L'Arabia Saudita è il più esteso paese della penisola araba
L'Arabia Saudita è il più esteso paese della penisola araba
Economia Innovazione

Saudi Vision 2030: le aspirazioni dell’Arabia Saudita

L’Arabia Saudita vuole cambiare le dinamiche economiche e sociali del suo futuro.

La penisola araba è ormai da decenni annoverata come la terra del petrolio: paesi come Qatar, Kuwait, Bahrain e Arabia Saudita, negli ultimi 50 anni si sono arricchiti in modo impressionante: da piccoli paesi con poche migliaia di abitanti e popoli per lo più nomadi in mezzo al deserto saudita a monarchie assolute arroccate in città con milioni di residenti costruite in pochi anni, con grattacieli alti centinaia di metri.

Una visione a lungo termine senza la dipendenza dal petrolio

L’impero finanziario che oggi rappresenta l’Arabia Saudita, costruito attraverso lo sfruttamento dell’oro nero, da qualche anno sta conoscendo una nuova dinamica di sviluppo voluta dal Principe ereditario e primo ministro del Paese dal 2022, Mohammed Bin Salman, figlio del re Salman. Il Principe ormai da anni sta portando avanti un progetto socio-economico avvincente, Saudi Vision 2030, che vuole rendere il Paese non più dipendente dall’economia petrolifera ma un magnete per gli investimenti esteri.

L’obiettivo è quello di diversificare l’economia del paese e staccarsi dalla completa dipendenza degli idrocarburi, su cui oggi si fonda quasi la metà del PIL nazionale e l’80% delle entrate statali. Il piano strategico, presentato la prima volta nel 2016, vuole rappresentare una rottura con il passato, rendendo l’Arabia Saudita una nazione matura, indipendente e motore economico e finanziario del Medio Oriente. Ma soprattutto un luogo di innovazione e hub per gli investimenti da tutto il mondo. Per questo c’è anche la volontà di sviluppare settori di servizio pubblico come quello sanitario, turistico e dell’intrattenimento, oltre che una crescente quota finanziaria dedicata al settore minerario.

Il passaggio all’energia alternativa

Per rendere questo progetto una realtà, il futuro Re saudita ha deciso di trasformare in holding la Aramco, la più grande società nazionalizzata dal paese, prima investitrice del governo saudita e una delle compagnie petrolifere più importanti al mondo, con un fatturato di più di 330 miliardi di dollari l’anno. Dopodiché Riyadh è decisa a puntare sull’energia alternativa, investendo più di 50 miliardi di dollari in alcuni dei più grandi impianti solari ed eolici al mondo, con l’obiettivo di raggiungere l’autosufficienza energetica nazionale e la neutralità climatica entro il 2060. A livello di energia solare l’esempio è la centrale di Sakaka: inaugurata nel 2021, possiede 1 milione e 200mila pannelli solari installati in un’area di 6km quadrati, in grado di alimentare 55.000 abitazioni. Questo impianto ha evitato il rilascio di 530.000 tonnellate di carbonio all’anno dalla sua costruzione. Per quanto riguarda l’eolico, nel 2022 è entrata in funzione la centrale di Dumat Al-Jandal, dotata di 99 turbine eoliche in grado di alimentare 70.000 case.

Il progetto del Regno saudita ha quindi tra le parole chiave la sostenibilità: la volontà è di arrivare al 2030 con il 50% di energia totale consumata proveniente da fonti rinnovabili, un mix energetico che, se raggiunto con questa velocità, potrebbe portare ai traguardi prefissati.

Più spazio alle donne, con qualche contraddizione

Saudi Vision 2030 si pone obiettivi anche in ambito sociale, soprattutto per quanto riguarda il ruolo femminile. Il 35.5% delle donne saudite è presente nel mercato del lavoro, una percentuale raddoppiata dall’inizio di Saudi Vision, con l’obiettivo di raggiungere il 40% entro il 2030. Questo argomento rientra come uno dei perni dell’intero progetto: sviluppare una società vivace e istruita, che gode di una qualità della vita sana, forti legami sociali. Un tema ancora più strategico se si pensa che la popolazione ha un’età media di circa 32 anni su un totale di 36 milioni di persone. Il coinvolgimento delle donne diventa così fondamentale.

La visione “liberale” di Bin Salman, di cui Saudi Vision 2030 è impregnata, riguardo questo tema risulta tuttavia molto contraddittoria: dal 2017 in poi il Principe erede al trono ha promosso una serie di riforme che hanno permesso alle donne di richiedere un passaporto, poter frequentare il cinema, partecipare ad eventi sportivi, utilizzare l’automobile, la possibilità di entrare nelle forze armate. Spiragli che tuttavia rimangono sotto l’egida della Sharia, la legge islamica: le donne rimangono sempre vincolate al wali, un protettore che sia il marito, il padre o un altro componente maschile della famiglia, che in qualche modo ha sempre l’ultima parola su ciò che una donna può o non può fare.

Alcuni studi inoltre dimostrerebbero queste iniziative come operazioni di facciata, volte a ottenere soltanto consenso internazionale. Insomma, passi avanti sono stati fatti e il patto sociale sembra essersi modificato rispetto alla chiusura totale di cui soffrono altri paesi islamici, tuttavia i tentativi di attivismo e riformismo sviluppatisi col tempo sono stati repressi in modo molto autoritario, e la Sharia in quanto tale contiene ancora molte forme di discriminazione verso le donne su temi come il matrimonio, il lavoro, le decisioni verso i figli.

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