Il borgo di Vazon. Foto da www.lucamercalli.it
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Luca Mercalli: Montanari per scelta. Manifesto di una migrazione (verticale) dignitosa.

In “Salire in Montagna” Luca Mercalli scrive un manifesto della migrazione verticale (ordinata e sostenibile) dalle riviere che scompaiono per l’innalzamento dei mari e dalle città sempre più calde ai borghi alpini e appenninici semi abbandonati.

Nell’aprile del 2018 Luca Mercalli, noto meteorologo e divulgatore, acquistò con la moglie una grande casa datata 1732 nella borgata di Vazon, a 1650 metri in alta Val di Susa. Non una casa per passarci le vacanze ma un luogo dove vivere il semestre più caldo per gli anni a venire. Questa scelta di vita è raccontata nel libro “Salire in montagna” (Einaudi 2020), pubblicato di recente. EarthDay.it Italia ha raggiunto telefonicamente Luca Mercalli nella sua baita di montagna per parlare dei motivi di questa scelta: il riscaldamento globale, e la conseguente possibile futura migrazione verticale dalle città alle montagne. In coda all’intervista riportiamo degli estratti del Manifesto di Camaldoli e della Carta di Vazon: due documenti che cercano di indirizzare le politiche locali e nazionali che dovranno governare questa futura migrazione dalle città e dalle metropoli ai borghi.

Versione integrale dell’intervista a Luca Mercalli, trasmessa da Radio Vaticana Italia nel programma “Il Mondo alla Radio” dell’11 marzo 2021.

C’è un’ampia letteratura sulla fuga dalla modernità, per un ritorno alla tradizione e alla natura; nel suo libro cita diversi esempi. L’originalità della sua esperienza è che questo rifugiarsi in montagna, in un luogo del passato, anche suo personale, in realtà è una fuga nel futuro. In un possibile futuro. Quali sono i motivi, legati appunto al futuro di tutti noi, che l’hanno convinta a questa scelta?

Ci sono vari motivi per uscire dall’ambiente urbano e “salire in montagna”, che è il titolo di questo mio libro. Libro che racconta un’esperienza di vita che parte dal cambiamento climatico: dal fatto che la temperatura è in aumento. Nelle nostre città d’estate fa sempre più caldo, con temperature inedite: ormai i 40°C si toccano un anno su due anche in pianura padana, e certamente non sono condizioni in cui si vive bene; ci sono anzi veri rischi per la salute: il colpo di calore è in agguato. Allora ho deciso di portarmi avanti col lavoro.

“Salire in montagna” di Luca Mercalli – Einaudi 2020

Sapendo che il futuro non potrà che peggiorare questa situazione ho detto: qui bisogna adattarsi; perché il riscaldamento globale purtroppo è un fenomeno che abbiamo ormai attivato. Forse riusciremo a moderarlo un po’, ma comunque il segnale ormai è quello di un aumento continuo della temperatura. Ora la montagna è un luogo considerato marginale, lontano dai grandi centri della cultura, della società, dell’economia. Questa è la vulgata. Sappiamo che in realtà ci sono alcune piccole oasi che funzionano, quelle del grande turismo blasonato, dei grandi centri sciistici: c’è Courmayeur, c’è Cortina, c’è Bormio. Ma in linea generale il tessuto connettivo italiano è fatto di zone alpine e appenniniche semi abbandonate; che hanno vissuto negli ultimi cinquant’anni un grandissimo spopolamento e sono state considerate dei luoghi di secondo ordine. Ecco io oggi dico: questi luoghi possono essere riabitati per svariati motivi. Quelli indipendenti dal clima li conoscevamo già prima: i motivi del benessere, di una vita un po’ più tranquilla, dell’aria pulita, di un contatto maggiore con la natura; anche di relazioni umane, perché a parte qualche borgata che oggi è abbandonata e in futuro potrebbe comunque rivitalizzarsi, non è vero che in montagna si vada semplicemente per chiudersi in meditazione ascetica o vivere a livello monastico. In montagna c’è comunque una vita: dei rapporti, delle persone che vivono nei paesi. Quindi non si tratta di isolarsi. Ma c’è un fattore nuovo: Internet. Oggi il telelavoro e la connettività facile, rendono anche i luoghi apparentemente non centrali, non urbani, assolutamente adatti anche a vivere e lavorare.

