Soprattutto al Sud e nelle isole torna a risalire la percentuale di giovani che abbandonano gli studi prima di conseguire un diploma.
Quando si parla di povertà spesso si commette l’errore di ridurre la questione ad aspetti esclusivamente economici.
Quella economica è certamente la dimensione principale da tenere in considerazione, ma questa incide e allo stesso tempo ha origine da tutta una serie di variabili quali il contesto sociale, le condizioni di salute, l’occupazione, il livello di istruzione.
Esistono quindi tanti tipi di povertà: tra queste, pensando al milione e duecentomila minori che oggi vivono in condizioni di povertà, particolarmente gravosa è la povertà educativa che significa diritti negati, mancanze di opportunità e futuro a rischio.
Dal 2016 è operativo il “Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile”, promosso da Fondazioni di origine bancaria, Governo e Forum Terzo Settore, che ha l’obiettivo di sostenere interventi finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori.
Il compito di attuare i programmi del Fondo spetta all’impresa sociale “Con i Bambini” che lo scorso 31 maggio ha organizzato l’incontro “La povertà educativa minorile in Italia: i giornalisti parte integrante della comunità educante”, durante il quale la fondazione Open Polis ha presentato dati interessanti sul fenomeno che l’analista Luca Giunti illustra intervenendo all’interno di Ecosistema, trasmissione di Earth Day Italia trasmessa da Radio vaticana Italia.
Con l’impresa sociale “Con i Bambini” siete impegnati in un Osservatorio sulla povertà educativa. Quale lo scopo e quali le attività dell’osservatorio?
L’Osservatorio povertà educativa ha lo scopo di capire il legame tra la condizione economica e la condizione educativa che sembrano due aspetti slegati.
Spesso quando si parla di povertà non viene posto l’accento su quella che è la povertà educativa, ma in realtà sono fortemente legate e questo perché chi nasce in una famiglia deprivata o in condizioni economiche più difficili tendenzialmente già da bambino avrà offerte meno possibilità e poi da adulto questa cosa lo penalizzerà perché avrà avrà meno possibilità di trovare un posto di lavoro stabile.
La conseguenza di questo è che i divari economici già esistenti nella società vanno poi a perpetrarsi di generazione in generazione. È quello che viene definito il circolo vizioso della povertà educativa.
Sottoscrivendo l’Agenda 2030 l’Italia si è impegnata tra gli altri a raggiungere l’obiettivo di “Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”. Se sull’inclusività e sull’accesso, almeno all’istruzione obbligatoria, possiamo dirci abbastanza avanti, molto si può invece parlare di qualità ed efficacia dell’offerta formativa. C’è ancora, ad esempio, un rilevante tasso di abbandono scolastico.
L’Unione Europea e ci dà come obiettivo quello di arrivare entro il 2020 al di sotto, a livello continentale, del 10% di abbandoni.
Da questo punto di vista nell’ultimo decennio il nostro paese è migliorarlo, però dobbiamo costatare due cose negative. La prima è che a livello europeo restiamo ai vertici per abbandono scolastico, siamo tra i primi 4-5 paesi; la seconda cosa è che mentre nei dieci anni precedenti il tasso di riduzione dell’abbandono è stato costante, partivamo da livelli di abbandono al di sopra del 20% nel 2004 e siamo arrivati nel 2016 al 14%, ma sostanzialmente da allora questa riduzione si è interrotta e anzi sembra dagli ultimi dati usciti e aggiornati da Istat nelle settimane scorse che questo dato sia in risalita; attualmente siamo al 14,5% di abbandono che è quindi un tema ancora da presidiare.
All’interno del 14,5% di abbandono scolastico ci sono delle differenze all’interno della penisola o è un dato omogeneo?
Anche questa è una cosa su cui fare molta attenzione perché le medie raccontano fino a un certo punto il fenomeno.
Parlando di abbandono, ma anche si altri dati relativi alla povertà educativa, un dato che emerge subito è relativo alla localizzazione territoriale.
Sono soprattutto le regioni del Mezzogiorno quelle più in difficoltà da questo punto di vista: le due isole Sicilia e Sardegna sono ampiamente al di sopra del 20% di abbandoni, la Sardegna al 23%, la Sicilia al 22%, la Calabria è al 20,3%, Campania subito sotto quarta al 18,5%, Puglia al 17,5%.
Quando commettiamo un dato medio poi dobbiamo essere in grado di scorporarlo sul livello locale e questa è una cosa che non sempre purtroppo è possibile; l’attività del nostro osservatorio è proprio volta anche ad aprire dati che sono medie, su un livello più locale.
Anche in chi consegue un diploma, le competenze alfabetiche e numeriche acquisite in diversi casi risultano insufficienti.
Questo è un altro tema perché l’abbandono scolastico racconta solo una parte di quella che è la dispersione educativa e i livelli di apprendimento.
Se guardiamo i livelli di apprendimento vediamo che sono sono ancora le regioni citate in precedenza quelle più in difficoltà e indietro sia sulle competenze alfabetiche che sulle competenze numeriche.
Alcune realtà del paese, nel Mezzogiorno ma non solo, hanno più difficoltà a livello economico e, se ci aggiungiamo che sono proprio queste realtà a restare indietro anche da un punto di vista educativo, questo significa che i divari già esistenti sono purtroppo destinati a rimanere come stanno oppure addirittura ad aggravarsi ed è un ulteriore motivo per considerare preoccupanti questi dati e monitorare la situazione.
Quanto questa situazione è responsabilità diciamo del contesto sociale in cui i ragazzi crescono e del sistema educativo che non riesce a mettere in condizione tutti i ragazzi di arrivare ad un livello di conoscenze accettabili?
Le cose vanno viste senza dubbio nell’insieme.
Si parla di comunità educante proprio perché la scuola non è solo l’unico agente formativo: è un agente formativo fondamentale, ma tutto il contesto sociale ed economico in cui si trovano i ragazzi che poi ha un’influenza su quelli che sono i percorsi di vita.
Bisogna quindi considerare tutto insieme, ma questo non elude l’esigenza per il nostro paese di investire sempre di più sull’educazione a tutti i livelli, dall’asilo nido fino all’università, perché solo con un investimento forte in educazione si possono ridurre gli squilibri e i divari attualmente esistenti.