Società

Dalla speranza di un futuro migliore a una vita da schiavi. 40 milioni di persone nel mondo vittime della tratta

Suor Gabriella Bottani (Talitha Kum): per il 70% donne e bambine reclutate per prostituzione, matrimoni forzati, servizi domestici e accattonaggio.

Secondo un Rapporto curato dall’ UNODC, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, il fenomeno della tratta coinvolge a livello globale almeno 40 milioni di persone, il 70% delle quali donne e bambini. Una piaga di cui forse si parla troppo poco, soprattutto nel mondo occidentale, ed è per questo che nel 2015 Papa Francesco istituisce la Giornata Mondiale di Preghiera e riflessione contro la Tratta di Persone che ricorrerà il prossimo 8 febbraio.

A coordinare le celebrazioni Talitha Kum, la rete mondiale della vita consacrata impegnata contro la tratta di persone. Fondata nel 2009 dall’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG) per contrastare questo triste fenomeno, oggi Talitha Kum coordina in 90 paesi oltre 2.000 operatori che nell’ultimo anno hanno aiutato oltre 15mila sopravvissuti e coinvolto circa 235mila persone in attività di prevenzione.

Se ne è parlato su Ecosistema con Suor Gabriella Bottani, coordinatrice internazionale di Talitha Kum.

 

Nel 2020 fa uno strano effetto parlare ancora di tratta delle persone. Eppure è una piaga ancora attuale. Dove è presente nel mondo e di quante persone parliamo? 
Sono d’accordo con lei, è veramente strano nel 2020 parlare ancora di qualcosa che tutti speravamo fosse fosse conclusa. Di fatto la tratta continua a livello globale in tutti i paesi del mondo, nessuno può dire di esserne fuori.
Le aree dove principalmente vengono reclutate le persone si trovano nel sud est dell’Asia, nell’Africa sub sahariana, ma anche in regioni dell’est europeo, dell’Asia centrale e dell’America latina.
Quello che ci dicono le statistiche, confermate anche da quella che è la nostra esperienza, è che la maggioranza delle persone che soffrono la schiavitù e lo sfruttamento sono le donne e le bambine che raggiungono oltre il 70% del totale.
Le modalità di sfruttamento sono le più diverse: quella di cui forse parliamo di più è lo sfruttamento sessuale, nella prostituzione o nella pornografia, ma esiste anche tutta la parte legata ai matrimoni forzati, alla tratta per servitù, ai servizi domestici forzati, all’accattonaggio, ai piccoli crimini.
In questo diventa importante e dolorosa anche realtà della tratta in contesti di conflitto di guerra.
C’è poi tutta la parte della tratta e dello sfruttamento nell’ambito lavorativo oppure quello che sta segnando in modo particolare la realtà dei migranti in America centrale o nella rotta dal Nordafrica verso il Mediterraneo dove queste popolazioni in movimento, senza diritto e in situazioni di altissima vulnerabilità, continuano ad essere vittime dei trafficanti in diverse modalità.

 

È un fenomeno prevalentemente di natura transnazionale o esiste anche una tratta interna ai singoli paesi?

Il principale sfruttamento è quello interno o regionale per cui si attraversano i confini da un paese verso un altro, come potrebbe essere dal Malawi al Sudafrica o dal Brasile al Perù.

La tratta segue quelli che sono gli spostamenti umani, per cui abbiamo ancora in diverse regioni dell’Asia e dell’Africa un grande movimento dalle zone rurali verso le città, oppure da zone verso altre dove si suppone di poter trovare un lavoro perché quello che muove la tratta di fatto è il sogno di una vita migliore.

È in questo contesto che intervengono i trafficanti che riescono a reclutare offrendo un paradiso, un lavoro, qualcosa di bello, di facilmente raggiungibile che poi per la maggioranza si trasforma invece in situazioni di sfruttamento e grave limitazione della libertà.

Ci sono poi i flussi internazionali, quindi quelli che superano anche i confini continentali, come accade in Italia dove abbiamo una maggioranza di persone che vengono trafficate dai paesi subsahariani e dall’est europeo. L’Europa e l’Italia costituiscono però un po’ un’eccezione rispetto a quello che osserviamo invece negli altri continenti.

