La giornalista conduttrice di Linea Blu, Presidente del Parco Nazionale delle Cinque Terre, sollecita un passo in avanti nell’educazione e nella didattica per aumentare la conoscenza del mare negli italiani. I progetti di esplorazione e tutela dei fondali, finanziati dal PNRR, e un’accresciuta sensibilità all’inquinamento avvicinano le diverse visioni del mondo marino dell’italiano medio e della “gente di mare”.
L’italiano medio ha una percezione molto parziale del mare; poiché lo vede dalla spiaggia, tutt’al più da un traghetto o da una nave da crociera. In generale, dalla terraferma abbiamo una visione distorta della vera natura di questo pianeta: persino tra gli ambientalisti e i divulgatori, quelli che si occupano di ecosistemi terrestri, sono molto meno di quelli esperti in ambienti acquatici. I mari sono dai più percepiti come immensi spazi distanti, inaccessibili in profondità, con cui si interagisce poco nel quotidiano. Ne abbiamo un’idea romantica, idealizzata o, peggio restiamo indifferenti alle loro sorti. Una discarica a terra o un bosco devastato dal fuoco colpisce immediatamente il nostro immaginario; ma un mare inquinato, da terra non appare diverso molto diverso da uno sano, spiagge a parte. Come appare invece a chi lo naviga e lo vive da vicino, come un pescatore, un lavoratore marittimo, o chi lo vive e lo racconta da una vita? Lo abbiamo chiesto a Donatella Bianchi, giornalista, storica conduttrice del programma Rai “Linea Blu”, ex presidente del WWF e attuale presidente del Parco Nazionale delle Cinque Terre.
Parte di questa intervista è stata trasmessa anche nella puntata del 3 ottobre di “Ecosistema”, la rubrica radiofonica di Earth Day Italia su Radio Vaticana. Di seguito il podcast della puntata.
“Chi lavora sul mare lo considera un volume. A scuola studiamo le colline, le montagne, la costa; mai nessuno ci ha spiegato che esistono la piattaforma continentale, le montagne e le spiagge sottomarine. Perciò consideriamo il mare una superficie. Dobbiamo introdurre nell’educazione (non solo ambientale) e nella didattica la conoscenza fisica del mare: inteso come un ambiente con un suo spazio, una sua identità e molte caratteristiche. In questo il PNRR ci darà una mano, perché ci sono progetti finanziati che realizzeranno per la prima volta uno studio della fascia costiera, con un sistema che leggerà esattamente le profondità, i fondali; non più solo la costa (Qui e qui i nostri approfondimenti con il presidente dell’ISPRA Stefano Laporta che racconta uno di questi progetti). Sapremo ad esempio quanta posidonia c’è, e in che stato di salute è il coralligeno. Avremo un’esatta fotografia di tutto quello che c’è sott’acqua. Magari nelle scuole cominceremo ad insegnare con atlanti più evoluti che vadano oltre la superficie. Noi che lavoriamo sul mare impariamo questo, perché andiamo sott’acqua, salpiamo delle reti, abbiamo un rapporto con quel volume e quella dimensione. Chi non va sott’acqua difficilmente lo può comprendere. È questa la conoscenza che oggi serve per fare le scelte del futuro, anche per ripristinare gli ecosistemi compromessi dall’inquinamento e dai vari fattori di impatto.”
Un tempo inquinamento marino voleva dire scarichi di liquami da terra, incidenti al petroliere, lavaggi delle stive, oppure l’inabissamento criminale di rifiuti pericolosi. Poi si è aggiunta l’inconcepibile quantità di plastica, portata da fiumi e attività umane sulla costa e in navigazione. Infine sono arrivati all’opinione pubblica anche gli allarmi sull’acidificazione, l’eutrofizzazione e la deossigenazione causate dall’aumento di CO2, di azoto e fosforo che gli oceani assorbono. In base alla “dimensione tridimensionale” dello sguardo di cui ci ha parlato, quali manifestazioni di inquinamento sono più avvertite da chi naviga o si immerge?
“Le plastiche. Hanno un tempo di smaltimento infinito. Micro plastiche infinitesimali che entrano nella catena alimentare, mangiate dai pesci che poi noi mangiamo. In tutto il mondo c’è una pressione importante sulle coste portata dal turismo e da chi ci si sposta, richiamato dall’economia del mare. È importante quindi che si vada verso la sostenibilità anche nelle nostre piccole azioni quotidiane.”
In Italia il sistema delle aree protette nazionali e regionali, in aggiunta ai siti della rete Natura 2000, si estende per oltre 11.800.000 ettari: una superficie poco più grande dell’Abruzzo, che corrisponde al 22% della territorio nazionale. E comprende anche circa il 15% della superficie marina sotto giurisdizione italiana: ovvero le acque territoriali e le Zone di Protezione Ecologica. Quanto sono efficaci queste forme di tutela delle aree marine?
“I controlli nelle Aree Marine Protette hanno rappresentato un punto di svolta: l’oggettiva ripresa della biodiversità è merito del sistema di AMP che abbiamo in Italia (29 aree, più 2 parchi sommersi, ndr.) che vengono costantemente monitorate e hanno protetto le aree più fragili, riportandoci la vita. Abbiamo registrato questo “effetto parco” in tutte le AMP istituite: la vita in mare non resta dove si crea un santuario, ma ne esce, e va ripopolare anche le aree vicine. L’efficacia della gestione non è sempre facile da raggiungere, ma un “effetto riserva” i parchi lo hanno garantito, insieme alla protezione. C’è un problema di controlli, operati da Guardia Costiera, Guardia di Finanza e dai Carabinieri Forestali su alcune isole: andrebbero rafforzati, anche con soluzioni innovative, digitali, di cui oggi potremmo disporre.”
Si ha spesso un’idea idillica delle leggi e dell’etica del mare: l’assistenza ai naufraghi, i diritti e doveri dei capitani di intervenire in determinate situazioni. Parlando di inquinamento c’è un’etica più spiccata di chi naviga rispetto a chi vive a terra?
“Credo che la sensibilità nei confronti del mare sia cresciuta in questi anni da parte di tutti. Se una persona ama veramente il mare e trova plastica o oggetti galleggianti li raccoglie; altrimenti è meglio che in mare non vada, perché non ha capito proprio niente! In linea di massima io vedo questa sensibilità, ed è crescente. Molti hanno capito anche che lasciando la spiaggia, per preservarla, devono scuotere l’asciugamano e non portare via la sabbia. Oggi è difficile che i bambini riportino a casa conchiglie o stelle di mare, perché hanno capito che è bene lasciarle lì.”