Antonello Pasini, fisico del clima del CNR anticipa i temi della conferenza dell’ONU sul clima che riunirà i governanti del pianeta a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre.
Un anno fa di questi tempi era in programma la COP26, la conferenza delle parti sul cambiamento climatico organizzata dalle Nazioni Unite. La fase acuta della pandemia del Covid19 ha fatto rimandare l’evento di un anno ed ora siamo alla vigilia di questo convegno, cruciale per le politiche ambientali del pianeta. I rappresentanti di tutte le nazioni si riuniranno a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre e le aspettative di chi è preoccupato per il futuro del pianeta sono alte. Occorre ricordare che con l’accordo preso alla COP21 di Parigi nel 2015 tutti i governi del pianeta avevano promesso di impegnarsi per mantenere l’aumento della temperatura media del nostro pianeta entro i 2 gradi centigradi sopra la media dell’epoca pre industriale. Le soluzioni necessarie, individuate a Parigi nel 2015, prevedono la diminuzione delle emissioni di gas serra, ad esempio convertendo la produzione di energia con le fonti rinnovabili non inquinanti, e l’avvio di iniziative per mitigare il clima, come l’aumento della superficie terrestre coperta da vegetazione. Dalla conferenza di Parigi in poi però non sono stati fatti molti passi avanti, soprattutto perché le nazioni che trainano l’economia globale, Stati Uniti e Cina in primis, che dovrebbero guidare e finanziare la transizione ecologica, sono anche quelle più inquinanti, più legate alle logiche dello sfruttamento intensivo delle risorse naturali e delle fonti di energia fossile.
Il risultato è che il riscaldamento globale non si arresta e ormai, piuttosto che di cambiamento climatico, si può parlare apertamente di “crisi climatica”. Anche Papa Francesco, nel “Messaggio congiunto per la salvezza del Creato” diffuso la scorsa settimana insieme al Patriarca di Costantinopoli e all’Arcivescovo di Canterbury, ha scritto “Il cambiamento climatico non è solo una sfida futura, ma un’immediata e urgente questione di sopravvivenza”. Il Messaggio diceva anche che “I bambini e i ragazzi di oggi affronteranno conseguenze catastrofiche a meno che adesso noi non diventiamo responsabili”: un chiaro appello a chi decide le politiche globali in “questo” momento. La scienza ci avverte che, attualmente, il riscaldamento globale ha già superato il grado in più rispetto alle medie di riferimento del XIX secolo. Per di più, se vogliamo evitare conseguenze gravi e irreversibili sul clima e sull’economia, gli studiosi consigliano di fermare questo aumento prima che non vada troppo oltre la soglia del grado e mezzo, piuttosto che avvicinarsi al limite dei 2 gradi. Secondo un recente rapporto dell’ONU, negli ultimi 50 anni si è verificato in media un disastro naturale al giorno legato a fattori climatici: alluvioni, tempeste, siccità ed altri eventi estremi che sono costati la vita a 2 milioni di persone. Una frequenza di catastrofi cinque volte superiore al passato.
Per disegnare i contorni del quadro di ciò che si discuterà a Glasgow, e per riportare questo tema planetario alla quotidianità del nostro paese e delle nostre città, abbiamo intervistato Antonello Pasini, fisico del clima del CNR. Il contributo (qui trascritto in forma integrale e con l’audio originale) è stato trasmesso in “Ecosistema”, la rubrica radiofonica di Earth Day Italia, in onda ogni giovedì nel programma “Il Mondo alla Radio” di Radio Vaticana Italia.
Dalla nostra precedente intervista sono passati sette mesi, una primavera e un’estate. Come ha passato queste stagioni il nostro paese? Siamo fuori dalla norma climatica? Di quanto?