Vorrei spendere anche qualche parola per “la casa”, l’edificio. Lei nel libro la descrive come se fosse abitata da uno spirito che a un certo punto ha richiamato lei e sua moglie, nonostante tutte le difficoltà burocratiche, i problemi per raggiungerla quando nevica… per comprare questa che lei, in una parte molto divertente del libro, definisce “500 tonnellate di pietrame a forma di baita”. In realtà quello che propone non è solo sfuggire alla città soffocante, e magari andarsene in un condominio a 1000 metri, ma appunto, come ha detto ora, recuperare i borghi storici, le case storiche. Che cosa ci darebbe in più il fare questo?

La casa di Luca Mercalli a Vazon. Foto www.lucamercalli.it

Questo è un grande progetto nazionale che non è partito da me: da tempo si invoca il recupero di questo patrimonio di storia e di edilizia tipica che sta letteralmente andando in rovina. Con l’abbandono queste case si sono deteriorate. Eppure hanno dentro un’anima; hanno dentro una storia del nostro territorio che non è soltanto Roma, Venezia, Firenze: è fatta di questa moltitudine di rapporti edilizi e architettonici tra la natura, il ter

ritorio, l’agricoltura e le persone che ci hanno abitato da millenni. Io non ho certo voluto contribuire alla cementificazione italiana; per cui lungi da me proporre di andare in montagna a costruire del “nuovo”. Il mio programma è: in montagna si va recuperando questo enorme patrimonio. Quindi si ristruttura, si riqualifica, si riporta la luce quel patrimonio edilizio, ovviamente con le tecnologie di oggi: il risparmio energetico; l’isolamento termico; i pannelli solari; tutto ciò che permetta di avere delle case con l’anima, antiche, di non disturbare il territorio, ma di vivere ovviamente con il comfort degli anni 2000.

In montagna però si trovano anche altre persone. “Montanari non si è ma si diventa” è scritto nel suo libro, citazione di Luigi Zanzi alpinista e filosofo che lei ha conosciuto e frequentato. Però, appunto, sul posto ci sono i montanari residenti. Nella sua esperienza come accolgono chi “sale in montagna”, per citare il titolo del suo libro? E come accoglieranno tutti i “forestieri” che faranno questa scelta?

Purtroppo c’è ancora un po’ di spirito di contrapposizione tra le persone che vivono in questi posti da “autoctoni” e chi arriva da fuori. Penso che sia un antico problema storico-antropologico. Oggi va assolutamente superato; ne abbiamo tutte le condizioni di cultura e conoscenza scientifica, e abbiamo anche la ricchezza di tanti savoir faire. Io arrivo in montagna e non so alcune cose della montagna, ma ne porto altre. Quindi se ci alleiamo, invece di scontrarci in termini di diffidenze e invidie, credo che questa ri-abitazione alpina possa portare a un enorme sviluppo sociale di questi luoghi, che invece spesso sono rimasti nell’oblio più totale.

Però ci sono anche i montanari che non vogliono esserlo. Lei scrive di aver incontrato dei giovani residenti in quello che per lei (e anche per me) è un paradiso, che in realtà sognano le discoteche della riviera romagnola, le auto di lusso, la movida…

Purtroppo è così: siamo ancora inseriti in un contesto sociale Italiano dove c’è una scarsa cultura geografica; una scarsa attenzione al territorio. Confondiamo certi atteggiamenti di “identità” (chiamiamola così anche se è sempre una parola a rischio) geografica, con il protezionismo. Invece la vera identità è la conoscenza dei propri luoghi, e poi spartire questa conoscenza con gli altri, e acquisire quella che gli altri ci portano. Quindi bisogna assolutamente portare modelli nuovi, anche culturali. Per farlo abbiamo delle scienze anche che ci aiutano, ma che non sono minimamente sfruttate. In queste cose io chiedo aiuto a certi mediatori culturali che sono i sociologi, gli antropologi, gli psicologi sociali. Come abbiamo tecniche nuove in termini architettonici per l’isolamento termico, come abbiamo molti materiali e conoscenze generati negli ultimi anni, penso che anche sul piano sociale dobbiamo imparare a usare dei mezzi per stemperare queste differenze o questi conflitti. E poi dedico il libro proprio ai “montanari per scelta”; proprio per questo motivo. C’è purtroppo tanta gente che è nata in montagna ma desidera stare al mare; e ci sono tanti che invece sono nati in città e desiderano stare in montagna. Allora forse la prima regola è portare in montagna chi veramente la ama.

