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Plastica: dai fiumi al mare, alle discussioni in Parlamento

Antonello Ciotti, presidente del consorzio Corepla, racconta i progetti per ripulire fiumi e mari italiani, e boccia la plastica tax attuale, chiedendo “benefici contabili” per chi usa le plastiche più facilmente riciclabili.

La plastica non è soltanto una materia prima e un problema ambientale: è anche un’industria cruciale, che in Europa coinvolge 60 mila imprese, impiega un milione e mezzo di lavoratori, e fattura più di 350 miliardi. Al momento in Italia il tema caldo è la “Plastica tax”, la tassa inserita nella Legge di Bilancio in discussione in Parlamento, che aumenterebbe i costi di produzione degli oggetti in plastica non biodegradabili. Tra i critici della misura c’è Antonello Ciotti, presidente del COREPLA, Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi di Plastica. “Ecosistema”, il programma di Earth Day Italia in onda ogni martedì su Radio Vaticana Italia, l’ha intervistato anche per fare un punto sulla filiera italiana del riciclo e del riuso del materiale, e per parlare di alcuni progetti che dovrebbero diminuire l’impatto dei rifiuti sull’ambiente. 

Presidente può fare un quadro generale della raccolta e del riciclo della plastiche in Italia?

L’Italia nella raccolta differenziata degli imballaggi di plastica è tra i paesi più virtuosi, a livello europeo. Siamo tra i primi tre: secondi dopo la Germania. Negli ultimi anni, da un dato di partenza che era di circa 2 kg pro capite di raccolta differenziata all’anno, siamo arrivati ad oltre 20 kg per persona. Questo è il dato importante che ci pone ai livelli più elevati in Europa. Le plastiche raccolte sono tutte quelle degli imballaggi, e questa è una caratteristica del sistema COREPLA. La plastica più importante è quella delle bottiglie: il PET; importante perché il PET ha già raggiunto la propria “economia circolare”: tutto il PET che raccogliamo viene impiegato o per produrre altre bottiglie, o nel tessile per produrre il pile. Ogni volta che indossiamo un indumento di pile, indossiamo senza saperlo dalle venti alle trenta bottiglie di PET riciclato.

L’Italia è un paese con molti fiumi e mari, e purtroppo molta plastica viene portata dai fiumi al mare. COREPLA è coinvolta in alcuni progetti, simili tra loro, sia sul Po che sul Tevere, per raccogliere i rifiuti galleggianti, prima che arrivino alle foci.

Questa sperimentazione nasce da uno studio fatto dall’Università di Lipsia. Lo studio dice che, nel mondo, circa l’85% di tutte le plastiche che finiscono in mare proviene da soli dieci fiumi: il Niger, il Nilo, il Gange… tutti grandi fiumi del sud-est asiatico. Nessuno di questi fiumi è europeo. Perciò abbiamo deciso di valutare il comportamento gli Italiani, andando a verificare che cosa galleggia sul Po, e abbiamo fatto una prima sperimentazione (progetto “Po d’aMare”, nda.), della durata di circa tre mesi, a Pontelagoscuro (provincia di Ferrara, nda.) molto vicini al delta. Il Po è un fiume importante perché attraversa sette regioni e il suo bacino, compresi gli affluenti, comprende circa il 30% della popolazione italiana. I risultati sono stati estremamente positivi, perché abbiamo raccolto una quantità di imballaggi di plastica di peso molto inferiore a quello previsto dall’algoritmo sviluppato dall’università tedesca. Il nostro scopo era raccogliere la plastica che veniva dal fiume, e riciclarla in qualcosa che potesse essere riutilizzato. Grazie a una nuova tecnologia è stata prodotta una casetta-rifugio fatta di plastica, che è stata poi inviata, prima al Salone del Mobile di Milano, e poi in Grecia, in uno dei più grandi campi profughi esistenti in Europa; proprio per dimostrare che dai rifiuti si può far partire l’economia circolare, producendo oggetti anche di uso duraturo come una casa-rifugio.

Recentemente c’è stata la presentazione del progetto “Barriere mobili sul Tevere”. Ci può descrivere come funziona?

Con il presidente della Regione Lazio Zingaretti, abbiamo dato il via a una sperimentazione molto simile a quella fatta a Pontelagoscuro. Le installazioni sono nel Comune di Fiumicino. Sono dei tubolari di plastica che galleggiano sulla superficie del fiume e convogliano tutti gli oggetti galleggianti verso una sorta di grande imbuto. Questo viene svuotato nel giro di cinque o sei ore, in base a una certa attesa dei prodotti che possono essere raccolti. Questi prodotti vengono raccolti e selezionati per capire da dove provengono. L’obiettivo non è solo riciclare, ma anche capire la fonte da cui parte questo rifiuto, onde evitare che questa fonte continui a produrlo. In pratica dobbiamo ridurre a zero. Quando rifaremo queste sperimentazioni, l’obiettivo e la speranza è di non raccogliere nulla. Però, per non raccogliere nulla, va in qualche modo modificato il comportamento del consumatore. Dobbiamo capire quale consumatore indirizzare verso una raccolta differenziata più spinta.

Un altro progetto molto interessante è “RiVending”: intervenire prima che la plastica diventi un rifiuto disperso nell’ambiente, o comunque nella catena del conferimento dei rifiuti. Qui si tratta di qualcosa che riguarda quasi tutti gli Italiani: la pausa caffè. Ci può descrivere questa semplice idea che può risolvere molti problemi?

