Il Mediterraneo ospita l'8% della biodiversità marina globale, ma risulta inquinato all'87%
Il Mediterraneo ospita l'8% della biodiversità marina globale, ma risulta inquinato all'87%
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Il Mediterraneo soffre la plastica. L’Europa prova a reagire

L’87% del Mare Nostrum è inquinato, quasi la metà da plastica monouso. L’Unione Europea prova a tutelare la sua importanza economica e non solo: qui infatti ci vivono l’8% delle specie marine globali

La plastica ad oggi è l’elemento che più di ogni altro contribuisce all’inquinamento dei mari e degli oceani di tutto il mondo, compreso il Mediterraneo. Dal report “Non c’è salute in un ambiente malato”, pubblicato lo scorso 8 luglio dal WWF in occasione della Giornata Internazionale del Mediterraneo, ne è risultato inquinato ben l’87%, a causa di metalli tossici, sostanze chimiche industriali e soprattutto della plastica. Un materiale molto pericoloso anche data la sua duttilità, poiché può presentarsi come una bottiglia o una rete da pesca, così come minuscole particelle che vengono ingerite dai pesci e risalire la catena alimentare fino a noi. Il Mediterraneo non rappresenta neanche l’1% di tutti i mari e oceani del globo, eppure da solo ospita il 7% di tutta la plastica presente nelle superfici blu, una percentuale enorme se pensiamo alle dimensioni di riferimento.

Il Mare Nostrum è bacino di (fragile) ricchezza

Il Mediterraneo riveste un’importanza straordinaria per tutti i paesi che vi si affacciano, sotto ogni punto di vista. Il report di Legambiente “Biodiversità a rischio, del maggio 2020, ce lo racconta come un vero e proprio scrigno di biodiversità: ospita circa 17.000 diverse specie marine, ovvero circa l’8% della biodiversità marina globale. Circa il 20-30% di queste inoltre sono endemiche, ovvero presenti soltanto in questo piccolo quanto fondamentale hot spot di ricchezza.

Il peso della plastica sull’economia europea

Molti dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo affidano molta della loro economia, da quella alimentare a quella turistica, alle sue peculiarità. Fabio Fava, Presidente del Comitato Scientifico di Ecomondo, riporta alcuni dati: da solo il Mediterraneo ospita oltre il 20% dell’indotto dei settori marino- marittimi, come i trasporti turistici e la pesca, oltre a favorire il 30% del commercio marittimo globale attraverso i suoi oltre 450 porti. Oltre a ospitare circa metà della flotta da pesca europea, a livello turistico è il secondo più grande mercato mondiale per la crocieristica, ed è una meta di primo piano, con 265 aree protette e oltre 400 siti Unesco che, soprattutto in estate, attraggono oltre 150 milioni di visitatori.

Questi numeri hanno tuttavia anche risvolti negativi, come un eccessivo rilascio in acqua di materie plastiche, che comportano un costo economico importante: il Servizio di Ricerca del Parlamento Europeo EPRS stima che ogni anno finiscano negli oceani tra le 4.8 e le 12.7 milioni di tonnellate di plastica. Oltre a ciò riporta un impatto socioeconomico dei rifiuti marini stimato fra i 259 milioni e i 695 milioni di euro, principalmente a discapito dei settori turistico e ittico.

Il peso della plastica sulla salute umana

Questa ricchezza unica porta il peso, nel vero senso del termine, di un inquinamento davvero gravoso sulla vita del mare e di chi lo abita, con la plastica come protagonista: il report del WWF espone che in un metro quadrato di acqua marina sono presenti 1.9 milioni di frammenti di microplastiche, la più elevata concentrazione mai registrata. Come detto, infatti, la plastica è la regina dei materiali inquinanti: a livello globale le materie plastiche costituiscono il 75% dei rifiuti marini, trasportando con sé moltissime sostanze chimiche. Insieme alla plastica il report parla di un rilascio in mare di 190 tonnellate di 20 diversi additivi chimici. Ben 16.000 diverse sostanze chimiche sono state ritrovate nelle plastiche, ma di queste solo su 7.000 esistono dati certi di pericolosità, mentre per il 66% delle altre sostanze non ci sono informazioni. Certe sono invece le informazioni scientifiche degli effetti sulla salute umana: infiammazioni e genotossicità, ovvero il danneggiamento del DNA delle cellule, fino ad arrivare a malattie come diabete, cancro, problemi riproduttivi, respiratori, digestivi e molto altro.

