Vivere green

DAL MONACHESIMO MEDIEVALE UNA SOLUZIONE PER LE COMUNITÀ LOCALI?

L’esempio di Ragusa: il restauro di un convento seicentesco recupera saperi e sapori antichi, e apre una scuola per chef e albergatori

Tra i più fulgidi esempi di comunità sostenibili, integrate nella natura e legate alle risorse locali, che la nostra storia può vantare ci sono i conventi, le abbazie, le certose: le comunità monastiche. Le regole di queste congreghe religiose, votate al lavoro, alla parsimonia e alla perpetuazione del sapere, e il contesto storico non favorevole a commerci ed eccessive aperture verso l’esterno, favorirono in tutta Europa la nascita di micro economie locali che, gioco forza, dovevano sfruttare le risorse disponibili in loco per sopravvivere e prosperare.

Oggi, in tempi di crisi economica e di identità sociale, le comunità locali possono ricevere anche da questi esempi del passato una nuova spinta a riscoprire le proprie radici, la cultura e le risorse del proprio territorio. Tra le storie di comunità locali che hanno saputo interpretare il passato per rilanciarsi verso una diversa economia del futuro (storie che Earth Day Italia ha inserito  nel progetto di comunicazione “Tra campagne intelligenti e montagne all’avanguardia – Le comunità rurali e montane insegnano come mangiare tutti e mangiare bene”, presentato all’EXPO 2015 con il sostegno del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali) particolarmente emblematica è quella dell’antico convento dei padri cappuccini a Ragusa Ibla, in Sicilia.

Una struttura architettonica di grande pregio storico ed artistico, il cui giardino è inserito tra i patrimoni dell’UNESCO, persa la sua funzione originale, è stata restituita  alla città e alla comunità recuperando antichi saperi e aprendosi al mondo e al turismo. Le celle e gli ambienti che una volta ospitavano i frati oggi sono disponibili per accogliere i turisti. L’antico refettorio è divenuto un ristorante, “Cenobio”, che serve specialità regionali siciliane e fa da scuola agli chef di domani. Dove una volta c’era l’orto dei semplici, necessario al sostentamento dei religiosi oggi c’è… di nuovo un orto, per coltivare le spezie e le verdure servite poi nel ristorante.

Ma il cuore del progetto è la la Scuola Mediterranea di Enogastronomia “Nosco”: un luogo dove professionisti affermati tengono corsi formativi per chef, sommelier e personale di sala, e dove si recupera e si tramanda la cultura culinaria siciliana. In questo senso va citato il restauro in corso della biblioteca del convento, un altro gioiello architettonico: una biblioteca lignea tra i cui volumi sono state ritrovate, e riutilizzate, antiche ricette dei frati, esempi tangibili di quella trasmissione di saperi e sapori che è il tema di questo articolo. La scuola è aperta anche alla comunità: se di giorno è frequentata da allievi e apprendisti, di sera i corsi si aprono agli amatori, ai gourmet, ai semplici cittadini che vogliano imparare a cucinare all’antica, o semplicemente riscoprire ingredienti dimenticati. Sono organizzati anche corsi per i bambini, il cui scopo è “avvicinarli alla sana alimentazione; riabituarli al patrimonio dei cinque sensi – ci ha dichiarato Peppe Barone, chef e direttore della scuola –  I bambini non riconoscono il gusto naturale di un frutto perché sono abituati a sapori artificiali“.

Da sottolineare il fatto che l’iniziativa di questo recupero non è venuta dal “privato”, dalla “imprenditoria”, ma dall’istituzione religiosa proprietaria del convento: la diocesi di Ragusa, rappresentata dal Vescovo, e dalla Fondazione San Giovanni Battista che ha investito nel progetto, curato i restauri e avviato le nuove attività del convento. La finalità sociale dell’operazione sta anche nell’intenzione della Fondazione di reinvestire i proventi delle strutture ricettive in opere assistenziali e in programmi di inserimento lavorativo per i giovani.
In altri tempi avrebbe forse fatto discutere la trasformazione di una struttura storica e di un edificio di culto in una “impresa” che si votasse all’economia “secolare”, ma in questi tempi in cui il lavoro e la tutela del patrimonio storico non sono più assicurati in toto da istituzioni statali, si può valutare, e in definitiva accettare, che un ex convento venga utilizzato come struttura turistica. Soprattutto se l’alternativa è l’abbandono e il declino mentre, come effetti collaterali di questa “valorizzazione”, la comunità può ottenere posti di lavoro, formazione di giovani professionisti, restauro e conservazione del patrimonio artistico, e recupero dei prodotti agricoli e gastronomici tradizionali.

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