Abbiamo scoperto che l’Italia è il paese con il più alto numero di distributori automatici di bevande calde; prevalentemente caffè, ma anche tè e altre. Ce ne sono più di 800.000. Perché l’Italiano – questa è un’altra considerazione che ci è stata presentata – è l’unico popolo che beve il caffè in piedi. Beviamo il caffè; è molto corto, molto ristretto; ed è un’operazione facciamo tutti i giorni in pochi minuti. “RiVending” è un’operazione che abbiamo lanciato con il Comune di Parma all’interno delle sedi dell’ENI. Ci consente di raccogliere i bicchierini che vengono utilizzati, a fianco delle macchine distributrici di bevande calde. Il progetto raccoglie tutti i bicchierini e li convoglia verso dei punti di produzione che fanno parte del gruppo ENI, dove verranno convertiti in pannelli fonoassorbenti o in pannelli di coibentazione. Ecco perciò un fatto concreto per implementare l’economia circolare, che significa “da rifiuto a risorsa”: da un bicchierino a un pannello fonoassorbente o di coibentazione.

Purtroppo però il mare è già un ricettacolo di rifiuti. Anche per questo c’è un progetto che vi vede partecipanti: “Fishing for litter”, letteralmente “pescare l’immondizia”, avviato sulle coste della Puglia e del Lazio.

Anche “Fishing for litter” è un programma estremamente importante, perché la plastica non “cammina”: se arriva al mare vuol dire che c’è stato un comportamento scorretto. “Fishing for litter” è un programma che consente ai pescatori che trovano rifiuti di plastica nelle loro reti, di conferirlo nei porti dove poi arriveranno con il loro pescato, senza costi aggiuntivi. Questo è un primo aspetto molto importante: precedentemente, per evitare costi aggiuntivi, accadeva molto spesso che il pescatore rigettasse a mare i rifiuti che trovava nelle reti. Con questa sperimentazione abbiamo l’obiettivo di verificare che cosa si trovi nel mare, e di riciclare quello che viene raccolto. I primi dati che provengono dalla Regione Puglia, ci mostrano che gran parte di quello che si trova in mare in realtà viene dalle stesse attività di pesca: ci sono reti, funi, i contenitori dei mitili. Le cozze e le vongole, per crescere vengono messe in grandi stagni di acqua salata; crescendo rompono la retina che le protegge nella fase iniziale. Anche qui abbiamo avviato un riciclo virtuoso, in base al quale queste reti raccolte diventano nuovi prodotti nel campo del tessile.

Non possiamo non parlare della plastic tax, che è l’argomento caldo di queste settimane. Lei si è pronunciato in maniera molto critica: ha detto di non capire “come possa avere un effetto di maggiore sostenibilità”. Però ha anche detto che si può rivedere: insomma ne auspica una revisione. Come sarebbe accettabile? E perché COREPLA non la vede come un giusto passo verso la sostenibilità?

Per implementare l’economia circolare, “da rifiuto a risorsa”, è indispensabile avere due miglioramenti nella società. Uno riguarda tutti noi consumatori: dobbiamo fare più raccolta differenziata, altrimenti il rifiuto rimane tale, e non può diventare risorsa. Ma una volta fatta la raccolta differenziata è indispensabile che le imprese facciano innovazione, per poter utilizzare queste materie seconde che vengono dalla differenziata. La tassa, per come è stata disegnata, non spinge certamente il consumatore, il cittadino, a fare una maggiore raccolta differenziata, perché non cambia assolutamente nulla. Ma la cosa peggiore è che non spinge neanche le imprese a fare innovazione: perché questa tassa si spalma in modo uniforme su tutti i materiali di plastica, sia quelli fatti con la plastica riciclata, sia quelli fatti con le plastiche vergini. Allora, a questo punto, perché mai un’industria dovrebbe investire capitali per rinnovare, quando non c’è nessun beneficio contabile?

Come sarebbe accettabile una rimodulazione della tassa? Dando peso diverso al grado di riciclabilità della plastica?

Esattamente. È in parte quello che già esiste in Italia. Perché a volte in Italia siamo innovativi senza saperlo. Il contributo ambientale CONAI, che equivale a circa 450 milioni di euro l’anno, che i produttori di imballaggi già pagano ogni anno, è modulato in base alla riciclabilità dell’imballaggio finale. Faccio un esempio: le bottiglie di plastica, che sono il prodotto più facilmente riciclabile, pagano circa 200 euro a tonnellata; i film molto complessi, che non sono facilmente riciclabili, ne pagano quasi 500. Allora, se vogliamo veramente spingere l’economia circolare, dobbiamo premiare quei prodotti che sono più facilmente riciclabili, o che contengono una certa percentuale di materiale riciclato.

È fiducioso che avvenga questo compromesso fra il Governo e le parti civili che vogliono questa modulazione?

Lo spero. Però bisogna intenderci chiaramente: se il Governo ha definito questa tassa perché aveva necessità di raccogliere due miliardi di euro l’anno, o se questa tassa è stata veramente introdotta per migliorare la sostenibilità e l’economia circolare in Italia. Nel primo caso non cambierà nulla; nel secondo caso bisogna mettersi intorno a un tavolo e guardare anche le definizioni tecniche. Perché non è facile implementare un contributo così grande in un tempo così breve. Per cui c’è molto da discutere e da parlare.

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