Quest’estate è stata la sesta più calda degli ultimi 220 anni, ma molto vicina alla seconda. L’estate più calda rimane quella del 2003, ma negli ultimi anni ne abbiamo avute molte. Il trend è sicuramente in aumento. Per quanto riguarda le piogge rispetto alla media del periodo estivo c’è stata una diminuzione di circa il 40%, anche se abbiamo avuto degli eventi estremi, quindi la variabilità della pioggia è molto maggiore. Comunque è certo che sia stata un’estate molto particolare.
Parlando di eventi estremi mi viene in mente la tromba d’aria che ha colpito Pantelleria. A mia memoria non ricordo trombe d’aria in Italia che abbiano mai sollevato automobili. È un’escalation di ciò che sappiamo sta cambiando? È un evento che capita di norma ogni 10 o 20 anni? O il clima di fatto è già cambiato anche qui?
Questi eventi (trombe d’aria, trombe marine che diventano veri e propri tornado) ci sono sempre stati, ma il vero problema è che in questi ultimi periodi la temperatura marina sta aumentando; e questi sono eventi che, a parità di altri parametri meteorologici che servono per innescarli, dipendono molto dalla temperatura del mare. Cioè, si innescano al di sopra di una certa soglia di temperatura, e quando questa cresce ancora diventano più violenti. Se non facciamo nulla per diminuire il riscaldamento globale dovremo aspettarci che questi eventi diventino quanto meno più violenti. La frequenza non dipende soltanto dalla temperatura ma anche da altri parametri meteorologici. Però, quando ci saranno, rischiano di essere più violenti.
I media di solito parlano di cambiamento climatico partendo dagli effetti catastrofici: incendi, alluvioni, tempeste e trombe d’aria. Quali saranno però gli effetti normali? Se c’è un cambiamento di clima ci saranno anche dei giorni “normali” durante l’anno. Quali saranno quegli effetti che non ci faranno fuggire di casa ma ci cambieranno la vita? Magari cambieranno le coltivazioni, le economie legate al paesaggio ecc.
Nel Mediterraneo eravamo abituati troppo bene. Dai tempi del Colonnello Bernacca si aspettava l’anticiclone delle Azzorre che segnava l’inizio dell’estate. Le estati erano caratterizzate da un clima certamente caldo ma tutto sommato mite. L’anticiclone lasciava verso nord le perturbazioni, che non ci interessavano; ma anche il caldo africano rimaneva sull’Africa. Adesso, con il riscaldamento globale di origine antropica, la circolazione equatoriale tropicale si è espansa verso nord, nel Mediterraneo. Questo vuol dire che non c’è l’anticiclone delle Azzorre, ma ci sono gli anticicloni africani che sono molto più “potenti”, dal punto di vista del caldo e quindi anche della mancanza d’acqua, della siccità. Quando però questi anticicloni si ritirano sull’Africa, perché non hanno sempre la forza di rimanere su di noi, entrano le correnti fredde e arrivano i disastri: le alluvioni lampo, le grandinate con chicchi grandi come palle da tennis e così via. Quindi il clima mediterraneo si è estremizzato. Non ci saranno più le placide giornate che avevamo con l’anticiclone delle Azzorre. Quello che adesso si ritiene eccezionale, cioè questa variabilità estrema per cui l’Italia del nord negli ultimi giorni aveva la siccità e il sud era in preda alle trombe d’aria e alle alluvioni, purtroppo diventerà la norma.
A inizio novembre il mondo si riunirà a Glasgow per la COP26. Lo scopo è “Fissare obiettivi climatici più ambiziosi, costruire resilienza, abbassare le emissioni nocive”. Che cosa si aspetta il mondo scientifico? Quali azioni e quali obiettivi concreti?
