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Economia Ecosistema Interviste

Quanto è ecologica la nuova politica agricola dell’UE?

Le sigle dell’agricoltura bio e dell’ambientalismo italiane criticano la nuova Politica Agricola Comune approvata dall’Europarlamento per il 2023.

Il 23 novembre il Parlamento Europeo ha approvato la nuova PAC, la Politica Agricola Comune: il pacchetto di provvedimenti che indirizza i finanziamenti, gli incentivi e le politiche di produzione agricola dell’Unione Europea per il prossimo futuro. I provvedimenti della nuova PAC, se approvati dal Consiglio dell’UE, entreranno in vigore tra circa un anno, il 1° gennaio 2023. Contro questo piano però si sono alzate le voci di diverse associazioni, tra cui la coalizione italiana “Cambiamo Agricoltura”, che riunisce soggetti storici del settore e dell’ambientalismo come FederBio, Slow Food Italia, Associazione Italiana Agricoltura Biologica, LIPU, Legambiente, WWF ed altri.

In concreto, l’Europarlamento con la nuova PAC ha deciso tra le altre cose che gli agricoltori “devono conformarsi a pratiche rispettose del clima e dell’ambiente”. Sul piano finanziario i paesi membri dovranno destinare a misure ambientali e climatiche almeno il 35% del bilancio per l’agricoltura e il 25% dei pagamenti diretti agli agricoltori. Sono stati decisi anche aumenti dei controlli sulle norme del lavoro e sulle infrazioni. Infine il Parlamento ha stabilito che, di tutti i finanziamenti previsti dalla PAC, il 10% vada alle piccole e medie imprese agricole, e il 3% ai giovani agricoltori.

Nei paesi dell’Unione Europea sono sfruttati per la produzione agricola e alimentare circa 150 milioni di ettari di territorio. Di questi, 13 milioni, meno del 10%, sono gestiti secondo criteri biologici. Il settore dà lavoro a più di 9 milioni di persone: di cui circa il 70% uomini, e il restante 30% donne. I giovani imprenditori agricoli sotto i 40 anni sono soltanto l’11%. Poi ci sono altri 4 milioni di lavoratori circa, impiegati nella produzione alimentare. Il settore ovviamente è cruciale: oltre a fornire cibo e lavoro ai cittadini, nel 2020 l’agricoltura e la produzione alimentare hanno aggiunto ai bilanci europei circa 180 miliardi, contribuendo per l’1,3% al PIL dell’UE. L’Italia, con quasi un milione di lavoratori, è il terzo paese dell’UE per occupati nell’agricoltura dopo Romania e Polonia; e il quarto per occupati nella produzione alimentare: circa mezzo milione.

Federica Luoni – LIPU

Nel criticare la nuova Politica Agricola Comune, le associazioni riunite nel coordinamento “Cambiamo Agricoltura” hanno affermato che il piano contrasta con il Green New Deal: il grande patto generazionale stretto dai paesi dell’UE per rilanciare l’economia, effettuare la transizione verso la sostenibilità e combattere il cambiamento climatico. Nelle intenzioni, il Green New Deal dovrebbe fare dell’Europa il primo continente ad impatto zero sull’ambiente. Tra gli obiettivi ci sono: la riduzione delle emissioni di gas serra del 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030; e l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050. Per l’agricoltura, nello specifico, il Green New Deal promette tra le altre cose di “ridurre l’impronta ambientale e climatica del sistema alimentare dell’UE”.

Per approfondire le critiche alla PAC, abbiamo intervistato Federica Luoni, referente dell’Area Conservazione della LIPU e del coordinamento “Cambiamo Agricoltura”.

Di seguito la versione integrale dell’intervista trasmessa nella rubrica Ecosistema di Earth Day Italia, nel programma “Il Mondo alla Radio” di Radio Vaticana Italia.

Quali sono le principali critiche all’accordo sulla PAC?

