Investitori pronti, ma frenati dalla burocrazia. Chicco Testa: Costa ha atteggiamento da poliziotto, ma non vede l’economia circolare come insieme di filiere industriali
È stato presentato lo scorso 18 aprile il report “Per una strategia nazionale dei rifiuti” di FISE Assoambiente (Associazione delle imprese di igiene urbana, riciclo, recupero e smaltimento di rifiuti urbani e speciali ed attività di bonifica). Secondo il rapporto per raggiungere gli obiettivi fissati dall’ultima direttiva europea in materia di circular economy e limitare il conferimento dei rifiuti in discarica sarà necessario da un lato aumentare in maniera considerevole la raccolta differenziata e dall’altra aumentare la valorizzazione energetica dei rifiuti.
Per fare questo tuttavia servono secondo l’associazione di categoria investimenti importanti in nuovi impianti di trattamento rifiuti anche perché secondo le stime Fise entro due anni le discariche del Paese potrebbero saturarsi.
Ne ha parlato intervenendo su Ecosistema, la trasmissione di Earth Day Italia trasmessa da Radio Vaticana Italia Chicco Testa, presidente FISE Assoambiente.
Il vostro studio fa il quadro sulla situazione italiana per quanto riguarda la gestione dei rifiuti alla luce degli obiettivi che la le ultime direttive europee rispetto all’economia circolare fissano anche per il nostro paese. Quali sono i correttivi che occorre implementare per raggiungere questi obiettivi?
Innanzitutto bisogna capire che fare economia circolare significa costruire delle filiere industriali che fino a poco tempo fa non esistevano perché i rifiuti sono per definizione quelle cose che vogliamo abbandonare perché prive di valore e per costruire invece un circuito virtuoso su oggetti privi di valore c’è bisogno di uno sforzo tecnologico e industriale.
Detto questo gli obiettivi fissati dall’Unione Europea sono chiari: 65% di riciclaggio e questo vuol dire che la raccolta differenziata probabilmente dovrà arrivare all’80/85% perché non tutto quello che si raccoglie in modo differenziato è riciclabile: poi un massimo del 10% in discarica e il resto in recupero di energia e calore tramite inceneritori o termocombustori, per quelle parti di rifiuti che non sono riciclabili.
Come stiamo in Italia: direi che il nord sta piuttosto bene, la Lombardia per esempio ha percentuali di riciclaggio intorno al 60%, la discarica conta per il 5/6% e il resto è termocombustione; al polo opposto abbiamo la Sicilia dove l’80% dei rifiuti finisce in discarica, non ci sono impianti di riciclaggio, non ci sono impianti di termocombustione e quindi siamo lontanissimi.
Servono degli investimenti in in impiantistica?
Certamente e ci sono sia i soldi che gli investitori.
I problemi sono due: servono certezza del quadro regolatorio e autorizzazioni semplificate perché oggi per avere un’autorizzazione passano 5, 6, 7, 8 anni per qualsiasi tipo di impianto; inoltre chi ha il dovere di far realizzare questi impianti dovrebbe smettere di accarezzare tutti quei comitati che per un motivo o per l’altro si oppongono a qualsiasi impianto, anche a quelli di riciclaggio, come è il caso per esempio del trattamento delle biomasse dove servirebbero molti impianti con recupero di gas metano o di compostaggio che trovano continuamente opposizioni.
Quello della costruzione dei termovalorizzatori e delle discariche, secondo il vostro rapporto ne servirebbero diverse in tutta Italia, è effettivamente un tema controverso. Avete parlato anche di sindrome PINBY in opposizione alla ben conosciuta NIMBY.
Come lei sa Nimby in inglese significa “not in my back yard” “non nel mio giardino” e significa sì, quell’impianto andrebbe fatto, ma non fatelo casa mia, ma se tutti dicono non fatelo a casa mia l’impianto non si fa da nessuna parte. Noi abbiamo rilanciato questo premio che si chiama Pinby “please in my back yard” cioè “fatelo a casa mia” per premiare tutte quelle amministrazioni, istituzioni, privati che hanno il coraggio di assumersi la responsabilità di realizzare questi impianti anche nel proprio territorio.
Complessivamente l’investimento che dovrebbe essere fatto quanto vale?
Abbiamo stimato una decina di miliardi, naturalmente in vari anni. I soldi ci sono, io rappresento un’associazione di privati che sono pronti a investire come hanno già investito varie aziende.
L’importante è che ci sia certezza regolatoria e una certa velocità delle autorizzazioni perché oggi nessuno se la sente di avviare un iter autorizzativo incerto e che, se va bene, dura dieci anni.
A proposito di certezze e di normative: in questo momento c’è uno stallo per tutto quanto quel che riguarda l’end of waste. Il settore come sta vivendo questo che situazione?
Con degli effetti paradossali perché anche per impianti che prima venivano fatti adesso le regioni dicono “no, fin quando non c’è la normativa end of waste”, cioè questa normativa che mi dice quando un rifiuto smette di essere rifiuto e diventa invece una cosa riutilizzabile.
Il vetro, l’alluminio la carta, la stessa frazione umida quando viene compostata o viene estratto gas: da quando non ci sono questi decreti si è fermato tutto.
In questa situazione c’è anche un mercato, un import export di rifiuti, in cui in questo momento siamo “perdenti”?
Noi risolviamo molti problemi nascondendo la polvere sotto il tappeto, o meglio spedendo rifiuti all’estero.
Noi spediamo all’estero sia rifiuti urbani che rifiuti industriali, ma la cose per alcune materie si sono complicate perché Cina e India hanno deciso di non importare più plastica e carta, che noi esportavamo in grande quantità, visto che anche le loro economie cominciano a crescere e quindi hanno quantità di plastica di carta a disposizione molto importanti.
Tra l’altro in questo modo noi portiamo lavoro e investimenti all’estero: c’era il sindaco di una città olandese che bruciava nel suo termocombustore rifiuti italiani che disse “quest’anno grazie agli italiani ci faremo alcune centinaia di migliaia di docce gratis”.
A livello politico c’è in questo momento una discussione seria o ci sarà ancora da aspettare?
No, non c’è una discussione seria. Mi dispiace dirlo ma l’attuale Ministro dell’ambiente non ha questa di idea di economia circolare come un insieme di filiere industriali.
Ha un atteggiamento diciamo da poliziotto il quale giustamente reprime tutta una serie di atti illegali. Ma perchè ci sono stati tutti questi incendi? È molto chiaro: se non ho un’offerta legale di impianti, se i prezzi sono molto alti, se le autorizzazioni e la burocrazia sono complicatissime è chiaro che si crea uno spazio per un mercato clandestino.
La risposta non è mettere in galera tutti questi, ma creare un’offerta pubblica che sia in grado di scoraggiare il traffico clandestino di rifiuti.