Negli ultimi anni noi ci siamo mossi per dare un supporto a queste conferenze. L’IPCC (l’organismo dell’ONU che divulga i dati scientifici sul cambiamento climatico, nda.) ad esempio ha fatto un rapporto su che vuol dire aumentare la temperatura (media globale, nda.) di solo 1,5 gradi o di 2 o più gradi, in termini di impatti. Quindi abbiamo dato ai politici tutte le carte in regola per poter decidere in maniera consapevole. Quello che ci aspettiamo ora è che gli impegni di riduzione diventino più ambiziosi perché qualche anno fa, dall’altra sponda dell’Atlantico, c’era un Presidente che addirittura negava l’esistenza del riscaldamento globale; adesso l’amministrazione [USA] è diversa. In Europa stiamo uscendo dalla pandemia, cercando di costruire un percorso futuro che non sia un ritorno alla vecchia normalità (perché quello era il problema), ma un andare verso una nuova normalità, con uno sviluppo più “verde”, più sostenibile. In Cina nel frattempo stanno puntando molto sulle rinnovabili – soprattutto dal momento in cui Trump faceva perdere quel treno agli americani – e in qualche modo anche lì c’è una spinta dal basso che fa dire al governo: non possiamo più andare avanti a inquinare. Perché veramente in Cina la gente moriva, e muore ancora, di inquinamento atmosferico. Quindi le prospettive a livello internazionale ci sono tutte. Bisogna però cercare di passare delle soglie, probabilmente anche “di mercato”: nel momento in cui la parità dei costi delle energie rinnovabili e di quelle fossili diventerà effettiva, probabilmente questa cascata di eventi potrà far andare tutto il mondo verso un altro tipo di produzione di energia.
Qualche anno fa lei mi disse di essere ottimista per questi obiettivi. Lo è ancora o è cambiato qualcosa?
Tutto sommato sì, anche se sappiamo che tanti remano contro. Grossi gruppi industriali legati ai combustibili fossili cercano in qualche modo di ritardare questa transizione, anche se a mio parere non è intelligente. Perché chi per primo si mette su queste cose ne ha poi anche un guadagno effettivo. La situazione adesso è leggermente diversa,; quindi si può essere leggermente più ottimisti.
Lei risiede a Roma e tra poco ci sarà l’elezione del sindaco. Quali sono i provvedimenti che un’amministrazione comunale in generale, e più nello specifico in una città come Roma, può mettere in campo per mitigare il riscaldamento globale?
Sicuramente le singole città possono fare molto per mitigare il riscaldamento agendo sulle emissioni di gas serra. Ma città così “critiche” com’è la nostra capitale devono adottare dei piani di “adattamento” al riscaldamento globale. E’ una cosa diversa. Vuol dire rendere la città più resiliente, più sicura. Bisogna agire sugli spazi verdi, cambiare alberature che in qualche caso non sono adatte. Sappiamo che quando ci sono venti forti a Roma cadono sempre tanti alberi. Quindi ovviamente occorre più manutenzione ma anche pensare un piano urbanistico leggermente diverso: gli spazi verdi devono essere in grado di assorbire la pioggia che scende dal cielo in maniera sempre più violenta. La città dev’essere preparata con un piano di riadattamento comunale perché, nel momento in cui la Protezioni Civile dice che cadranno 200mm di pioggia, solo il sindaco e i suoi collaboratori possono sapere cosa fare nelle varie parti della città. Perché sono loro a conoscere il territorio: dove questi 200mm di pioggia potranno fare danno oppure i luoghi in cui questo non succederà. Quindi [occorre] prepararsi a questo cambiamento climatico, che ci dovremo tenere; perché noi fisici del clima non diciamo mai di tornare indietro con la temperatura ma solo di stabilizzarla, sperabilmente a 1,5 gradi (di aumento medio, nda.), altrimenti a 2 gradi. Determinati fenomeni estremi ce li terremo ancora, come il grande caldo e la siccità. Pensiamo alla rete idrica della città per fare in modo che non avremo problemi di approvvigionamento idrico. Per ora Roma è stata sempre abbastanza fortunata in questo, anche se qualche problema c’è stato negli anni : ricorderà il lago di Bracciano ai minimi termini (soprattutto tra il 2015 e il 2017, nda). Però se dovesse continuare questa tendenza per il futuro bisognerà pensare anche a queste cose.