Dario Fabbri - Foto: Musacchio, Pasqualini, Fucilla e Ruscio
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Interviste Pianeta

Dario Fabbri: “Nessuna grande potenza mette il clima tra le priorità”

Geopolitica dell’ambiente. Che importanza danno Cina, Russia, USA, grandi e piccole potenze alle politiche climatiche? Intervista a Dario Fabbri.

Durante la recente Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria “Più libri più liberi” abbiamo incontrato Dario Fabbri, direttore della rivista Domino, in occasione dell’incontro di presentazione del nuovo numero intitolato “Fronti di guerra globale”. La concomitanza dello svolgimento, a Dubai della 28a Conferenza delle Parti dell’ONU sui cambiamenti climatici, ci ha dato lo spunto per riflettere sulla geopolitica dell’ambiente.

Che ruolo ha l’ambiente nella geopolitica? ovvero nelle strategie delle nazioni, soprattutto quelle grandi che definite “imperi”?

Dipende dalla “potenza”. Storicamente le grandi potenze non hanno mai preso sul serio la questione climatica, come possiamo immaginare o sperare. Da qualche anno un po’ di più. Fino a qualche anno fa quasi niente. Ancora all’inizio degli anni 2000 gli Stati Uniti tendenzialmente utilizzavano la questione ambientale per limitare la crescita industriale della Cina e dell’India. Loro se lo ricordano. Oggi c’è una consapevolezza diversa, ma senza esagerare – altrimenti ci nascondiamo dietro un dito – o la questione sarebbe già risolta. Purtroppo non è così. Ci sono degli sforzi in più, ma nessuna grande potenza mette il clima tra le sue priorità, al di là delle chiacchiere e delle narrazioni. Non gli americani; non i cinesi; tanto meno gli indiani. I russi neanche a nominarli: coltivano il grano in Siberia… non proprio lungimiranti; ma non credono che il cambiamento climatico sia un questione drammatica.

Una delle narrazioni principali di queste conferenze internazionali è che le piccole nazioni fanno pressioni sulle grandi, innanzi tutto per ricevere finanziamenti climatici; e poi per invitare all’azione i grandi inquinatori. In generale, in geopolitica, il consesso delle altre nazioni ha un peso per indirizzare le politiche dei grandi paesi? Oppure decidono tutto i cinque del Consiglio di Sicurezza?

La Gran Bretagna e la Francia non decidono un gran ché. Potremmo dire niente, ma non vogliamo essere così cattivi. La pressione internazionale ha un peso ma dipende da quale e dove. Se pensiamo a una pressione “universale”, non esiste: è una nostra illusione occidentale. La questione ambientale non è una questione universale. Questo ce lo raccontiamo noi. Spesso la maggioranza dell’umanità non hanno la questione ambientale tra le priorità, anche se poi la subiscono. Questo è il dramma: la subiscono tremendamente.

Questo è sorprendente: i paesi più poveri sono quelli che subiscono di più, non solo i cambiamenti climatici ma anche i loro effetti, come la povertà e la siccità.

È esattamente così. Eppure molti paesi non hanno questa tra le loro priorità. Pensano di averne altre. Si ribellano allo stigma. Ad esempio, quando si tratta di ridurre le emissioni di CO2 i cinesi dicono: “Chi ha inquinato davvero il mondo fino ad oggi è l’Occidente, però chiedono soprattutto a noi uno sforzo per ripulirlo”. Sto semplificando, ma non sono lontanissimo dal dibattito. La pressione dipende da dove viene; e ha un effetto, perché no? Questi soggetti non vivono nell’iperuranio: l’immagine, la narrazione che hanno di sé è molto importante. In fondo il vero ruolo delle COP è questo: raramente, o mai, prendono decisioni vincolanti; però stabiliscono un’agenda. Come dire: questo è importante, fondamentale, per una buona fetta dell’umanità (non tutta come ci siamo detti). Quindi c’è una presa di coscienza. Di solito – mi piacerebbe essere smentito – non si è mai andati oltre una presa di coscienza, o progetti e obiettivi a lungo termine che poi quasi mai vengono rispettati fino in fondo. Però è già qualcosa.

Voi analisti cercate anche di prevedere quali siano i nodi del futuro: quelli commerciali, le rotte marittime di cui si parla poco, le potenze nucleari e militari. Prevedete che in futuro anche la gestione dell’acqua, delle risorse naturali, delle terre rare, il litio, l’uranio, le nuove materie prime [della transizione sostenibile] saranno altrettanto importanti di una rotta marittima?

Queste sono già questioni importanti. Il punto è che il mondo non si gestisce soltanto con le risorse. Questa è un’eccessiva semplificazione. Non c’è un Sacro Graal o un anello degli anelli con cui si vince tutto. I fondamenti, le questioni basilari e strutturali… il “telaio del pianeta” è sempre lo stesso: le rotte marittime, il controllo degli accessi ai colli di bottiglia, la capacità di estendersi sul territorio. Ciò non vuol dire che ciclicamente non siano importanti alcune risorse anziché altre; però, fino a prova contraria, la base strutturale del pianeta rimane quella. E chi la gestisce ha sempre un vantaggio.

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