Oggi complessivamente lavoriamo circa 200.000 tonnellate, piccole quantità che potrebbero generare un grosso problema ambientale che invece non esiste in quanto recuperiamo praticamente tutto.

Per quanto attiene la valorizzazione economica il sistema complessivo grosso modo ruota intorno ai 70 milioni di euro: è chiaro che siamo vincolati da quello che poi è il prezzo internazionale dell’olio base che subisce delle oscillazioni perché essendo un prodotto di derivazione del greggio segue l’andamento del mercato internazionale del petrolio.

 

In termini ambientali tutto questo quanto vale?

Ovviamente per noi l’importanza maggiore è quella che ruota intorno ai benefici ambientali che la nostra attività ha realizzato.

In 35 anni abbiamo raccolto circa 6 milioni di tonnellate do olio usato che sono diventate prevalentemente carica impianti per la rigenerazione, per circa il 90% con la produzione di 3 milioni di tonnellate di olio base, ma anche un milione di prodotti energetici e altre quantità.

Il 30% del consumo nazionale di olio lubrificante è fatto da oli base ottenuti dal processo di rigenerazione dell’olio usato: in termini economici vuol dire 3 miliardi di euro risparmiati sulle importazioni petrolifere.

Ma questo è l’aspetto soltanto economico: abbiamo risparmiato acqua per circa 2,6 miliardi di metri cubi, abbiamo evitato emissioni in atmosfera per 1,4 milioni di tonnellate di CO2, abbiamo risparmiato importazioni di greggio per 7 milioni di tonnellate e soprattutto, questo è un aspetto che pochi immaginano, abbiamo risparmiato insediamenti industriali per la produzione di oli base che avrebbero occupato circa 10 mila ettari, quindi abbiamo evitato anche un utilizzo di suolo che è un altro aspetto estremamente importante.

 

Recuperando il 100% per cento dell’immesso al consumo viene da chiedersi quali possono essere gli ulteriori obiettivi che un’attività del genere può darsi.

Anche noi ci siamo posti questo tema.

Evidentemente il processo logico che segue tende a recuperare tutto, ma ci siamo anche resi conto, dalle analisi di caratterizzazione che facevamo sulla raccolta di olio usato, che avevamo un’evidenza di qualcosa che all’interno del lubrificante, tenendo conto dell’impiego a cui il lubrificante stesso era sottoposto, tutto sommato non ci sarebbe dovuto essere.

Il prodotto nella parte terminale della sua attività viene raccolto in uno stoccaggio e in questa fase di stoccaggio presumibilmente, e questo non ci sarebbe dovuto essere, avveniva una miscelazione del rifiuto con altri inquinanti.

Trovavamo per esempio grandi quantità di acqua, oltre il 9%, ma questa acqua non ci sarebbe dovuta essere; ora, l’acqua può essere separata dall’olio tramite decantazione quindi un processo abbastanza semplice, ma c’erano anche altri inquinanti.

Questo ha reso ci ha fatto ragionare su una possibilità di dedicare un po’ di tempo a fare formazione dall’industria perché gestisse meglio i propri stoccaggi.

Abbiamo contattato Confindustria e con loro abbiamo fatto un accordo che ci porta ad andare ad incontrare l’industria di tutto il paese in incontri specifici di formazione per cercare di fare qualche cosa a riguardo. È un progetto già avviato e dal quale ci aspettiamo grossi risultati.

Se riduco l’inquinamento di un olio usato e lo porto direttamente pulito, ovviamente inquinato per quello che poi la sua applicazione ha determinato non per altri effetti, ad una raffineria di rigenerazione né porterò delle quantità minori, ma complessivamente ma meno inquinate e quindi più facili da trattare; questo aumenta la resa in termini di prodotto finale e avrò meno emissioni nella fase di trasporto e meno inquinanti in atmosfera.

 

 

L’end of waste è un tema molto delicato. In questo momento c’è una sorta di vuoto normativo che rischia di mettere in difficoltà la green economy e l’economia circolare. Il Conou da questo punto di vista vanta una una procedura già consolidata nel tempo per cui non risente di questa situazione, ma le chiederei comunque una valutazione del momento che stiamo vivendo.

È uno dei temi più interessanti su cui il dibattito degli ambientalisti sta lavorando e sta cercando di trovare delle soluzioni.

End of waste vuol dire la trasformazione di un rifiuto in un prodotto riutilizzabile e ovviamente per arrivare a questo tipo di caratterizzazione definitiva occorre superare una certa serie di esami legati al fatto che veramente un materiale possa aver cambiato stato, quindi non più rifiuto ma prodotto finito.

È chiaro che ogni diciamo comparto ha poi le sue logiche, ma perseguendo il criterio dell’economia circolare per cui devo puntare al riutilizzo in una maniera più ampia possibile, dovremmo essere un pochettino più veloci a prendere decisioni in questo senso.

Il Ministero dell’ambiente si sta lavorando alacremente, e ovviamente ci aspettiamo che lo studio passi poi all’operatività perché ci sono tanti bei progetti ancora in attesa di una definizione e che mi auguro non debbano aspettare ulteriormente

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