Una ricerca di IPSOS ha indagato la percezione dell’opinione pubblica dei problemi dell’ambiente, in Italia e in altri 27 paesi del mondo. Emerge un quadro comune di preoccupazione per il riscaldamento globale e una richiesta di collaborazione a tutti i levelli per la salvezza di tutti. In Italia si danno più responsabilità alle istituzioni (e meno alle aziende) e ci si preoccupa maggiormente dei rifiuti.
L’80% degli italiani teme di trovarsi alla soglia di un vero e proprio disastro ambientale. Questo è uno dei risultati di uno studio presentato recentemente da IPSOS, durante un convegno sul presente e il futuro della plastica. Secondo altri dati il 53% degli italiani dichiara di comprare volutamente prodotti realizzati con materiali riciclati. La società di consulenze e ricerche di mercato, in occasione dell’ultima Giornata Mondiale della Terra, ha anche presentato un sondaggio sulla percezione del problema dell’ambiente da parte dell’opinione pubblica mondiale: un’ indagine internazionale sulle nostre priorità, paure e richieste di cambiamento a proposito della tutela del pianeta. Ecosistema, il programma settimanale di Earth Day Italia trasmesso da Radio Vaticana Italia, ha intervistato Andrea Alemanno, uno dei relatori di questo studio IPSOS.
Quali sono le maggiori preoccupazioni dell’opinione pubblica mondiale riguardo all’ambiente, secondo questo studio che avete presentato in occasione della Giornata Mondiale della Terra?
Già qualche mese fa avevamo realizzato uno studio in cui emergeva che le persone avvertono l’aumento di temperatura ed hanno la preoccupazione di essere sulla soglia di un disastro ambientale. Questo rimane sullo sfondo, ed è molto preoccupante. Da questo, non necessariamente derivano conseguenze nella vita di tutti i giorni ma la cosa che più colpisce è sicuramente il “global warming”, il riscaldamento globale, e il fatto che l’aria sia sempre meno respirabile. Questo si accompagna anche alla crescente urbanizzazione, la concentrazione di persone nelle città, e al fatto che sia sempre difficile riuscire a gestire i rifiuti. In Italia, questo è particolarmente sentito, in particolare in alcune zone del paese.
Dove è stato svolto questo studio? In quali paesi e con quali modalità?
Lo studio è stato svolto nei mesi di marzo e aprile in ventotto paesi del mondo. In quasi tutti i paesi le interviste sono state svolte online su un campione tra i 15 anni e i 70 anni. In alcuni paesi, non essendo la modalità online la più indicata, sono state fatte interviste telefoniche.
Ci sono risposte che vi hanno sorpreso?
La cosa che si sta accentuando sempre di più, e che lascia molto sorpresa una persona che viene dal Novecento, è la crescente responsabilizzazione dell’operatore privato, delle aziende, rispetto al ruolo dei governi. Ruolo che rimane ancora importante in Italia, ma va sempre più in secondo piano (o comunque in combinazione) rispetto alle aziende. Le aziende sono sempre più chiamate a giocare un ruolo da protagonista, e a non adeguarsi passivamente a quello che stabilisce il legislatore. Questo è un fenomeno che già si avvertiva, ma che ogni anno è più forte.
Ci sono differenze tra come i vari popoli del mondo che avete interpellato percepiscono il problema ambientale? Qualcuno magari è più preoccupato della desertificazione; altri magari delle inondazioni o del global warming. Ci sono differenze geografiche o relative al benessere della nazione in cui vive l’intervistato?
Le differenze ci sono, però, in linea generale, non sono enormi. Ad esempio in Russia si preoccupano un po’ più per le emissioni. In Turchia e in alcuni paesi africani, sono più preoccupati per le disponibilità di cibo.
Quali sono le preoccupazioni ambientali degli italiani?
In Italia c’è una forte preoccupazione per il riscaldamento globale e l’inquinamento, ma ci si concentra molto di più sui rifiuti: sulla capacità di gestire in maniera efficace i rifiuti. A questo si associa, seppur in misura minore, una certa preoccupazione per il consumo di suolo e l’erosione del suolo. Questo sottolinea una certa specificità del paese. Sopra la media, anche se molto meno rispetto ad altri paesi come Perù, Argentina, Malesia e Brasile, è [la percezione del] rischio di inondazione, o comunque la preoccupazione per i danni che l’ambiente può subire a causa dell’acqua: le forti piogge o le esondazioni.
