Stefano Laporta, presidente dell’ISPRA, illustra il Progetto PNRR MER: 400 milioni di euro per mappare, proteggere e ricostruire i fondali marini dei mari italiani.
L’Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale di recente ha presentato il Progetto MER – Marine Ecosystem Restoration che verrò finanziato con 400 milioni di euro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Si tratta di una serie di interventi e azioni per la salvaguardia ed il recupero di ecosistemi marini delle coste e dei mari italiani che, fino al 2026, vedranno l’ISPRA come “soggetto attuatore” per conto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.
Tra gli interventi previsti ci sono il ripristino delle praterie di posidonia oceanica danneggiate dalle attività umane in 15 aree marine; i letti ad ostriche nell’Adriatico, il coralligeno e le foreste di alghe cystoseira; e la mappatura delle montagne sottomarine localizzate al largo delle coste liguri sarde e del basso Tirreno, oltre che nello Ionio e nell’Adriatico Meridionale. Per avere un’idea, l’area di monitoraggio è grande quanto la Campania. Altrettanto imponente la prevista mappatura di tutte gli habitat costieri italiani, che verrà realizzata con una rete di sensori di superficie, droni subacquei e tecnologie di rilevamento da aerei e da satelliti. L’ISPRA e il MASE hanno inoltre annunciato il varo di una nuova “unità navale oceanografica maggiore” che renderà possibile sondare i fondali profondi fino 4000 metri.
In sede di presentazione ne abbiamo parlato con Stefano Laporta, presidente dell’ISPRA. Di seguito l’audio e la trascrizione integrali.
Che cos’è il Progetto MER?
È un grande progetto che, attraverso il monitoraggio dei fondali e delle coste, intende dare un quadro conoscitivo della situazione dell’ambiente marino, sull’intero territorio nazionale. Si propone anche la sfida ambiziosa di ripristinare habitat e fondali, attraverso tecnologie innovative che ci consentano poi di sviluppare l’economia blu attraverso la sostenibilità.
È affascinante l’idea di ripristinare un fondale marino. Possiamo immaginare una riforestazione a terra, ma come si ripristina un fondale?
Sostanzialmente vengono “sforbiciate” le piantagioni di posidonia esistenti, e si cerca di reimpiantarle nei punti purtroppo danneggiati, soprattutto da interventi umani. Si punta a ripristinare il fondale, così com’era in precedenza, in 10-15 anni; con ciò ottenendo non solo di aumentare la biodiversità, ma anche di ripristinare l’ecosistema marino.
Dieci o quindici anni… ed è anche una storia di successo: abbiamo ascoltato in fase di presentazione che queste operazioni hanno un’alta percentuale di successo; di contro viene da pensare a quanto poco ci voglia a distruggere questi ambienti.
Ci sono interventi dell’uomo che, a volte in maniera inconsapevole, altre volte in maniera assolutamente consapevole e illegale, hanno determinato dei danni gravissimi, per fronteggiare i quali abbiamo dovuto predisporre un progetto assolutamente innovativo che durerà diversi anni. Ci serviva mettere insieme una serie di aspetti, anche tecnici, e il PNRR è stata l’occasione per una sfida molto più ambiziosa delle precedenti, sia per estensione, sia per quantità delle operazioni che faremo.
A questo proposito, un esponente della Marina Militare ha detto che questo è un buon momento per il mare: sia per questi progetti, sia per l’attenzione che l’opinione pubblica e il Governo stanno rivolgendo a questo elemento del nostro ambiente. Lei crede che siamo a una svolta nel rapporto tra gli italiani e il mare?
Credo che il rapporto tra italiani e mare sia sempre stato forte. Come tutti i rapporti ha avuto degli alti e bassi nel corso degli anni; ma questo sicuramente è un momento in cui da parte dei cittadini c’è maggiore consapevolezza sui temi di tutela ambientale: su quanto sia importante la “risorsa mare”, non solo per la parte ambientale in senso stretto, ma anche come volano di sviluppo sostenibile del paese. Noi puntiamo nel coinvolgimento dei cittadini anche attraverso delle campagne di comunicazione. È un punto assolutamente fondamentale; perché non potremmo attuare nessun progetto, se accanto alle istituzioni e agli stakeholder pubblici e privati non ci sarà piena consapevolezza e partecipazione da parte dei nostri concittadini.
L’ultima curiosità è per la “unità navale oceanografica maggiore”: definizione veramente burocratica di qualcosa che, immagino, sarà un fiore all’occhiello dell’ISPRA. Ce la può fare immaginare?
Anche per noi immaginarla completamente non è stato semplice. Sarà un fiore all’occhiello per il paese, non solo per l’ISPRA. L’obiettivo è dotarla delle strumentazioni tecnologiche più avanzate per esplorare fondali marini mai esplorati precedentemente, fino a 4000 metri di profondità; ad esempio per mappare tutti i 66 monti sottomarini che sono stati censiti dei quali, fino ad ora, abbiamo potuto mapparne solo tre. Sarà quindi una nave importante, sicuramente all’altezza della tradizione tecnologica italiana, e pronta ad accompagnarci in questa sfida.
Durante la presentazione del progetto avete fatto un’analogia con l’esplorazione dello spazio: sarete in pratica l’agenzia spaziale subacquea…
Non so se saremo l’agenzia subacquea. So che siamo fortemente impegnati in questa operazione che ci aiuterà a conoscere meglio il nostro mare. Un mare che da sempre fa parte della cultura, della storia, della tradizione e della vita di ciascuno di noi.