Questa sua scelta di vita è nata da una notte passata in un rifugio nei pressi di Vazon…

Vazon è il nome della borgata; è una borgata piccolissima: stiamo parlando di venti case a 1650 metri di quota. Io lavoro e vivo in montagna (la “prima casa” di Mercalli è a 500 metri di quota alle porte della Val di Susa, nda.) quindi c’era già un’attrazione verso la vita in alta quota che deriva proprio dall’oggetto del mio studio, della mia ricerca scientifica. Io faccio il climatologo e il glaciologo in alta montagna, quindi la frequento sempre. Però non ci sono mai stato in termini continuativi. Per me la montagna è stato un luogo di lavoro: due, tre giorni, una campagna di misure scientifiche e poi si tornava a valle. Perciò stavo già cercando qualche cosa che consolidasse questa mia presenza sul territorio. La casa è arrivata perché forse era lì che ci aspettava, ma era anche ricercata da anni; non c’è ancora stato l’incontro fatale. L’incontro è avvenuto in una di queste escursioni alpine, proprio con una di queste grandi case vuote. La paragonavo a un grande mucchio di pietre: 500 tonnellate di pietra con queste orbite scure, quasi occhi di un teschio che ti guardano, di una casa ormai vuota, abbandonata da anni.

Lì vicino lei ha tenuto una lezione in un liceo di montagna – anche questo un residuo del passato – dove ovviamente ha parlato ai ragazzi di clima, di migrazioni eccetera. Ha cercato di convincere anche loro che sono nel posto giusto nel momento giusto? Si può dire a dei ragazzi che devono sognare di restare lì?

Luca Mercalli – Foto www.lucamercalli.it

Ho proprio cercato di motivarli. Ho raccontato quelli che saranno i rischi climatici del futuro, e quindi ho detto: voi siete già nel posto giusto; siete già in una situazione di sicurezza rispetto ad altre aree geografiche che purtroppo con il cambiamento climatico soffriranno moltissimo. Pensiamo al delta del Po e a Venezia. Sono territori fragilissimi per l’aumento del livello del mare. Al di là del caldo ci sono purtroppo le zone costiere che nei prossimi decenni soffriranno. Perché con la fusione dei ghiacciai, gli oceani stanno aumentando di livello. Tra cento anni probabilmente alcune zone basse sulla costa non saranno più abitabili. Allora vedremo le migrazioni. Questo mio libro vuole anche essere il manifesto di una migrazione dignitosa. Quando sono fatte in emergenza le migrazioni sono sempre terribili: significano sofferenza, sfruttamento, respingimento; e lo vediamo tutti i giorni. Invece programmandolo in anticipo si emigra con dignità.

Lei – lo specifico per chi non ha letto il libro – non è un amante della metropoli che è andato in montagna per necessità climatica. Ha amato le montagne fin da bambino; ha amato quella cultura di isolamento della natura e anche degli uomini; e ha vissuto anche a mezza montagna fino a ora. Non ha paura che riempiendo questo ambiente di ex cittadini, portandoci gente e servizi, si possa perdere per sempre quel mondo, come già è successo con quello rurale della pianura?

Non se verrà fatto con delle regole precise: non come una migrazione disordinata, caotica, dove si scappa tutti e ci si ammucchia purché sia; ma invece come qualcosa di desiderato, di ordinato, di programmato, dove vengono anche poste delle regole. La prima regola che io ho posto è che non si costruisce niente di nuovo; si recupera solo il vecchio. Da questo punto di vista questi luoghi sono semplicemente destinati a ritornare abitati come fino a cinquant’anni fa. Niente di più. Riattiviamo dei borghi che oggi sono tristi da vedere perché stanno crollando; sono dei borghi fantasma. Da questo punto di vista io credo invece che sia un miglioramento del territorio; perché vuol dire anche portare nuovamente i servizi scomparsi: riaprire un ufficio postale, una farmacia, magari un piccolo ospedale. Vuol dire avere nuovamente una vita sociale, senza però cadere nell’eccesso, cioè nel creare le città in montagna. Quello no. Lungi da me: perderemmo tutti.

