Transizione energetica, materie prime, giornalismo d’inchiesta, potenzialità dei libri. Riccardo Iacona racconta l’esperienza della collana “Sotto inchiesta” presentata a Più Libri Più Liberi 2022.
Tra i filoni più interessanti della piccola e media editoria che hanno caratterizzato la recente fiera “Più Libri Più Liberi” di Roma, c’è sicuramente il saggio – inchiesta. In uno degli incontri con gli autori alla Nuvola dell’Eur, abbiamo assistito alla presentazione di “Bit Economy” e “Il Futuro Elettrico”, due pubblicazioni della collana “Sotto inchiesta” dell’editore Dedalo. Il primo titolo, a firma di Andrea Vignali e Raffaele Marco Della Monica, analizza il fenomeno delle criptovalute mettendone in risalto le possibilità, in alternativa alla tradizionale economia “bancaria”, e le controversie legate a speculazioni e zone d’ombra. Altrettanto attuale il secondo volume, di Marcello Brecciaroli e Giuseppe Laganà, il cui sottotitolo presenta bene il tema: “Sfide tecnologiche, costi e speranze della transizione energetica”. La collana, nata da un’idea di Riccardo Iacona, tra i più noti giornalisti d’inchiesta della televisione, autore della trasmissione “Presa Diretta” di Rai Tre, è un interessante soluzione per portare su carta la formula dell’inchiesta giornalistica, sfruttando la possibilità del libro di approfondire e tramandare gli argomenti nel tempo, in un modo che i ritmi televisivi non permettono.
Iacona, lei ha sostenuto che la transizione ecologica è necessaria, ma non dobbiamo essere ciechi perché c’è il rischio che fallisca. In che senso?
Dobbiamo raccogliere le sfide tecnologiche poste dalla transizione energetica. La prima sfida è il reperimento delle materie prime, che serviranno sempre di più per le batterie elettriche, i pannelli solari e così via. Non è una questione banale. L’Europa lo sa benissimo, infatti ha messo in campo un sacco di soldi, e un piano per reperire queste materie prime. Anche perché per ora noi europei non le abbiamo: le hanno i cinesi, la Corea del Sud, vengono estratte in Africa, in Perù ecc. Bisognerà rendersi autonomi da questo punto di vista. La seconda è la sfida della ricerca. Ovvero spingere, stressare, mettendo un sacco di soldi su ricerche che già sono molto promettenti: sull’efficientamento delle batterie elettriche; su come trovare queste materie prime; su come sostituirle; e su come costruire un ecosistema attorno all’auto elettrica. Non dobbiamo cadere nell’errore che abbiamo già fatto con il petrolio e il gas: vogliamo fare la transizione energetica, ma se queste macchine ci costano un’impronta fossile maggiore del buon vecchio diesel abbiamo fallito. E siccome non possiamo fallire – perché quello è il futuro – dobbiamo saper stressare le leadership europee affinché agiscano di conseguenza.
Nel dibattito di presentazione del libro si è parlato anche di riavviare l’attività mineraria italiana, per reperire sul nostro territorio le materie prime. Questo è un tema molto difficile, soprattutto in un paese dal territorio martoriato e molto urbanizzato. Come se ne esce?
Non stiamo parlando di carbone! Intanto dobbiamo sapere che cosa abbiamo: è assurdo che questo paese abbia smesso di indagare scientificamente [il sottosuolo] dal punto di vista minerario. Non sappiamo più niente di ciò che abbiamo sotto i piedi. Ci sono materie prime, ad esempio il litio: l’ultima scoperta è che ce ne sarebbe in abbondanza nelle acque dei laghi. In Germania già lo estraggono: è un ciclo chiuso, assolutamente sostenibile, che riconsegna l’acqua così com’è, senza danni. Dobbiamo comunque affrontare la sfida sulle materie prime, a meno di non consegnare il nostro futuro ai cinesi; poi però non ci lamentiamo che tengono il nostro destino economico nelle loro mani, come succede in tanti altri settori. La Cina, rispetto all’Europa, ha investito per tempo sul futuro della transizione energetica, ed oggi hanno materie prime e know-how per produrre le batterie. Insomma, se vogliamo fare questa rivoluzione verde ne dobbiamo essere protagonisti, anche in termini di posti di lavoro, investimenti tecnologici e industriali.
Come si mette un’inchiesta su carta? In quelle televisive le cose si vedono. Ad esempio durante questo evento si è parlato delle miniere in Mongolia, che non possono essere riprese ma provocano devastazioni dell’ambiente…
Noi le abbiamo viste…
È questa è la chiave? Mettere su carta cose che non si possono riprendere?
Il libro è un’altra cosa. È “meno” e “più” allo stesso tempo. Meno, dal punto di vista emozionale: perché in televisione il reportage accompagna lo spettatore dentro le miniere, gliele fa vivere come se le avesse attraversate. Ma il libro è un “di più” – qualche volta molto di più – perché consente di mettere su carta quel di più che rimane per sempre, e di cristallizzare l’esperienza del viaggio con un ragionamento, con un’intervista lunga, ricostruendo i contesti storici: quello che magari in 15-20 minuti di reportage televisivo non si riesce a fare. Il libro è ancora importante perché costringe, chi lo scrive innanzitutto e poi il lettore, a un’esperienza emozionale che non trova da nessun’altra parte; non in televisione, non sui social. L’esperienza di aprire libro, nel silenzio, e cominciare a leggere; per questo va difeso. Appena possibile, nelle mie trasmissioni cito autori e libri: non faccio altro che campagne per le case editrici.
Di solito il giornalista d’inchiesta è specializzato sulla una passione, su ciò che ha fatto per tutta la carriera: il giornalista sportivo fa l’inchiesta sportiva; quello politico fa l’inchiesta politica… lei invece trasmette un’inchiesta finanziaria e, dopo una pubblicità, ne lancia una sul cibo. Quali sono i temi che la appassionano, che sono entrati a far parte del suo essere? E quali sono le sue preoccupazioni maggiori per il futuro?
Tutti i temi che hanno a che fare con il nostro futuro. Tutti quelli su cui possiamo agire come protagonisti politici, e non solo come spettatori o clienti. Tutte le storie che hanno una densità politica: dove bisogna fare una scelta. Che cosa vogliamo per il futuro del nostro paese, del nostro continente, della nostra Europa? Questa scelta ancora c’è, e bisogna saperla raccontare. Non è vero che sono tutti uguali.