 

Cosa fa Talitha Kum per contrastare questo fenomeno?
Intanto formarci, sensibilizzarci e capire che la tratta di persone è un problema. Può sembrare una banalità, ma di fatto è il primo passo perché per molti paesi emigrare vuol dire un miglioramento di vita e non è facile vedere e riconoscere il dramma che c’è dietro la tratta e la grave violazione dei diritti che che porta con sé.
Quindi prima di tutto è importante riconoscere il problema e tentare, sia a livello globale che a livello locale, di identificarne e studiarne le cause per cercare di organizzare e di promuovere delle azioni preventive che possano non solo informare e sensibilizzare la popolazione sul tema della tratta, ma anche cercare di incidere su quelle che sono le sue radici, come dice molto bene anche il documento degli Orientamenti Pastorali sulla tratta di persona pubblicato nel 2019 dalla sezione migranti e rifugiati su cui siamo veramente concordi.
Inoltre abbiamo messo in rete e creato un maggior coordinamento tra quelle che sono le case di accoglienza gestite da suore che lavorano in questo settore, ma anche tra religiose e non che sono impegnate nell’accompagnamento delle persone che sono state liberate dalla tratta in diversi paesi.
In molti casi sosteniamo nella formazione e accompagniamo le congregazioni che decidono di entrare in questa missione.
È un lavoro ampio di costruzione di rete, di coordinamento e di collaborazione, a partire dalla leadership delle donne, delle suore, in coordinamento con organizzazioni e altri organismi ecclesiali, ma anche con donne di altre fedi, come il caso dell’ ultima rete nata in Medio Oriente che è appunto interreligiosa, e con organizzazioni governative o intergovernative.

 

Il prossimo 8 e 9 febbraio ricorre la Giornata Mondiale di Preghiera e Riflessione Contro la Tratta di Persone. Cosa è stato organizzato?
Il comitato propone tutti gli anni una una veglia di preghiera che inviamo a tutti attraverso i principali membri del comitato, per cui la sezione migranti e rifugiati, noi di Talitha Kum, Caritas Internationalis, l’organizzazione internazionale delle associazioni femminili cattoliche, per invitare a unirsi a noi nella preghiera.
Su Roma abbiamo due eventi principali: la veglia di preghiera che ci sarà sabato 8 febbraio alle 18:30 alla chiesa di Sant’Antonio in Via Merulana di fianco all’Antonianum, mentre il giorno dopo avremo una marcia; ci ritroveremo alle 10:00 di fronte a Castel Sant’Angelo e andremo insieme in piazza San Pietro per partecipare alla preghiera dell’Angelus con Papa Francesco.

 

La data scelta da Papa Francesco per meditare su questo problema coincide con la memoria liturgica di Santa Bakhita. Può ricordarci chi era questa figura?
Papa Francesco ha confermato una richiesta partita da un gruppo di religiose italiane che hanno dato voce a una devozione che era già nata nel in diverse realtà, non solo legate alle suore.
Santa Bakhita è una una suora canossiana, santa, vissuta a cavallo tra il 1800 e gli inizi del 1900. Da bambina è stata schiava, liberata dalla schiavitù e portata in Italia dove prima ha servito nelle famiglie di Venezia e poi si è convertita al cristianesimo, ha sentito la chiamata a consacrare la sua vita interamente a Dio ed è entrata nelle suore canossiane.
Una donna che ha fatto un processo di riconciliazione molto bello dentro sé stessa e che diventa veramente un segno di speranza, sia per noi che ci facciamo sorelle in questo cammino di libertà per tante donne e uomini del nostro tempo, ma soprattutto per loro che in santa Bakhita trovano la forza e un esempio grazie a cui possono percorrere dei cammini di libertà e ricostruire la loro vita.

 

Lei ha vissuto per anni in missione in Brasile e in Amazzonia. Non posso non chiederle un’opinione sulla catastrofe ambientale che ha colpito la regione la scorsa estate e sul Sinodo da poco concluso.
Io dico sempre che sono stata strappata. La mia esperienza in Brasile è stata a Fortaleza, nel nord est, e due anni sono stati sufficienti per appassionarmi a innamorarmi dell’Amazzonia.
Il dramma è antico ed è sicuramente peggiorato negli ultimi anni. Lo sfruttamento dell’ambiente e lo sfruttamento umano sono molto preoccupanti per cui mi ha fatto veramente piacere il Sinodo e spero che riesca a dare nuova energia e forza a chi non si rassegna a questa mentalità di sfruttamento.
Al Sinodo è stato molto bello rivedere e rincontrare delle amiche con le quali ho collaborato nella regione di Porto Velho dove ho vissuto; ho veramente sentito come la Chiesa in Amazzonia abbia portato e porti una riflessione importante, fondamentale. L’Amazzonia è una testimonianza dell’importanza della Laudato Si’ e allo stesso tempo ci sfida con delle problematiche, che devono essere affrontate sia a livello sociale che a livello pastorale, davanti alle quali come chiesa universale non possiamo e non dobbiamo chiudere gli occhi.

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