Intervista a Rosalba Giugni, presidente di Marevivo, che celebra il 37° anniversario e chiede al Governo una cabina di regia sulle tematiche del mare.
Il 21 febbraio Marevivo ha festeggiato il 37° anniversario. Siamo stati ospiti della bella sede di Marevivo a Roma: un battello sul Tevere, dove l’associazione ha riunito i quattro pionieri fondatori: Fulco Pratesi, storica figura dell’ambientalismo italiano, fondatore anche del WWF, urbanista, giornalista, ex parlamentare; Gianfranco Amendola, magistrato che ha dedicato la carriera a perseguire i crimini ambientali; e le due donne che fin dall’inizio rappresentano l’anima di Marevivo: la direttrice generale Carmen Di Penta e la presidente Rosalba Giugni.
Oltre alle celebrazioni si è parlato molto di mare: di urgenze, di problemi e delle azioni necessarie a risolverli. Ad esempio della legge Salvamare, che sembrava di imminente approvazione qualche anno fa ed invece è ancora ferma in Commissione Ambiente: tra le altre cose darebbe ai pescatori la possibilità di riportare a terra i rifiuti presi nelle reti per avviarli al riciclo. Poi si è parlato delle 32 aree marine protette del nostro paese, l’equivalente in mare dei parchi nazionali, però con molto meno fondi e personale.
Le soluzioni per impedire che gran parte dei nostri rifiuti, soprattutto di plastica, finiscano negli oceani ci sono. Ad esempio tra le proposte di Marevivo c’è l’introduzione del deposito cauzionale sugli imballaggi di plastica, come le bottiglie delle bibite: come succedeva una volta per quelle di vetro, il consumatore potrebbe restituire i vuoti al negozio e riprendere la somma lasciata in deposito al momento dell’acquisto. Già 45 paesi nel mondo utilizzano questo metodo con successo. Negli ultimi anni si sono comunque fatti dei passi avanti con le leggi a tutela del mare: dal 2019 c’è il divieto di vendita di cotton fioc di plastica; e all’inizio del 2020 in Italia è entrato in vigore il divieto al commercio per alcune tipologie di cosmetici contenenti microplastiche. Purtroppo c’è molto da fare, se in Italia ogni giorno consumiamo 10 milioni di piatti usa e getta, 7 milioni di posate, 20 milioni di bicchieri e altri 20 milioni di bottigliette di plastica.
La vicenda dei cetrioli di mare poi è emblematica. Sono animali marini che vivono sui fondali del Mediterraneo. Non sono mai stati tra le specie più cercate dai pescatori finché i mercati orientali, dove vengono ritenute delle prelibatezze, hanno fatto esplodere la domanda; tanto da scatenare una pesca incontrollata che adesso mette in pericolo la sopravvivenza della specie. Il cerchio dell’insostenibilità di questa pesca si chiude considerando che le oloturie (questo il vero nome) non solo arricchiscono di nutrienti il mare, digerendo e scomponendo i sedimenti dei fondali, ma nel processo contribuiscono anche ad abbassare l’acidità dell’acqua: una delle minacce maggiori per gli ecosistemi marini. Il divieto alla pesca in Italia viene rinnovato per decreto di anno in anno. Si spesa che possa diventare definitivo quanto prima.
Tra i crimini contro il mare non si può poi dimenticare lo shark finning: la pratica di pesca allo squalo che prevede di asportare la pinna dorsale all’animale pescato e rigettarlo in mare ancora vivo. Dietro c’è un ricco mercato alimentare, soprattutto in Cina e Vietnam, dove la zuppa di pinna di squalo rappresenta uno status symbol. Il boom di questo consumo è il triste effetto del maggior benessere raggiunto negli ultimi anni in quei paesi. In Europa la pratica è vietata, ma non la pesca degli squali. Quindi si possono sbarcare in porto gli squali pescati e lì asportare le pinne. Così molti paesi europei, tra cui la Spagna, la Francia e il Portogallo figurano tra i primi esportatori al mondo. Complessivamente ogni anno vengono pescati nei mari del mondo circa 100 milioni di esemplari; la conseguenza è che un terzo delle specie di squalo è oggi a rischio estinzione. Non bisogna poi dimenticare che diversi pesci che troviamo normalmente sul mercato anche in Italia appartengono alla famiglia degli squali: il palombo, la verdesca che a volte viene spacciata come pesce spada per la somiglianza della carne. Il nostro paese è tra i primi tre importatori di carne di squalo nel mondo: ogni anno ne consumiamo circa 10 mila tonnellate.
Di seguito la versione integrale dell’intervista a Rosalba Giugni, presidente di Marevivo, trasmessa durante “Ecosistema” la rubrica settimanale di Earth Day Italia all’interno del programma “Il Mondo alla Radio” di Radio Vaticana Italia.
Presidente, come commenta l’inserimento nella Costituzione della tutela dell’ambiente?