Voi avete chiesto al campione anche possibili soluzioni e chi dovrebbe incaricarsene. Quali provvedimenti vorrebbero vedere attuare gli intervistati?
La soluzione più richiesta in generale è che ci sia una sempre maggiore partecipazione collettiva alla gestione di questo problema. Un problema che non si può risolvere da soli. È anche vero che in Italia c’è un certo fastidio, o grande preoccupazione, verso chi non si comporta bene: coloro che non rispettano le regole, che inquinano, che non fanno la raccolta differenziata. Questa cosa è tipicamente italiana. In altri paesi, specialmente quelli del nord Europa, c’è la richiesta che si riduca in maniera più sensibile il packaging inutile, o che si vada verso un packaging più sostenibile. Richiesta che viene fatta tanto al policy maker, quindi alle autorità, quanto alle singole aziende. In Italia questo è un po’ meno sentito, forse anche per una certa buona gestione (dove funziona) della raccolta differenziata specialmente riguardo alla carta o al vetro.
Quanto sono disposte al sacrificio le persone in nome dell’ambiente? Che cosa sono disposte a fare? o a cosa possono rinunciare?
Sul “dichiarato” sono disposte a fare la loro parte. Quasi nessuno non è disposto a fare qualcosa. Possono fare “fatica”: quindi andare a cercare prodotti con un involucro più facilmente riciclabile, prodotti più sostenibili, e in parte anche magari possono pagare un po’ di più per i prodotti delle aziende che si comportano meglio. Ma l’anno scorso abbiamo fatto un’indagine in Italia rispetto a questa attenzione: chi poi effettivamente mette in campo dei comportamenti già volti alla sostenibilità, in maniera sentita e continua, è ancora uno su cinque. Buona parte delle persone fa qualcosa “ogni tanto”, ma non ha ancora maturato una vera consapevolezza: sta cercando di prendere coscienza del problema.
Veniamo al grande nemico che è la plastica, soprattutto per l’impatto che ha sull’ambiente: il suo perdurare soprattutto in quello marino. Gli italiani e la plastica hanno una lunga storia, anche perché le materie plastiche sono state sviluppate in gran parte da chimici italiani. Che immagine abbiamo oggi di questa famiglia di materiali? Che cosa sta cambiando con le bio plastiche e con le plastiche riciclabili?
Il rapporto è controverso e non univoco. Nell’immediato a tutti è chiaro che la plastica sia un problema. Pochissimi ormai non la ritengono un problema, ma molti ne riconoscono anche i benefici. La combinazione di questi due elementi dà spesso adito a risultati un po’ contraddittori. Ciò che gli intervistati chiedono è che la plastica venga gestita: che aumentino le possibilità di riciclo e che ci sia più attenzione. Si sta facendo largo la preoccupazione non solo rispetto allo smaltimento, ma al riciclo e al riuso del rifiuto plastico. Rifiuto che è nato per durare a lungo, e molto spesso è utilizzato per cose che durano molto poco. Sta crescendo la preoccupazione anche rispetto a un possibile impatto sulla salute, con tutto il dibattito sulle bioplastiche che è ancora veramente molto ristretto, ma ha la possibilità di crescere a valanga: basta osservare ad esempio ciò che è successo con l’olio di palma. Finché era un tema ambientale, l’olio di palma riguardava poche persone; nel momento in cui si accesa l’idea che potesse essere un problema di salute, è diventato quasi un nemico, in alcuni ambiti. La plastica rischia di avere la stessa dinamica, anche perché è un tema che, al momento, non viene non viene gestito; almeno al punto di vista mediatico. Ci sta provando COREPLA (il consorzio per il recupero della plastica, nda.); e ci stanno provando altri soggetti a razionalizzare il dibattito. Forse ci riusciranno. Il punto è che la plastica è in equilibrio tra queste preoccupazioni, a cui si sta aggiungendo quella della salute, e il fatto che è molto utile. Pochissimi non individuano un prodotto a base plastica a non riuscirebbero a rinunciare. Il principale sono le bottigliette. In realtà potrebbe essere anche quello più semplice da eliminare, ma in un paese dove si è spesso molto preoccupati per la qualità dell’acqua, la bottiglietta di plastica appare al momento irrinunciabile per un terzo degli italiani. Sulla plastica c’è in fondo la convinzione che, essendo un problema creato da noi, tutto sommato saremo in grado di trovare una soluzione. Fiducia che non c’è per il riscaldamento globale, per il quale la preoccupazione è maggiore.