Ecosistema approfondisce il ciclo dei rifiuti organici. Intervista a Massimo Centemero, direttore del Consorzio Italiano Compostatori, sulle possibilità del settore e le criticità di una raccolta di qualità.
Come vengono raccolti e trattati i rifiuti organici che noi cittadini conferiamo nei cassonetti dell’umido? Che prodotti se ne ottengono una volta elaborati negli impianti di compostaggio? E soprattutto: quali errori non bisogna commettere in fase di raccolta domestica e conferimento di quanto raccogliamo?
Ne abbiamo parlato nella puntata di questa settimana di “Ecosistema”, la rubrica di Earth Day Italia trasmessa da Radio Vaticana Italia, con il contributo di un’intervista a Massimo Centemero, direttore generale del Consorzio Italiano Compostatori.
Ogni italiano in un anno produce 500kg di rifiuti urbani; 120kg rappresentano la raccolta dell’umido domestico e non, avviata al compostaggio. La raccolta differenziata multimateriale nazionale ha raggiunto la percentuale del 65% del totale dei rifiuti, per 19 milioni di tonnellate annue. Di questi, la frazione umida ammonta a circa 7 milioni di tonnellate. Si tratta della parte maggiore della differenziata: per fare un confronto è circa il doppio della carta e il triplo del vetro.
I rifiuti urbani trattati in Italia sono avviati per il 30% al riciclo di materia (metalli, carta, vetro ecc.) per il 26% al compostaggio e digestione aerobica/anaerobica; un altro 26% viene utilizzato per il recupero di energia e l’incenerimento; il 21% finisce in discarica o altre modalità di smaltimento. Va ricordato che l’obiettivo dell’UE è ridurre la destinazione alle discariche fino al 10% del totale.
Da dove viene l’umido avviato al trattamento? Il 70% dalle cucine domestiche e dalle mense; il 25% dalla manutenzione del verde (parchi, riserve e giardini pubblici). Da segnalare una percentuale del 4% di compostaggio domestico che non arriva neanche al cassonetto, ma viene elaborato e riutilizzato direttamente dai cittadini.
A Ecomondo, la fiera dell’economia verde in corso a Rimini, il Consorzio Italiano Compostatori e Biorepack hanno presentato l’Osservatorio Bioriciclo, una piattaforma per informare sulle buone pratiche di raccolta differenziata dell’organico e delle bioplastiche compostabili. Il problema rilevato dal Centro Studi CIC, è che il tasso di materiali non compostabili che finiscono nei cassonetti dell’umido è pari al 7,1%; mentre la percentuale minima di “impurità” ammessa è del 5%. Ciò comporta tempi e costi ulteriori per rimuovere le impurità (essenzialmente plastiche) dall’umido “pulito”; e comunque il 21,9% dei rifiuti conferiti agli impianti di trattamento viene rimosso e risulta così “sprecato”.
La causa principale sono i sacchetti di plastica utilizzati in casa per raccogliere l’umido: devono essere “compostabili”, altrimenti inquinano la raccolta rendendola inutilizzabile per il compostaggio. Sul sito www.compost.it e su quello di Biorepack – Consorzio nazionale per il riciclo organico degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile – sono presenti esempi e consigli per effettuare correttamente la raccolta dell’umido. Un concetto chiave è che quando si parla di plastiche (sacchetti, vaschette, piatti, posate, bicchieri ecc.) “biodegradabile” non è sinonimo di “compostabile”: per essere inseriti nella raccolta dell’umido i materiali le plastiche devono essere contemporaneamente “biodegradabili e compostabili”; le si può riconoscere dalla certificazione EN 13432.
Il compostaggio e la raccolta dell’umido non sono soltanto un dovere civico ma anche un’opportunità economica: i vantaggi diretti sono la produzione di compost, di biogas e la creazione di posti di lavoro. Attualmente in Italia il settore del trattamento dei rifiuti organici impiega 4.368 persone, a occorre aggiungere 10.008 addetti alla raccolta e trasporto dei rifiuti. Nel Paese operano 283 impianti di compostaggio che producono 2 milioni di tonnellate annue di terriccio e fertilizzante. Il 60% del compost viene utilizzato in agricoltura, per ripristinare la fertilità dei suoli in alternativa ai prodotti chimici; il 30% è venduto ai florovivaisti; il 10% è acquistato direttamente da cittadini o comuni. In Italia sono presenti anche 74 impianti di digestione anaerobica che integrano la produzione di compost e quella di biogas. Quest’ultima produzione è costituita essenzialmente da biometano che viene poi utilizzato come combustibile per autotrazione, o forniture domestiche per il riscaldamento e la cottura dei cibi.
La produzione di biogas da raccolta della frazione umida è un’alternativa rinnovabile all’estrazione del gas naturale dal sottosuolo. È bene comunque specificare che questa è una risorsa rinnovabile ma non “pulita”: poiché il biometano ha sull’atmosfera lo stesso impatto del metano, che è un gas climalterante. La produzione locale o nazionale di biogas incide anche sul bilancio economico del Paese e sulla dipendenza energetica dall’estero. Attualmente il consumo annuo di gas naturale nell’Unione Europea ammonta a 400 miliardi di metri cubi (bcm), di cui 155 sono importati dalla Russia. L’EU stima che potenzialmente i paesi membri potrebbero produrre da soli biometano per 41 bcm entro 2030, coprendo così il 10% del fabbisogno attuale; e aumentare a 151 bcm entro 2050, che rappresenterebbe più di un terzo del necessario.