“Food Forest”, “Permacultura” e “Agricoltura Naturale”: filosofie e metodi che si propongono di salvare la “capra” dell’ambiente e il “cavolo” del profitto. Abbiamo visitato la “Gallina Selvatica”, un’azienda agricola della Valle del Tevere improntata al minimo impatto sul territorio e alla resilienza agli eventi estremi.
Ci sono metodi e filosofie alternativi al modo “industriale” di fare agricoltura e allevamento che non solo rispettano la biodiversità di animali e piante coltivate, ma si prefiggono anche di restaurare la naturalità degli ambienti rurali, perduta in decenni di pratiche intensive e insostenibili.
Ci sono tre espressioni che il grande pubblico dovrebbe imparare a conoscere: “Agricoltura Naturale”, “Food Forest” e “Permacultura”. Siamo nell’ambito dell’agricoltura biologica, quella cioè che non usa pesticidi e fertilizzanti sintetici; ma in alcuni casi il concetto va ancora oltre, perché il principio alla base di alcune pratiche, ancora di nicchia, è intervenire il meno possibile sulle colture e “collaborare” con la Natura assecondandone le dinamiche.
In particolare la “Permacultura” propone di scegliere di volta in volta le colture, non in base alle richieste di mercato o ad altri criteri economici come il massimo profitto o la massima resa del terreno, ma in primo luogo in base alle caratteristiche del terreno a disposizione, al clima locale, alla disponibilità di acqua, agli animali selvatici presenti nell’ambiente, perfino al microclima del singolo campo. Lo scopo è impattare il meno possibile sul suolo per evitare di dover poi ricorrere a tecnologie e additivi chimici che finiscono per distruggere la fertilità naturale.
La “Agricoltura Naturale” è invece un metodo teorizzato da un botanico e filosofo giapponese nel secolo scorso, Masanobu Fukuoka, noto anche come “Agricoltura del Non Fare”: i terreni non vengono arati o preparati, né puliti da quelle che consideriamo di solito “erbacce” o “infestanti”. I parassiti delle colture vengono contrastati con l’aiuto di altri animali e organismi: ad esempio alcuni pesci per le coltivazioni in acqua, come il riso, e gli uccelli per tenere le piante e gli alberi da frutto liberi dagli insetti.
Sembrano utopie o esperimenti che possono essere messi in pratica solo da un istituto scientifico a scopo di ricerca, o da qualche comunità esotica più dedita alla filosofia che all’agricoltura, ma ne abbiamo trovato un esempio vicino Roma, nella Valle del Tevere. A Ponzano Romano abbiamo visitato un’azienda agricola a conduzione familiare, “La Gallina Selvatica”, il cui fondatore, Lorenzo De Luca ha messo in pratica questo metodo con un allevamento di galline allo stato brado, senza pollai tradizionali e ovviamente senza chimica. Ha rilevato un terreno su cui c’era solo un prato “all’inglese” e iniziato a piantare alberi e arbusti. Perfino i rovi sono ben accetti. Dopo circa quattro anni la collina si sta rinaturalizzando intorno ai frutteti, agli orti e ai laghetti che ha creato. Le galline razzolano tutto il giorno nutrendosi sia degli insetti che trovano sul terreno, sia dei frutti naturali delle piante: semi, bacche, frutti che cadono ecc. Questo è il principio della “Food Forest” che permette di ricorrere il meno possibile ai mangimi.
Versione integrale dell’intervista a Lorenzo De Luca, allevatore ed agricoltore, andata in onda su Radio Vaticana Italia nel programma “Il Mondo alla Radio” del 18 febbraio 2021
De Luca come le è venuta l’idea di questo allevamento più che biologico?
L’idea mi è venuta quando con mio padre abbiamo cominciato a cercare un terreno per poter tirar su una piccola azienda familiare per fare un po’ di autoproduzione, e studiando la situazione per realizzare un piccolo reddito, sia personale sia per la famiglia.
La scelta è stata particolare già a partire della razza di galline da allevare. Qual è la particolarità?
Ho scelto razze principalmente razze italiane “leggere”, perché mangiano relativamente poco, sono molto più incline al pascolo, quindi razzolano di più, e sono più attive: svolazzano sugli alberi; vanno a cercare insetti anche sui rami più alti; e se c’è un pericolo scappano molto più facilmente. Comunque danno una buona produzione di uova, essendo razze italiane con un ceppo di base che è quello della “Ancona” o della “Livornese”.
Le galline razzolano sempre allo stato brado. Questo succede in molte aziende biologiche. Però qui il concetto è un po’ più estremo: per esempio non c’è un pollaio tradizionale, perché?
