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Malagò (CONI): Lo sport non può prescindere dalla sostenibilità

Massimiliano Niccoli intervista il presidente del CONI Giovanni Malagò sui temi della sostenibilità degli eventi sportivi e del fair play.

EarthDay.it ha incontrato il Presidente del Comitato Olimpico in occasione del convegno “Una nuova cultura d’impresa. Salute e sostenibilità” ospitato presso la sede del CONI il 22 febbraio.

Sport e Salute: due concetti consolidati. Ma c’è una terza “S” che si sta “insinuando”: la Sostenibilità. Anche lo sport, a tutti i livelli, sta facendo i conti con questo concetto?

Siamo in piena sintonia con gli elementi a cui si dà priorità assoluta con l’agenda del Comitato Olimpico Internazionale: l’Agenda 2020, che è la bibbia, la carta costituzionale del CIO, e “+5”, l’integrazione di aspetti aggiuntivi all’agenda 2020. Si sta creando una vera e propria filosofia culturale: l’evento sportivo oggi non può prescindere da questo concetto, da questa parola: sostenibilità. Parola che vuol dire tante cose. Bisogna declinarla. Gli aspetti più scontati e tradizionali sono ovviamente quelli ambientali e le questioni ecologiche. Ma poi ci sono infinite sfaccettature che rientrano a pieno in quello che oggi lo sport vuole raccontare e trasmettere. Probabilmente su questo siamo i migliori ambasciatori possibili.

L’Italia ha ottenuto un grande successo alle olimpiadi invernali di Pechino: ancora una volta ci siamo dimostrati una forza importante a livello internazionale. Ma già si guarda al 2026, perché ospiteremo i giochi olimpici invernali a Milano e Cortina. Come si tradurrà il concetto di sostenibilità nell’appuntamento tra quattro anni?

Uno dei motivi per cui ha vinto la candidatura di Milano-Cortina è che abbiamo costruito una proposta ponderata, in cui dovevamo fare di necessità virtù, sotto il profilo economico e progettuale. Il 90% degli impianti già esiste: una formidabile volontà di allargare il territorio oltre la storia dell’organizzazione delle Olimpiadi. Non si andrà solo a Milano e Cortina, ma anche in Valtellina e ad Anterselva. Così facendo valorizziamo al meglio ciò che esiste, dove si organizzano da tempo i mondiali. Sosteniamo il concetto di non realizzare [impianti] non sostenibili, ma di valorizzare ciò che già esiste, per lasciare un’eredità dei Giochi Olimpici 2026. Questo è il denominatore comune della nostra organizzazione.

Che cosa c’entra in tutto questo il concetto di Fair Play, di cui si sente parlare soprattutto nel calcio?

Il nostro mondo vive di popolarità e credibilità. La popolarità è indubbia; la credibilità viene meno se le regole non vengono rispettate. C’è stato il caso recente di Kamila Valieva, la quindicenne [atleta russa] del pattinaggio artistico (ammessa alle gare olimpiche di Pechino nonostante una precedente positività al doping, ndr.).  Tutto ciò fa riflettere ed espone ovviamente a critiche, o quanto meno a discussioni che non meritiamo. Sotto un profilo giuridico l’atleta è immune da responsabilità; però viene meno quel concetto di credibilità che è centrale. Ecco perché il Fair Play deve essere sempre la nostra stella cometa.

Mi sembra che il mondo dello sport sia pronto alla rivoluzione culturale della sostenibilità. Le istituzioni sono pronte ad accettare questo tema? Altrimenti sarebbe difficile portare a termine l’opera.

Io penso di sì: anche le istituzioni sono pronte. Su questo mi sembra che oggi non ci siano dubbi. Poi ci sono gli aspetti attuativi, che fanno parte di dinamiche più complesse: cioè tradurre un concetto, un’aspirazione, un desiderio, una volontà, in un profilo normativo; e far sì che tutto questo ricada in termini concreti. Questa è la cosa che maggiormente mi preoccupa.

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