Ci abbiamo messo tanti anni per ottenerla e finalmente è realtà. Adesso però bisogna passare alla parte pratica: bisogna trovare degli sviluppi concreti sulle scelte fatte nel nostro paese. L’ambiente chiaramente al centro, con la difesa degli animali e della biodiversità. Non consideriamo mai che la biodiversità è fondamentale perché possiamo vivere su questo pianeta. Perciò adesso lavoreremo affinché a questo primo importantissimo passo, ne seguano tanti altri sul territorio.
Sarà questa forse un’occasione anche per far arrivare in porto la “legge salvamare”, ancora ferma in Parlamento. Ricordiamo lo scopo della proposta di legge, e a che punto siamo.
È in terza lettura alla Camera Questa settimana c’è la votazione, e ci auguriamo che sia positiva. Continuiamo a rincorrerla. È importante perché è una legge concreta: prevede che i pescatori possano portare a terra i rifiuti che trovano nelle reti. Sono previsti anche 6 milioni in tre anni per mettere sbarramenti (anti plastica, nda) nei corsi d’acqua e nei fiumi. Poi c’è un aiuto per le campagne di pulizia e tante cose molto interessanti, anche sui dissalatori. Insomma veramente una legge “salvamare”. Non riesco a capire: non ci sono controindicazioni però continuiamo [ad aspettarla] dal 2018: sono passati quasi quattro anni.
Due criticità legate al mare di cui probabilmente non si parla abbastanza sono oggetto di vostre campagne. La prima è l’avvicinamento delle grandi navi da crociera alle coste naturali e la costruzione di nuovi approdi per queste navi. Com’è la situazione, come dovrebbe essere?
Le grandi navi dovrebbero stare nei grandi porti, nelle grandi città. Perché indubbiamente [c’è un danno] quando in territori particolarmente fragili e delicati arriva contemporaneamente tanta gente. Inoltre c’è il danno che si fa costruendo nuovi porti e approdi. Queste grandi navi però possono entrare nei grandi porti, perché è un turismo importante e non possiamo pensare di eliminarlo. Oltretutto le navi moderne hanno tutti i sistemi di depurazione.
Quale pericolo rappresentano per le coste che lambiscono o per i piccoli approdi?
Per i piccoli approdi [sono un pericolo] perché bisogna creare degli approdi grandi: cementificando delle coste, e questo non va bene. Poi non sono sostenibili la [grandi] quantità di persone che sbarcano in un piccolo territorio.
L’altra campagna è per la fine del commercio delle pinne di squalo: una pratica in effetti veramente odiosa, che non riguarda solo i paesi asiatici e la cucina orientale, come si potrebbe pensare, ma anche noi europei.
Di solito la pinna di squalo non fa parte del nostro menu, però mangiamo tanti squali: la vitella di mare è uno squalo. Ma questo finning è una pratica per la quale mi vergogno di appartenere alla specie umana. Vi assicuro che è una cosa terribile vedere [morire] questi animali meravigliosi, che da 300 milioni di anni sono sul pianeta e sono dei re del mare. Faccio molte immersioni con gli squali perché è una mia passione incontrarli, vedere con che meraviglia e dignità si muovono. Intorno a loro c’è tutta una corte di pesci pulitori, ci sono le remore, i pilota. Si capisce che lì, intorno allo squalo, c’è un ecosistema. [Fa male] pensare che tutto è dovuto a questa brutta pratica, o costume, cinese che vede nella pinna di squalo una cosa prelibata. Tutto perché all’epoca l’imperatore mangiava pinna di squalo. O forse pensano che sia afrodisiaca. Insomma cose stupidissime. E così si ammazzano 100 milioni di squali all’anno, e tra un po’ questo animale non ci sarà più; mentre invece è fondamentale per l’ecosistema e la biodiversità: perché è all’apice della catena trofica e quindi indispensabile per l’equilibrio.
Questa settimana Marevivo festeggia 37 anni dalla fondazione. Quali iniziative annunciate in questi giorni?
Abbiamo annunciato [richiesta al Governo] insieme ai pionieri della “Consulta del mare”: abbiamo fatto parte di questa consulta fino al 1993, quando il Ministero della Marina Mercantile purtroppo fu soppresso. Quel ministero aveva rappresentati al suo interno i temi del mare: dalla pesca al trasporto, dalla difesa alla protezione. Poi sono stati suddivisi in sette ministeri e quindi non c’è più un luogo dove si faccia la “politica del mare”. Una politica indispensabile in un paese che ha 8000 km di coste e 32 aree marine protette. Un quinto del Mediterraneo è mare italiano, sotto la nostra giurisdizione. Quindi noi chiediamo una cabina di regia del mare, e chiediamo che Il Ministero della Transizione Ecologica riprenda il nome di Ministero dell’Ambiente e del Mare “nella” transizione ecologica.
Sembra una questione di lana caprina: perché il nome è importante?
Come dice giustamente Alfonso Pecoraro Scanio, la transizione è un mezzo: “Stiamo andando verso…”; ma il ministero è “dell’Ambiente”, come da anni lo portiamo avanti, e poi “del Mare”: per noi è particolare, perché tutte i temi legati al mare devono essere tutelati.