Lei è noto per essere abbastanza schietto. In un passo del libro (che ha la forma di un diario, nda.) ha scritto che stava andando a fare “l’ennesima inutile intervista” per svegliare le coscienze. Io sono d’accordo: stiamo facendo anche noi un’ennesima inutile intervista. Ci crede che finirà bene?

Ho abbandonato l’idea che potrà andare tutto bene. Ho abbandonato l’idea che si possano cambiare il mondo e l’umanità. Quando ero più giovane ce l’avevo ovviamente; pensavo che fosse solo un problema di informazione: queste cose non si sanno e uno cerca di diffonderle; più si sapranno e più tutti faranno la scelta giusta. Non è così, l’abbiamo visto anche con la pandemia: quando vedi i medici che si lamentano dei comportamenti che poi portano alla gente a morire in ospedale vuol dire che anche durante qualcosa che già si vede, in cui sei già inserito, un’emergenza conclamata, i comportamenti alla fine non sono razionali. Allora ho ripiegato su qualcosa che permetta di avere un minimo di soddisfazione nel lavoro che si fa. Non cerco di risolvere tutti i problemi dell’umanità, ma di risolverli a un certo numero di persone. Ho avuto la soddisfazione di tanta gente che dopo che aver letto il libro mi ha scritto: grazie, la mia vita l’ho cambiata. Bene, intanto per quelli è già qualcosa di concreto. Per tanti altri non sarò certo io a poter cambiare le cose, ma forse nessuno di noi ha queste forze. Però ognuno di noi forse si può impegnare nel cambiare in un piccolo abito; ed è già un risultato.

Il Manifesto di Camaldoli è stato promosso dalla Società dei Territorialisti/e (www.societadeiterritorialisti.it) a conclusione del convegno “La nuova centralità della montagna” del gennaio 2019 . Di seguito alcuni punti chiave.

Affermare la visione delle montagne italiane come peculiare patrimonio di valori, risorse e saperi per il futuro del paese
Sostenere quanti (“restanti”, “ritornanti”, “nuovi abitanti”) restituiscono centralità alla montagna come luogo di vita e di produzione
Fondare la centralità della montagna sullo sviluppo locale integrato, autosostenibile, agroecologico, bioregionale, inclusivo, comunitario
Rendere concreta questa prospettiva di sviluppo con un progetto nazionale di neopopolamento della montagna che crei diritti, convenienze e statuti di donne e uomini liberi
Promuovere nuove forme di autogoverno comunitario, ispirate alla autonomia storica della montagna, capaci di contrastare la dipendenza e di promuovere una nuova civilizzazione che scende verso le pianure, le coste, il Mediterraneo, l’Europa

La Carta di Vazon è un’appendice del libro “Salire in montagna” in cui Luca Mercalli propone alcune regole per governare il ritorno ai borghi montani nel rispetto della cultura locale, della natura e della sostenibilità. Di seguito alcuni punti chiave.

Cosa fare
Restaurare vecchie abitazioni con nuove tecnologie ecosostenibili (isolamento termico, pannelli fotovoltaici, solare termico ecc.)
Risparmio energetico delle comunità tramite ad es. illuminazione pubblica con sensori di presenza, autoproduzione energetica,
Favorire il turismo con toilette pubbliche “a secco”, panchine, punti panoramici informativi,
Riattivare agricoltura e allevamento locali di qualità e filiera del commercio locale
Preferire pietre locali e muretti a secco rispetto a asfalto e cemento per strade e strutture di rinforzo

Cosa NON fare
Non costruire nuovi manufatti o edifici su terreni agricoli
Non installare illuminazione pubblica invasiva e continua di tipo urbano
Non asfaltare e cementare i parcheggi e la viabilità pedonale
Non ampliare le strade per le auto
Non ospitare in montagna grandi eventi di tipo urbano: grossi concerti, raduni motoristici, ecc.
Non costruire parchi gioco, a tema e altro di estraneo al contesto della montagna: la bellezza della montagna è sufficiente.

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