Manca ancora una vera e propria ambizione ambientale. Manca ad esempio un budget sufficiente, dedicato a tutte le azioni per l’ambiente e per il clima. Nel primo bilancio, quello per gli aiuti diretti agli agricoltori, è dedicato il 25% del budget; mentre secondo tutte le associazioni europee, comprese quelle del coordinamento “Cambiamo Agricoltura”, a questo grande tema doveva essere dedicato almeno il 50% dei fondi.
Inoltre, gli impegni obbligatori a cui devono essere sottoposti gli agricoltori (si chiama “condizionalità”) presentano percentuali molto basse di spazi (agricoli, nda.) obbligatoriamente dedicati la natura. Tutti gli scienziati, ed anche le strategie europee, dicono che occorre dedicare alla natura il 10% degli spazi, ma la nuova PAC obbliga solo per il 4% e solo nei seminativi; quindi quest’obbligo non c’è, ad esempio, per tutte le colture permanenti come i frutteti o la viticoltura.

Quali sono gli spazi dedicati alla natura nell’agricoltura?

Sono gli elementi del paesaggio tradizionale che siamo abituati a immaginare nella campagna: siepi, filari, piccole zone. fasce fiorite, prati ed anche, nel paesaggio mediterraneo, i classici muretti a secco. Elementi che scompaiono nelle grandi estensioni dell’agricoltura intensiva, per far posto alle monocolture.

Quali caratteristiche dell’agricoltura industriale danneggiano l’ambiente? E come lo danneggiano? Danneggiano più i suoli, il paesaggio, gli animali? Come interagisce l’agricoltura industriale con l’ambiente?

L’agricoltura intensiva, industriale, il modello nato con la cosiddetta “rivoluzione verde” (dagli anni ’40 in poi, nda.), danneggia in molti modi il nostro ambiente. Ad iniziare dallo sfruttamento dei suoli, che vengono impoveriti e perdono sostanze organiche e biodiversità, con la meccanizzazione spinta, ma anche con l’uso di pesticidi e fertilizzanti di sintesi. Inoltre le vaste estensioni hanno fatto letteralmente scomparire siepi, filari, piccole zone umide che sono l’habitat per la biodiversità, ma sono anche, insieme al suolo, il luogo in cui il carbonio viene immagazzinato. Quindi l’agricoltura, invece di essere un fattore di assorbimento del carbonio, è una fonte emissiva. Anche l’allevamento intensivo è una fonte emissiva; e inoltre una grande parte del territorio è dedicata alla produzione di cibo per gli animali e non direttamente per noi. In aggiunta, oltre ai danni al nostro paese, l’importazione di mangimi per bovini e suini influisce negativamente anche sulle foreste pluviali, a causa della deforestazione necessaria a produrre mangimi per l’alimentazione animale.

Qual è la visione del collettivo di associazioni “Cambiamo Agricoltura”? Come apparirebbero l’agricoltura italiana ed europea se questo settore diventasse pienamente ecologico?

La coalizione “Cambiamo Agricoltura”, rappresentata da oltre ottanta sigle e coordinata da quattordici sigle nazionali, vede la necessità di una cosiddetta transizione agro-ecologica: ossia riportare un equilibrio tra produzione alimentare e ambiente. Quindi: tornare a un’attenzione al suolo; a una drastica diminuzione o all’eliminazione di fertilizzanti e pesticidi di sintesi, attraverso la promozione dell’agricoltura biologica che al momento è la parte più avanzata della nostra agricoltura, dal punto di vista ecologico. Ma anche fare in modo che gli agricoltori dedichino spazi alla natura, e riportino i filari nelle nostre campagne. Infine, non ultimo, modificare l’allevamento intensivo per tornare a quello più estensivo: ridurre la quantità di animali allevati in Italia con meno capi al pascolo; anche per una questione di benessere animale. Quindi: rimettere il benessere animale al centro dell’allevamento. Ci sono poi soluzioni magari meno conosciute e scontate, come la diversificazione del tipo di sementi usate: non far calare la conoscenza soltanto dall’alto, ma fare in modo si torni a una partecipazione degli agricoltori alla conoscenza e alla formazione, quindi ricreare un circolo virtuoso e un equilibrio tra l’agricoltura e l’ambiente.