L’Europa sfida la plastica

La situazione sta decisamente sfuggendo di mano, così l’Europa ormai da diversi anni prova a cambiare marcia a livello legislativo e di sensibilizzazione.

I dati ufficiali dell’Europarlamento parlano di quanto la plastica sia divenuta una necessità per la vita  dell’uomo: negli anni ‘50 in Europa se ne producevano 1.5 milioni di tonnellate, mentre nel 2018 ne sono stati prodotti 359 milioni. Ciò ovviamente ha generato una quantità di rifiuti neanche paragonabile a quella prodotta 70 anni fa. Alla questione consumo è sopraggiunto il problema del sovra utilizzo, soprattutto riguardo quella monouso, che secondo la Commissione Europea ad oggi rappresenta il 49% del totale dei rifiuti marini. Una condizione che a noi può anche non sembrare tale, visto che solo l’1% rimane a galla e visibile, mentre tutta la restante raggiunge le profondità marine.

Per far fronte a questo problema, dal 2018 l’UE ha approvato il divieto di alcuni prodotti di plastica monouso come cotton fioc, posate, piatti, cannucce, bastoncini mescola bevande e bastoncini da palloncino, oltre ad aggiungere misure secondo il principio di “chi inquina paga”, una responsabilità estesa a chi rilascia i prodotti in natura.

Tra gli obiettivi c’è quello di raggiungere entro il 2029 la raccolta del 90% delle bottiglie di plastica (per esempio attraverso il sistema dei vuoti a rendere) e l’obbligo di etichettatura per i prodotti di tabacco con filtri, i bicchieri di plastica, gli assorbenti igienici e le salviettine umidificate, in modo che gli utenti sappiano come smaltirli correttamente, il tutto corredato da un’attività di forte sensibilizzazione.

Altra importante iniziativa è stata quella del giugno 2019 per aumentare l’attività di riciclaggio e contrastare l’inquinamento marino: una serie di norme per fare in modo che una parte del materiale utilizzato per produrre le bottiglie di plastica debba provenire dalla plastica riciclata in percentuali che corrispondano al 25% entro il 2025 e del 30% entro il 2030.

Nel novembre 2022 la Commissione ha proposto nuove regole a livello europeo sugli imballaggi. Queste comprendono una proposta per migliorarne il design, dotarli di etichettatura chiara e incentivare il riutilizzo e il riciclo. La proposta include anche una transizione verso plastiche biologiche, biodegradabili e compostabili. Inoltre, da gennaio 2030, saranno vietati alcuni formati di imballaggi in plastica monouso, come quelli per frutta e verdura fresca non trasformata, alimenti e bevande consumati in bar e ristoranti, e imballaggi per porzioni individuali.

Da ottobre 2023 è in vigore un regolamento che limita le microplastiche nei prodotti di uso quotidiano come cosmetici, giocattoli, pesticidi, medicinali ecc. per salvaguardare l’ambiente ma anche la salute umana.

L’economia circolare, scudo contro l’inquinamento e cambio di rotta culturale

L’attivazione di un’economia circolare è sicuramente tra le reazioni più concrete che l’Europa può attuare per combattere l’inquinamento, soprattutto quando si parla di materiali come la plastica. Questo è infatti uno degli obiettivi per portare avanti il Green Deal europeo, una serie di iniziative che hanno come obiettivo ultimo quello di raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050. L’economia circolare, il riutilizzo dei rifiuti prima che questi finiscano in mare contaminandone la purezza e sfavorendone la forza economica, culturale e sociale, non è solo uno scudo contro l’inquinamento, ma anche una porta che può introdurci verso un nuovo modo di pensare il nostro quotidiano. Non vedere lo scarto come un oggetto da buttare, ma come un elemento che può ancora avere un valore importante nelle nostre vite. Questa è la circolarità di cui abbiamo bisogno.

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