Ecosistema

Salvare le api: si può fare sul balcone!

Il crollo globale delle api mette in pericolo le fonti di cibo dell’umanità. Una delle soluzioni è talmente semplice che chiunque può contribuire al salvataggio della specie: piantare fiori sul balcone o in giardino, e “invitare” le api superstiti nel “bee hotel”.

“Il declino globale della popolazione di api rappresenta una minaccia grave”. Non sono parole di un estremista ambientalista ma il messaggio del Direttore Generale della FAO José Graziano da Silva per la recente Giornata Mondiale delle Api. “La mancanza delle api e di altri impollinatori – ha ricordato Da Silva – farebbe sparire il caffè, le mele, le mandorle, i pomodori e il cacao dalle nostre tavole”.
Infatti il 35% delle piante coltivate dall’uomo a scopo alimentare, e l’80% di quelle che fanno fiori, assorbendo l’anidride carbonica e rilasciando ossigeno, dipendono per l’impollinazione da api e altri animali. Le api sono le principali protagoniste di questo servizio ma, in questo momento storico, il loro numero sta crollando su scala mondiale, a causa di cambiamenti climatici, agricoltura intensiva, pesticidi, perdita di biodiversità e inquinamento.
La buona notizia è che ognuno di noi può partecipare al salvataggio di questi insetti tanto importanti, semplicemente piantando fiori in balcone e in giardino, o installando un bee hotel per dar loro rifugio anche in città. “Ecosistema”, il programma radiofonico di EarthDay.it trasmesso ogni martedì da Radio Vaticana Italia, ha intervistato Francesco Imperi, biologo e apicoltore dell’associazione Buono, che fa ricerca, educazione ambientale e produzione di miele biologico nei dintorni di Roma.

Siamo nell’Oasi di Castel di Guido, gestita dalla LIPU nella campagna romana, in una giornata dedicata alla Festa Internazionale dell’Ape. Sono con Francesco Imperi, dell’associazione Buono che si occupa di apicoltura biologica e che qui ha delle arnie per la produzione di miele biologico.

Noi abbiamo due apiari. Uno in particolare si trova nell’Oasi di Castel di Guido all’interno della quale ci occupiamo di educazione ambientale, di fare ricerca e anche di una produzione sostenibile.

Che genere di miele si fa qui e a Manziana. Che tipo di miele finisce nei barattoli?

L’apiario di Manziana si trova in posto simile a questa oasi protetta che è una ZPS, Zona di Protezione Speciale. Proprio per la loro struttura, e per nostra vocazione, non abbiamo possibilità di andare a incidere sul territorio, soprattutto dal punto di vista vegetale e floreale. Di conseguenza produciamo tutti mieli di millefiori. Questo qui dell’oasi dove ci troviamo, più vicino al mare, viene definito “millefiori di macchia”, mentre quello di Manziana, più collinare e vicino al bosco, “millefiori di melata”.

Di quale dimensione di produzione stiamo parlando? Quante arnie? Questo come vi pone nel panorama della produzione di miele nazionale?

Adesso siamo arrivati ad avere all’incirca di 70 arnie. In realtà è un numero in realtà “volubile”, perché dipende anche dalle api: se sciamano o se non sciamano (la sciamatura è l’esodo periodico di parte delle api di un alveare che segue la vecchia regina per andare a fondare una nuova colonia, nda.). L’ape, in particolare, viene definita un animale semi selvatico; quindi è un allevamento molto particolare. Nel panorama delle aziende apistiche siamo un’azienda medio-piccola. Un’azienda apistica a pieno regime può ottenere 200-250 arnie da gestire, con tutti i prodotti che ne derivano. Noi non puntiamo alla produzione massiva, proprio per rispetto dell’ambiente. Vorremmo ottenere dei numeri non eccessivamente alti e, attraverso queste arnie, riuscire a fare molta ricerca e molta educazione ambientale.

In questo periodo abbiamo raccolto allarmi di diverse fonti: sia istituzionali come la FAO, sia di Coldiretti, un’associazione che rappresenta un settore economico, con apicoltori anche di grandi dimensioni. Perciò l’allarme sul crollo delle api è nei numeri ed universalmente riconosciuto. Subite anche voi questo fenomeno epocale? In che misura?

Paradossalmente si sommano due problemi. Da un po’ di tempo c’è quella che viene definita “Sindrome di spopolamento dell’alveare”: le famiglie di api all’interno delle cassette spariscono, scappano. Questo è dovuto principalmente a un parassita: la Varroa destructor, importata da altri paesi a causa si scambi di api, e che l’ape mellifera, in particolare quella italiana, non è ancora in grado di combattere; quindi tende a scappare. Per fortuna, finalmente, anche a livello istituzionale si inizia a capire questo problema. Chiaramente il climate change non ci da una mano: abbiamo passato un marzo piovoso, che va benissimo per le fonti idriche, ma non per una vegetazione floreale che adesso dovrebbe essere nel pieno e invece non c’è. Ciò crea molti problemi alle api, perché le famiglie sono deboli e di conseguenza tendono a scappare per trovare un posto migliore, o proprio non riescono a superare questo periodo. Noi l’abbiamo subìto, e paradossalmente l’abbiamo sentito molto più nell’area collinare di Manziana rispetto a questa dell’oasi dove, essendo per fortuna un ambiente incontaminato, le famiglie riescono a superare l’inverno. A Manziana però abbiamo perso un buon numero di famiglie.