Trasformare in biologica tutta l’agricoltura italiana ed europea, o grandi percentuali di essa, sarebbe veramente fattibile? L’agricoltura industriale in fondo ci ha garantito sviluppo, benessere e salute, e poi garantisce maggiori volumi di produzione, di vendite, di esportazioni, di lavoro, e anche più disponibilità di cibo? Non perderemmo troppo?

Dobbiamo sfatare il mito che abbiamo sempre bisogno di aumentare la produzione. Da una parte produciamo in eccesso, sia a livello mondiale sia a livello nazionale, rispetto al numero di persone, ma sprechiamo molto del cibo prodotto. Quindi uno dei fattori è sicuramente arrivare a sprecare meno cibo. Dall’altra dobbiamo immaginare che le innovazioni e la ricerca sul biologico stanno portando a un aumento delle produzioni, rispettando però la salute dell’ambiente e dell’uomo, perché il massiccio utilizzo di pesticidi e fertilizzanti fa danni all’ambiente e alla nostra salute. L’altro fattore determinante è il cambiamento delle nostre diete. Per poter garantire una minore produzione e diete più sane è importante tornare a una dieta meno ricca di prodotti animali e più ricca di prodotti vegetali; senza per questo pensare al solo vegetarianesimo, ma a una ridistribuzione alimentare in linea con la famosa dieta mediterranea. Gli studi scientifici dimostrano che, convertendo l’agricoltura con un modello che vada incontro al biologico e alla tecnologia, è possibile sfamare tutta la popolazione europea.

Voi condividete anche le critiche fatte da FederBio e AIAB (Ass. Italiana Agricoltura Biologica) al Piano Strategico Nazionale Italiano sulla PAC. Quali sono i punti critici?

Condividiamo le critiche presentate da FederBio e AIAB, che fanno parte della coalizione “Cambiamo Agricoltura”, perché in questo piano strategico della PAC non vediamo un vero cambiamento di visione verso un modello agro-ecologico, ma ancora una protezione al modello attuale. Uno dei principali modelli [virtuosi] è l’agricoltura biologica, ma in questo piano nazionale al biologico non viene data abbastanza attenzione: non viene dato un budget sufficiente; non vengono ancora dedicati degli interventi, sia sui pagamenti diretti agli agricoltori sia sullo sviluppo rurale. Interventi che possono davvero portare a quel 30% di agricoltura biologica entro il 2030 che il nostro paese può aggiungere e a cui può aspirare, e che sarebbe un vero passo verso il cambiamento radicale del modello.

Il fatto che secondo voi l’accordo tra gli europarlamentari contrasti con il Green New Deal, voluto dalla Commissione Europea, sembrerebbe voler dire che l’organo più rappresentativo dei cittadini dell’Unione, l’Europarlamento, sia in conflitto con quello più governativo. Possibile che la Commissione sia più ecologista del Parlamento?

È vero, sembrerebbe che l’Unione Europea vada a due velocità: quella dei princìpi, molto avanti, e quella legislativa che invece è ancora molto ancorata allo status quo. Questo perché la Commissione, sebbene eletta dal Parlamento, in qualche modo risponde meno agli interessi di parte, e quindi ha una visione sicuramente più a lungo termine. In alcune altre situazioni il Parlamento Europeo si è espresso a favore del Green New Deal, e le sue raccomandazioni alle strategie in realtà spingono la Commissione a fare qualcosa di più. Quando però poi si scende nel concreto, sulle singole leggi, ecco che alcuni parlamentari rispondono ancora agli interessi di alcune parti economiche, che sicuramente sono più forti di quelle [che tengono] al benessere e alla collettività dei cittadini.

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