Ho scelto di allevare le galline in totale libertà. Cioè non “in libertà” come viene inteso dagli slogan di molti allevamenti. Le galline sono libere 24 ore su 24. Di notte vanno a ripararsi in alto: alcune dormono sugli alberi più alti, altre nei sottotetti di alcune tettoie che ho costruito ad oltre due metri di distanza da terra. Quindi di notte sono riparate da eventuali predatori. Ho fatto questa scelta perché le galline riescono ad esprimere molto meglio la loro biologia, il loro comportamento naturale: sono molto più reattive, anche alle malattie e ai parassiti, e riescono a superare tutte le difficoltà con più forza. Gli animali sono più forti e più robusti; e mangiano di più perché sono attive dalla mattina presto fino alla sera, prima che arrivi il buio. Quindi, essenzialmente, le galline stanno meglio, e mi danno più produzione con un apporto minore di cibo “dall’esterno”.
Quello dell’alimentazione è un altro elemento sorprendente di questo esperimento imprenditoriale: le galline non prendono cibo solo da lei, con il mangime, ma anche dall’ambiente che lei ha creato qui intorno. Ovvero, lei ha conformato questa collina, il pendio dove ci troviamo, piantando alberi, arbusti perfino mantenendo i rovi che ci sono, perché tutto questo entra nell’alimentazione delle galline. Quali sono i vantaggi di questo di questa scelta?
Quando ho iniziato, qualche anno fa, avevo pensato di mettere subito migliaia di galline per fare “un sacco” di uova. In realtà, studiando le varie situazioni che si andavano a creare con varie densità di pascolo, ho notato che con meno animali la biodiversità e la vegetazione spontanea ne risentivano meno, e le galline trovavano molte più prede. Ad esempio tra l’erba trovavano grilli e lombrichi, e le libellule vicino ai laghetti che ho scavato. Avendo ridotto di molto la densità di pascolo per ettaro, 100-120 animali per ettaro (in tre ettari e mezzo di terreno ne ho circa 300) le galline riescono a trovare buona parte del loro fabbisogno alimentare all’interno del pascolo. Infatti lascio l’erba molto alta fino a luglio; lascio crescere i rovi intorno alle piante; sto piantumando molte siepi foraggere con alberi che producono cibo che le galline possono mangiare durante tutto l’arco dell’anno. Per esempio ci sono il gelso, che produce le more d’estate, il corbezzolo per l’inverno, la piracanta che produce le bacche in autunno, e tutti gli altri frutti che compongono la mia “Food Forest”. Buona parte di questi frutti vengono mangiati dalle galline, saltando direttamente sugli alberi e facendo tutto in completa autonomia.
C’è un aspetto che preoccupa molto gli allevatori e gli agricoltori: i predatori, quegli animali selvatici che per loro natura si avvicinano alle aziende agricole, creando loro malgrado dei danni. Il problema principale, in Italia, è il cinghiale; ma parlando di galline immagino che ci siano problemi anche con volpi, faine, ecc. Anche qui ci sono soluzioni a impatto ridotto, “tradizionali” o anche innovative. Quali ha messo in campo?
Il predatore per antonomasia delle galline è la volpe. Nel tempo ho escogitato vari sistemi. Tutti hanno funzionato in più o meno bene. L’ultimo che ho provato e che tengo in funzione ormai da tre anni è il recinto elettrificato, lo stesso che si usa per altri grandi mammiferi come il cinghiale, il cervo, il capriolo e anche il lupo.
Poi qui vedo anche un’altra “arma” contro i predatori: un cane maremmano. A che cosa serve? Quando è lo ha portato qui?
La scelta di inserire un cane nel pollaio, con le galline, è la prima cosa che ho fatto; prima ancora di fare il recinto. Da quando ho il cane non ho più avuto problemi con nessun tipo di predazione. Ovviamente inserire un cane della mole di un maremmano, che arriva anche a 50 kg, potrebbe anche creare problemi all’interno di un pollaio. Inserire un cane del genere non è facile: bisogna farlo da cucciolo, e improntarlo da subito al rispetto delle galline e dei loro spazi. Se si fa un buon lavoro, nel giro di un anno il cane diventa praticamente una gallina, diventa uno di loro; a qualsiasi schiamazzo che fanno le galline lui si mette sugli attenti corre subito a vedere se è entrato qualcosa nel recinto. Insomma è fenomenale. Senza di lui non dormirei notti tranquille.
In questo periodo lei sta sperimentando anche dei metodi di resilienza al clima che cambia. Qui come in tutta Italia e in tutto il mondo, purtroppo i fenomeni estremi del clima si stanno susseguendo a ritmi sempre più veloci, e le aziende agricole li soffrono. Quali sono i metodi naturali che sta sperimentando per resistere a gelate, siccità, venti forti…
La mia filosofia e quella di Masanobu Fukuoka, il padre dell’Agricoltura Naturale. L’azienda viene costruita sulla base dell’osservazione del territorio, della conformazione del terreno, di tutta una serie di parametri naturali, in modo che le colture in atto e gli animali liberi al pascolo subiscano il minor danno possibile da eventi estremi come forti venti, nevicate, piogge torrenziali, ecc. Da ciò scaturisce la progettazione alla base della costruzione di un’azienda di questo tipo, che prevede ad esempio la regimentazione delle acque superficiali con varie tecniche: ad esempio con le fosse di infiltrazione o con i canali di diversione, con gli stagni per l’accumulo dell’acqua piovana o delle sorgenti avventizie. Poi c’è la piantumazione di siepi frangivento e di siepi foraggere per gli animali. Tutti elementi che devono essere funzionali sia al reddito dell’azienda sia alla protezione dagli eventi estremi che ogni tanto questo clima ci regala.
