L’ISTAT fotografa il rapporto degli italiani con la sostenibilità: cresce il turismo verde e di prossimità; diminuiscono le emissioni climalteranti delle famiglie; ma investiamo per cultura e paesaggio solo lo 0,4% del PIL.
Recentemente l’ISTAT ha pubblicato il “Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile”. Si tratta di un’analisi approfondita della situazione italiana in vari ambiti che contribuiscono al benessere della popolazione: la salute, il lavoro, la sicurezza, l’istruzione, l’economia, la politica e così via. Tra i tanti fattori ci sono anche, ovviamente, i parametri ambientali e il rapporto degli italiani col patrimonio naturale.
Lo studio presenta alcune buone notizie. Ad esempio sono diminuite le quantità di gas serra immesse nell’atmosfera dalle attività economiche e dalle famiglie. Il dato preciso è 6,6 tonnellate di CO2 per ogni abitante. Ma va specificato che le rilevazioni sono relative al 2020, l’anno caratterizzato dai lock down. Questa diminuzione comunque è una tendenza che era già in atto prima dell’emergenza COVID: nel 2008 infatti le emissioni di gas serra erano maggiori di un terzo. Un altro passaggio interessante, relativo al paesaggio e all’economia legata all’ambiente, è la crescita degli agriturismi. Anche qui la pandemia ha giocato sicuramente un ruolo, deviando molti turisti verso luoghi poco affollati e più vicini alle nostre città. Secondo l’ISTAT il numero di aziende italiane in questo settore è aumentato del 2%, superando le 25 mila.
Purtroppo questo interesse per la cultura locale non corrisponde, secondo questa analisi, ad investimenti pubblici adeguati: l’Italia investe in cultura e paesaggio solo lo 0,4% del PIL; una percentuale tra le più basse d’Europa. I comuni destinano alla cultura solo 20 euro annui per abitante, con forti differenze tra il nord e il sud: nei comuni del meridione la cifra scende a meno di 10 euro per abitante. Eppure gli italiani stanno rivalutando il loro paesaggio. Il rapporto ha stabilito che soltanto il 18% circa di noi non apprezza i dintorni del luogo dove abita; nel 2019 la percentuale era tre punti maggiore. La spiegazione fornita è che forse la pandemia ha portato alla riscoperta di angoli di natura e di cultura nei dintorni di casa. Di contro è restata immutata la percentuale di quanti si dicono preoccupati per il degrado del paesaggio: sono il 12%.
A questo proposito il rapporto propone anche un focus sulle preoccupazioni degli italiani legate all’inquinamento, al clima, e all’ambiente in generale. In cima alla lista c’è il cambiamento climatico, a cui ha dichiarato di pensare con timore il 52% delle persone. Al secondo posto, per pochissimo, c’è l’inquinamento dell’aria, una costante nei pensieri degli italiani da vent’anni. Al terzo la produzione e la raccolta dei rifiuti, che affligge il 45% del campione. Poi vengono l’inquinamento di mari e fiumi con il 40%; e l’effetto serra con il 35%. Qui c’è da notare come sicuramente influisca la comunicazione dei media, che negli ultimi anni parlano più di climate change che di effetto serra, anche se i due fenomeni sono ovviamente collegati. Tra i fattori ambientali meno preoccupanti, gli italiani mettono l’inquinamento acustico e quello elettromagnetico, citati da una persona su dieci. È evidente che le emergenze e la comunicazione scientifica e istituzionale influenzano le preoccupazioni delle persone: probabilmente se ripetessimo oggi questi sondaggi, la siccità e il dissesto idrogeologico sarebbero più in alto in questa classifica.