Intervista a Dario Fabbri, esperto di geopolitica e direttore della rivista Domino.
Durate l’ultima edizione di Più Libri Più Liberi, Enrico Mentana e Dario Fabbri hanno dialogato in pubblico sul tema “Domino, e il mondo che cambia”. I due, rispettivamente editore e direttore della rivista di analisi geopolitica “Domino” hanno raccontato la genesi di un genere di pubblicazione che fino a poco tempo fa interessava una nicchia di lettori, ma oggi risponde all’interesse di un pubblico più ampio, anche grazie alla voglia di capire le dinamiche geopolitiche che hanno portato alla guerra in Ucraina. Di questa nuova frontiera della “cronaca”, delle difficoltà di allargare al grande pubblico il racconto di questi temi, e dell’importanza delle politiche ambientali nelle strategie delle grandi potenze, abbiamo parlato con Dario Fabbri a margine dell’evento.
La geopolitica oggi trova molto spazio in tv per le contingenze della guerra in Ucraina; ed in generale ha avuto successo negli ultimi anni anche online, in particolare su Youtube. Ha lo stesso spazio su giornali e riviste?
Se per “giornali” intendi il quotidiano tradizionale: mediamente, no. Neanche nei TG tradizionali si tratta di geopolitica, anche quando si pensa di farlo: la si scambia per gli “esteri”. Invece sono questioni molto diverse, perché sono diversi l’approccio e il taglio. Di solito, soltanto le riviste specializzate come Domino si occupano di geopolitica con il taglio che intendiamo noi.
E i nuovi media? Le sembrano più adatti allo scopo? Le piattaforme video, tutto lo spazio che il web “regala” per approfondire; cosa che non si fare con i tempi televisivi o con lo spazio disponibile sulle colonne di un giornale.
Probabilmente si. In alcuni casi i nuovi media sono adatti agli approfondimenti. Ad esempio il podcast, di cui si può fruire facendo altro, con una ricezione passiva. Però credo che il vero l’approfondimento richieda del tempo, e un atteggiamento più attivo. Leggere, informarsi, è qualcosa di più complesso di un podcast o un video su Youtube.
Nel dialogo con Mentana avete parlato dell’interesse dimostrato dal pubblico la geopolitica durante questa contingenza della guerra in Ucraina. Secondo lei si ripeterebbe lo stesso interesse se i media proponessero gli stessi temi per altre zone del mondo, come l’Africa o l’Asia?
Noi ce ne occupiamo. Nel prossimo numero di Domino abbiamo un’intera sezione dedicata alla nuova corsa all’Africa che stanno realizzando le potenze. Chiaramente è un tasto dolente: c’è un interesse molto esiguo per i luoghi considerati più esotici. C’è da dire che le persone hanno anche necessità di condurre la loro vita: non possono occuparsi di tutto, nello stesso momento. Il gioco è spiegare loro perché sia importante. Ed è l’impresa più complicata.
Altri argomenti di cui è necessario spiegare l’importanza sono l’ambiente e la sostenibilità. Temi anch’essi “nascosti” dai media…
Beh, adesso, rispetto a dieci anni fa, c’è molta più attenzione. Non condividi?
Diciamo che soffre dello stesso problema della geopolitica: l’ambiente è trattato molto superficialmente, e non con i veri esperti. Parlando di studi strategici-geopolitici, quanta parte la vostra redazione dedica a problemi come l’ambiente e sostenibilità (a parte i grandi temi dell’energia e della guerra) come le migrazioni o la biodiversità?
L’approccio geopolitico non considera mai una questione universale in quanto tale. Certamente la questione ambientale riguarda tutti gli esseri umani. Noi ci concentriamo su come viene declinata in ambiti culturali di interesse differenti. Questo è il nostro campo di studio; non la questione ambientale in quanto tale. Non siamo né politici, né ingegneri, né esperti della materia. Il nostro compito, ad esempio, è riferire che idea hanno i russi del riscaldamento globale. Idea che spesso è molto diversa dalla nostra, nonostante ci raccontiamo che sia identica per tutti. Il problema è uguale per tutti, ma la ricetta, la soluzione, è molto diversa. Spesso le potenze hanno utilizzato la questione ambientale per colpirsi a vicenda, più che perseguire un miglioramento. Prendiamo le COP: gli accordi non prevedono nessuna penalità per chi non rispetta gli obiettivi prefissati. Obiettivi che spesso non vengono e non verranno rispettati; sono più che altro professioni di intenti. Per una certa fase gli americani hanno utilizzato la questione ambientale per colpire la produzione industriale cinese, con la scusa dell’inquinamento, non realizzando loro stessi grandi miglioramenti, almeno fino a pochissimi anni fa.
Quindi la dialettica politica su questi temi è “tattica” e non “strategia”, per usare una distinzione di termini a lei cara?
Esattamente. Il lungo periodo, il bene finale, spesso non viene preso in considerazione. È più considerato l’elemento contingente, tattico, di colpirsi a vicenda, o di smarcarsi dalla situazione promettendo grandi traguardi, tanto poi ne risponderanno i nipoti.