Citerei l’esempio del rovo, una sua esperienza che risulta contro intuitiva rispetto a ciò che di solito si pensa di questa pianta: vista come infestante, inutile, essenzialmente da togliere sia dalle città che dalle campagne. Qui invece c’è un “trionfo” del rovo. A che cosa serve in un’azienda del genere?
Il rovo è visto dagli agricoltori di vecchio stampo come una sorta di cancro: è implacabile, inarrestabile; più lo togli più ricresce; ha le spine; attira “animalacci” striscianti. In realtà, all’interno di un sistema complesso come un’azienda di questo tipo, il rovo siamo può apportare molti benefici. Innanzitutto crea sul suolo uno strato impenetrabile ai grandi mammiferi. Questo vuol dire che ha funzione di protezione del suolo dal pascolamento; ma lo protegge anche dalle forti piogge. Il rovo, con le sue spine e i suoi pulvini (una parte della foglia, nda.), protegge il suolo nudo che spesso viene lasciato dall’uomo. Tanto è vero che la prima cosa che ricresce se si taglia una foresta sono i rovi. All’interno del rovo si crea una condizione umida e ombrosa che favorisce ad esempio il proliferare di invertebrati detritivori come il lombrico, o l’attecchimento di funghi che aggrediscono le foglie e creano una grossa quantità di sostanza organica, l’humus, che favorisce a sua volta l’attecchimento di nuove piante e alberi. Questo succede anche grazie a dei vettori che uno neanche sospetterebbe. Ad esempio l’arvicola (un piccolo roditore, nda.) usa fare delle dispense di noci, ghiande e nocciole poco al di sotto dell’orizzonte del suolo; spesso poi abbandona queste dispense, oppure franano, insomma non riesce più a raggiungerle. Questi frutti poi, con l’atmosfera umida all’interno del rovo, riescono a germinare; e grazie a questo meccanismo danno vita a un nuovo bosco.
Tutto questo è ovviamente frutto anche di rinunce, compromessi e scelte che sembrerebbero a prima vista anti economici, come mettere sul terreno meno galline rispetto a un allevamento tradizionale. È “economico” agire così? Impiantare un’azienda di questo genere può essere soltanto una scelta “ideologica” e non orientata a un reddito?
Tutte le scelte fatte per costruire questo tipo di azienda sono finalizzate ad ammortizzare tutti quei costi di in un allenamento convenzionale relativi al mantenimento degli animali o alla manutenzione necessaria a tenere puliti i ricoveri e i nidi. Queste manutenzioni qui non vengono fatte perché, semplicemente, gli animali espletano le loro deiezioni direttamente sull’erba, e non ci sono strutture chiuse che devono essere pulite e disinfettate. Qui tutto succede all’aria aperta: il ciclo della sostanza organica è continuo, non c’è nessuna interruzione. Tutto è concatenato. Ad esempio io non concimo il frutteto perché ci pensano direttamente le galline; non uso nessun prodotto contro gli insetti perché ci pensano direttamente le galline. Il frutteto si giova della presenza delle galline: ci sono molti insetti che vengono attratti dal cascame della frutta e degli alberi e, con il ciclo successivo, vanno ad intaccare direttamente la frutta sull’albero. Un esempio è la carpocapsa del melo (un lepidottero tra i più dannosi per i frutteti, nda.). La gallina trova la frutta con il bruco della carpocapsa e mangia entrambi, e quindi interrompe direttamente il ciclo di questi parassiti che possono a creare danno alle colture. Tutte le scelte necessarie a creare un’azienda del genere sono fatte innanzitutto per agevolare il lavoro all’interno dell’azienda, renderlo il più veloce e facile possibile, non stancante. Ci guadagniamo anche in tempo, perché effettivamente non devo fare molte cose che si che si fanno in un’azienda normale: non taglio l’erba; non poto gli alberi; non pulisco ricoveri perché essenzialmente non si sporcano. Praticamente l’unica cosa che faccio quando vengo qui è raccogliere le uova, la frutta e le piante spontanee che mangiamo, come la cicoria.
Perciò si può dire che il vero guadagno è nelle minori spese oltre che nella resa che queste galline riescono a dare.
Sì. Per il mantenimento delle galline e per produrre queste uova spendo pochissimo, calcolando che, attualmente, do loro una piccola reazione di grano intero in inverno: giusto per il mantenimento durante la fase di muta. In primavera e in estate le galline trovano il 90% del loro fabbisogno tra l’erba alta e sugli alberi da frutto. Quindi il guadagno sta qui: le galline si auto mantengono, le uova sono di altissima qualità, e il lavoro è poco. Qui non ci si spezza la schiena.