Ecosistema, la rubrica radiofonica di Earth Day Italia su Radio Vaticana, affronta il tema del riscaldamento degli oceani e delle dinamiche di cambiamenti climatici che ne derivano.
I dati presentati in questo articolo sono tratti dal libro “Il polmone blu” e hanno dato spunto alla puntata odierna di Ecosistema, la rubrica di Earth Day Italia trasmessa su Radio Vaticana. Di seguito il podcast della trasmissione.
Di solito si affronta il tema del degrado ambientale dei mari focalizzando l’attenzione sulla perdita di biodiversità: piante, pesci e altri organismi che scompaiono o diminuiscono; inquinamento, rifiuti e plastiche che, al contrario aumentano. Troppo poco si parla invece degli oceani come fattore acceleratore della crisi climatica.
“C’è qualcosa di immenso che ci tiene ancora tutti uniti, legati a un unico destino: sono gli oceani, i tanti mari che bagnano la terraferma, che colorano di blu il pianeta Terra visto dallo spazio, sui quali abbiamo migrato, costruito le rotte commerciali, abbiamo scambiato merci e cultura, dove si sono incontrate le lingue del mondo, la religione, la filosofia la scienza. Ora sono la faglia più sensibile ed esposta al cambiamento climatico.”
Queste frasi, del giornalista Riccardo Iacona, sono tratte dalla prefazione del libro “Il polmone blu” (Dedalo Edizioni, 2023). Il libro è opera di Alessandro Macina, giornalista della trasmissione “Presa Diretta” di RaiTre, che in queste pagine riassume un lavoro di inchiesta volto a svelare il ruolo degli oceani nel quadro della crisi ambientale. Il brano sopra riportato ben chiarisce: da una parte l’importanza degli oceani per la storia e il presente dell’umanità; dall’altra come gli oceani siano diventati – a causa delle attività umane – il motore principale di quel cambiamento climatico che mette in pericolo il nostro stile di vita per i decenni a venire.
Gli oceani ricoprono il 71% della superficie del pianeta e racchiudono il 97% di tutta l’acqua. Tutto ciò fa di essi il grande termo-regolatore della Terra: costantemente accumulano calore e lo rilasciano in atmosfera. I mari inoltre sono grandi accumulatori di CO2, non solo perché la assorbono direttamente dall’atmosfera, ma anche perché la depositano negli abissi per opera di organismi animali e vegetali che, come sulla terra, la fissano e la “sequestrano”. Per di più, attraverso la fotosintesi delle piante e l’azione dei microrganismi, dai mari emerge il 50% di tutto l’ossigeno presente in atmosfera.
Il problema è che attualmente si sta riscaldando non soltanto l’atmosfera, ma anche l’idrosfera. È stato calcolato che gli oceani si sono riscaldati di circa un grado rispetto alla media preindustriale. Può sembrare infinitesimale, ma per riscaldare di un solo grado una massa d’acqua così grande, ci vuole un’enorme quantità di energia, che è stata paragonata a quella di sette bombe atomiche fatte esplodere ogni secondo per un anno intero.
Tutto ciò innesca una serie di dinamiche che aumentano il riscaldamento globale e diminuiscono la capacità del mare di mitigarlo. In passato gli oceani hanno assorbito il 30% dei gas serra e il 90% del calore extra, prodotto dalle attività umane. Tutto ciò adesso potrebbe cambiare perché anche queste capacità degli oceani stanno venendo meno.
L’effetto collaterale più palese del riscaldamento dei mari è l’aumento dell’intensità e della frequenza dei cicloni e degli uragani. Più calore vuol dire più energia che si scambia fra l’atmosfera, la superficie e le profondità del mare. Più calore si traduce in più umidità, più precipitazioni, più differenze di pressione, venti più forti e distruttivi. Negli USA è stato calcolato che la velocità degli uragani è maggiore di 30 km all’ora rispetto al passato; il che aumenta del 40% il loro potenziale distruttivo.
Un altro effetto deleterio del riscaldamento globale notato dagli scienziati è la deossigenazione degli oceani. L’ossigeno contenuto nella massa d’acqua è diminuito del 2% dagli anni ’50 ad oggi. Può sembrare poco ma per microrganismi, pesci e piante che vivono sotto la superficie può voler dire la differenza tra la vita e la morte. In alcune zone questa percentuale è arrivata addirittura al 40% nello stesso lasso di tempo. La previsione per fine secolo è che, in media, l’ossigenazione degli oceani diminuirà del 4% .
Due capitoli tra i più notevoli del libro sono dedicati ai poli terrestri. Riprendendo la metafora di uno scienziato americano Artide e Antartide sono efficacemente descritti come “il frigorifero del mondo, di cui è stata lasciata aperta la porta”. Nell’ultimo secolo il livello medio degli oceani è salito di 20 cm; se il maggiore dei ghiacciai del polo sud, come sembra, si scioglierà nei prossimi decenni, tale livello potrebbe salire di altri 65 cm, cancellando città come New York, Londra, Amsterdam, Istanbul e Venezia.
Dal libro/inchiesta il riscaldamento degli oceani emerge come il principale problema ambientale del pianeta. Si può risolvere? Le vie da seguire sono ben note.
Azioni di resilienza. Proteggere le coste più fragili (con progetti di barriere artificiali e naturali). Sostenere i paesi più poveri, che hanno le popolazioni più numerose e soggette ai disastri climatici, con la cosiddetta “finanza climatica”, che dev’essere diretta dalle economie più ricche a quelle più povere.
Azioni di mitigazione. Abbandonare rapidamente le fonti fossili in favore di quelle pulite e rinnovabili. Virare verso un’economia sostenibile, circolare, rispettosa dei cicli naturali, per ripristinare le capacità di recupero del pianeta e, soprattutto, invertire la tendenza all’aumento dei gas serra in atmosfera.
Cooperazione internazionale incondizionata e unanime. Ogni paese deve ottemperare agli impegni presi con l’Accordo di Parigi del 2015, e confidare che tutti gli altri facciano lo stesso. La sfida climatica è una corsa che le nazioni possono vincere solo tutte insieme: “Nessuno si salva da solo” come ha sapientemente riassunto papa Francesco.