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Land grabbing: la terra di tanti, sacrificata al profitto di pochi

Il quinto rapporto “I padroni della terra” fa il punto sull’accaparramento dei territori agricoli e naturali, da parte di multinazionali, speculatori e fondi statali, a danno delle comunità locali e dei popoli originari. Intervista Andrea Stocchiero (FOCSIV): “È la storia del colonialismo diventato neo colonialismo”.

L’accaparramento di terre, o “land grabbing”, è quel fenomeno di speculazione finanziaria, per lo più su scala internazionale, per cui i grandi investitori, le società multinazionali e addirittura i fondi sovrani di alcuni stati acquisiscono grandi estensioni di terreno in altri paesi, per sfruttarne le risorse naturali a proprio vantaggio. Queste terre, le acque, i giacimenti minerari, i pascoli, le foreste, che in passato erano proprietà dei contadini, delle comunità locali o semplicemente aree naturali, diventano così miniere, monocolture agricole, o vengono smembrati in cerca di idrocarburi, legname e altre materie prime.

Il rapporto rivela che negli ultimi 20 anni sono state “accaparrati” territori per 91 milioni di ettari in tutto il mondo: per dare un’idea, è un’estensione paragonabile al Venezuela, oppure al triplo del territorio italiano. Nessun continente è estraneo al fenomeno. Il paese che più perde terra, a favore degli interessi privati, è il Perù, seguito dal Brasile e dall’Argentina. In Africa il prezzo maggiore lo pagano il Sud Sudan e il Mozambico; in Asia, l’Indonesia e la Papua Nuova Guinea. Ma l’accaparramento di terre riguarda anche l’Europa: l’Ucraina, che ha più della metà del territorio adatto all’agricoltura, anche prima dell’attuale crisi aveva visto concentrare nelle mani di grandi società gli appezzamenti agricoli che una volta erano proprietà dei contadini. La guerra, come la pandemia, e in generale tutte le crisi economiche e politiche, accelerano il fenomeno dell’accaparramento delle terre; perché le società civili si indeboliscono e gli interessi privati sfruttano le zone d’ombra.

Miniera d’oro – Foto: István Mihály, Pixabay

Il principale effetto del land grabbing sull’ambiente è la distruzione della biodiversità naturale di foreste, paludi, pascoli, laghi e fiumi, ma anche territori in passato coltivati secondo metodi tradizionali: come quelli dei popoli indigeni o delle culture rurali, che garantivano un certo equilibrio tra coltivazioni, allevamento e ambiente naturale. Le monocolture, gli allevamenti industriali, le devastazioni delle foreste per il legname, che fanno spazio a miniere e installazioni industriali, o anche l’ampiamento delle città a danno delle campagne, sono tutte cause di estinzione di specie animali e vegetali, e della migrazione, spesso forzata, delle popolazioni locali. Nel 2021 nel mondo sono stati cancellati 11 milioni di ettari di foreste: l’equivalente del territorio della Bulgaria, o di un terzo dell’Italia. Tutto questo non accade nel silenzio e nell’indifferenza: il rapporto è dedicato ai 358 difensori dei diritti umani che nel solo 2021 sono stati uccisi per essersi opposti a queste pratiche in 35 paesi del mondo: attivisti, religiosi, rappresentanti dei popoli nativi e delle comunità locali, giornalisti; uomini e donne che hanno sacrificato la vita per opporsi alla potenza economica e militare degli interessi privati e della corruzione politica.

In Italia conosciamo una forma di questo fenomeno, il “consumo di suolo”: quando un terreno agricolo o naturale viene coperto da strutture artificiali come edifici, strade, impianti e infrastrutture. Tra gli obiettivi ambientali dell’Unione Europea ci sarebbe l’arresto del consumo di suolo netto entro il 2050, ma la realtà è che ogni secondo in Italia perdiamo 2 metri quadrati di suolo fertile: 15 ettari al giorno. È stato calcolato che più del 7% del paese è coperto da strutture artificiali; se si considera il cosiddetto “suolo utile”, cioè togliendo dal conto cime montuose, dirupi, superfici di laghi e fiumi, la percentuale supera il 9%. Ci sono diversi disegni di legge che si propongono di porre rimedio. Purtroppo queste proposte sono ferme nelle varie commissioni parlamentari e lo scioglimento delle camere rimanda la questione alla prossima legislatura. Non perdiamo solo terreno fertile ma anche servizi ecosistemici; ovvero quei vantaggi che l’ambiente ci fornisce gratuitamente, ma che noi paghiamo molto caro quando vengono a mancare: la regolazione del clima grazia alla vegetazione; l’impollinazione grazie agli insetti; il freno al dissesto del terreno grazie agli alberi; e soprattutto, come vediamo in questi mesi, lo stoccaggio dell’acqua grazie a ghiacciai e nevai, che favorisce l’irrigazione dei campi in estate. È stato calcolato che dal 2012 al 2020, a causa dell’impermeabilizzazione dei suoli artificiali, il nostro paese abbia perso riserve d’acqua di falda per 360 milioni di metri cubi. Quando ci chiediamo che fine abbia fatto l’acqua dei fiumi, questa è una delle risposte.

Nel video la versione integrale dell’intervista di Giuliano Giulianini ad Andrea Stocchiero, coordinatore dell’Ufficio Policy di FOCSIV, e co-autore del rapporto “I padroni della terra 2022”.

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