Questo è un problema solo per la produzione? Il rischio è semplicemente quello di saltare un’annata di miele, come può succedere per il vino?

Se parliamo di un apicoltore dico di sì. Però le api che a noi servono, anche per una buona della conservazione della natura, sono quelle selvatiche: se quelle “gestite” subiscono un decremento, quelle selvatiche lo subiscono ancora di più, perché non sono gestite da nessuno e sono esposte alle intemperie alla mercé di tutto ciò che può succedere. Quindi in realtà il rischio è molto pesante per il mantenimento dell’equilibrio ecosistemico: le api (non solo loro ma principalmente) attuano quel processo che prende il nome di impollinazione che, producendo nuove piante, crea più ossigeno e via dicendo. Di conseguenza una sempre minore presenza di questi insetti crea un problema: senza impollinazione non ci sono nuovi semi e, a livello produttivo, la diminuzione di piante da frutto e ortaggi incide su di noi. Si è stimato che se le api sparissero la perdita di cibo sarebbe del 76% per cento, con un costo di circa 151 miliardi; e a livello naturale meno semi vuol dire meno piante, e quindi più desertificazione.

Veniamo alle soluzioni che si possono mettere in atto. Ovviamente questo è un problema nazionale e sovranazionale, addirittura mondiale, però ci sono anche delle cose che possiamo fare noi cittadini normali.

Il primo passo è un consumo critico. Ossia quando vado a comprare il miele devo chiedermi: dove, come e quando? Sembra la solita frase fatta, ma il livello di una gestione biologica e sostenibile è maggiore e si sente molto più su una specie come l’ape, che sulla verdure. Un apicoltore che pratica una gestione sostenibile, dà alla specie sicuramente molte più possibilità di perdurare nel tempo; la conserva meglio. Al contrario di chi invece prende tutto e subito: “ottengo 40 tonnellate di miele ma ho fatto fuori 500 famiglie”. Da parte nostra stiamo cercando di sensibilizzare molto sul tema, e creare una rete tra gli apicoltori stessi, perché alla fine sono coloro che, in primis, si occupano del problema. Guardiamo un lato positivo, una fortuna: è molto poco, ma l’ultima legge europea (aprile 2018, nda) l’abolizione di cinque neonicotinoidi (pesticidi altamente velenosi) è un buon passo verso la soluzione del problema. Ma è semplicemente un passo, perché comunque con tutti i cambiamenti del clima in atto, non è il semplice agricoltore che può fare qualcosa. Sta alle singole persone. Per come la vedo non è neanche lo Stato: è che faccio io. Io posso incidere.

C’è qualcosa che possiamo fare, anche non essendo apicoltori? Sui nostri balconi?

Con la nostra associazione ci occupiamo di due tipologie di api: quella da miele, con cui produciamo, e un numero maggiore di specie che prendono il nome di “api solitarie”. Sono più efficienti nell’impollinazione delle api da miele perché raccolgono solo il polline (non il nettare, nda.). Un piccolo gesto è mettere un bee hotel, oppure mettere delle piante che noi doniamo, dei “wild flower” che hanno una doppia valenza: fanno bei fiori quindi un bel balcone, e danno nutrimento alle api. In più migliorano il terreno del vaso perché sono delle azoto-fissatrici. Sono piccoli gesti che però potenzialmente sono soluzioni enormi. Il bee hotel è semplicemente una casa per questi insetti. Abbiamo constatato che in un territorio come quello del Comune di Roma vengono occupate entro un anno. Sul balcone non occorre fare altro che installare il bee hotel sul muro, in una zona riparata: è una casetta di legno con delle cannucce all’interno. Poi la natura farà tutto da sola, e si contemplerà la bellezza di queste api che girano sui fiori.

Questa attività può andar bene anche per una scuola, o un’associazione che abbia un giardino?

Assolutamente sì. Molte scuole ci chiedono informazioni. Grazie a queste specie di api possiamo fare anche dei monitoraggi, ad esempio su 50 cannucce occupate. Noi ne prendiamo una, la apriamo, la sezioniamo con i bambini, i ragazzi, o chi ne ha voglia, per vedere i vari stadi di crescita. Alcune api solitarie fanno delle capsule, dei bozzoli, per proteggere la propria larva, che sono pellicole come di bioplastica. Facciamo vedere questo ai bambini, oppure la larva stessa, e nei loro occhi c’è stupore e meraviglia. Lo si può fare anche a casa perché poi il bozzolo si mette in un’altra cannuccia, senza danneggiare l’animale.

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