Chiara Grasso spiega che cosa c’è dietro selfie, passeggiate, abbracci e carezze agli animali selvatici, promessi da falsi esperti e falsi santuari naturali. Il turismo sostenibile con animali non mira al guadagno ma al recupero, alla conservazione e alla ricerca.
“Avremmo bisogno di un diverso concetto degli animali, più saggio e forse più poetico… Trattiamo con condiscendenza la loro incompletezza e il tragico destino di avere assunto una forma assai inferiore alla nostra, e in questo sbagliamo: non possiamo misurare gli animali con il nostro stesso metro […] Gli animali non sono nostri fratelli né subalterni; sono popoli altri, coinvolti come noi nella trama della vita e del tempo, compagni di prigionia dello splendido e faticoso travaglio della terra.”
– Henry Beston (1888 – 1968), naturalista e scrittore.
Cercando su internet “selfie con animali selvatici” si apre una galleria infinita di persone ritratte accanto a leoni, gorilla, canguri; o a cavallo di tartarughe marine, tigri, elefanti; persino in acqua con uno squalo che guarda nell’obiettivo. Gli umani sono sempre sorridenti, e anche gli animali sembrano partecipare divertiti, ma è davvero così? Che cosa c’è dietro quelle foto?
Il web, i siti di viaggio e i social sono ricchi di annunci per invitare a visitare o a pagarsi settimane di volontariato nei “santuari degli animali” in paesi esotici e altri continenti: soprattutto in Africa ed estremo oriente. Ma sotto forma di zoo privati, rifugi, per non parlare di delfinari ed oceanari, le strutture che permettono a chiunque di avvicinare animali selvatici sono diffuse anche in occidente, soprattutto in nord America.
In molti, troppi, casi le pubblicità o il tam tam dei social promettono di passeggiare con lupi e ghepardi, fare il bagno con gli elefanti e nuotare con i delfini; tenere in braccio koala, bradipi e scimmie; allattare i cuccioli di tigri e leoni; e di contribuire con queste “esperienze” a salvare le specie dall’estinzione e gli habitat dalla distruzione.
Purtroppo non sempre è così: in molti casi si tratta di “falsi santuari”, dove gli animali sono allevati soltanto allo scopo di farli interagire con i turisti o, peggio, vengono sottratti al loro contesto naturale e ai genitori, per farli abituare all’uomo e “dipendere” da noi per l’allattamento, la cura ed anche le “coccole”. A volte, come nel caso degli uccelli, gli animali vengono anche mutilati per evitare la fuga e facilitare abbracci, carezze, o per poterli tenere sul braccio come nel caso dei rapaci o dei pappagalli.
Il panorama è molto vasto e coinvolge anche realtà più familiari alle nostre latitudini: anche zoo, circhi, esibizioni di falconeria, acquari e riserve naturali, permettono di vedere e avvicinare animali selvatici. Come si può distinguere tra un’attività etica, creata per salvaguardare queste specie e la loro naturale evoluzione, ed una invece contraria al benessere delle specie stesse e dei singoli individui?
Abbiamo interpellato sulla questione del turismo etico con animali Chiara Grasso, etologa e presidente dell’associazione EticoScienza, dal cui sito abbiamo tratto qualche consiglio.
Un elemento che dovrebbe metterci sempre in sospetto è la “promessa” dell’interazione diretta con gli animali: alimentarli, coccolarli, accarezzarli, lavarli, anche accostarsi a loro sono compiti delicati che i volontari, i veterinari e i naturalisti svolgono con mille accortezze, e solo se veramente necessario. Prometterli a chiunque su un dépliant o in un pacchetto vacanza è un chiaro indizio di qualcosa che non va. Le strutture “etiche” sono quelle che custodiscono gli animali al solo scopo di recuperarli da traffici illeciti, curarli o riabilitarli, e possibilmente reimmetterli liberi in natura. Per altre realtà invece gli animali sono soltanto fonti di guadagno ed il risultato economico è chiaramente prioritario rispetto al benessere delle “risorse”. In alcuni casi anche il volontariato “pagante” in centri di cura degli animali è una legittima e corretta fonte di autofinanziamento; ma chiedere prezzi relativamente alti a ragazze e ragazzi per passare una “vacanza” di volontariato con gli animali, soprattutto in luoghi esotici noti per essere mete turistiche, deve mettere in all’erta.
Ci sono associazioni ed enti che garantiscono le finalità di queste strutture. Ad esempio l’EAZA, l’Associazione Europea degli Zoo e degli Acquari, riunisce quelle il cui scopo principale non è fare spettacolo o incassare biglietti, ma educare il pubblico, conservare le specie in pericolo e fare ricerca con progetti scientifici. Tra gli esempi virtuosi in Italia ci sono il Bioparco di Roma e il Parco Natura Viva di Verona. Chi è interessato a visitare parchi, riserve e santuari dovrebbe sempre accertarsi che il personale che gestisce gli animali comprenda etologi, naturalisti e comunque persone preparate e collegate a enti di tutela e istituzioni scientifiche. Infine bisogna diffidare da strutture che mettono “sempre” in mostra animali giovani o appena nati, perché un vero santuario non alleva regolarmente gli animali; e i progetti seri di reintroduzione, che possono appunto prevedere l’accoppiamento in cattività, sono molto rari.
Versione integrale dell’intervista a Chiara Grasso, etologa, ricercatrice nell’ambito del “turismo sostenibile con animali”, presidente dell’associazione Eticoscienza, trasmessa da Radio Vaticana Italia nel programma “Il Mondo alla Radio” del 4 marzo 2021.
Che cos’è un falso santuario? Come si fa pubblicità? Come attira clienti?
Un falso santuario è una struttura che si spaccia per centro di recupero, per struttura che recupera e salva gli animali; ma in realtà non solo non li salva e non li recupera, ma in alcuni casi, per esempio in Africa, questi animali vengono allevati proprio per diventare in qualche modo “mascotte” dei turisti. Il marketing che viene fatto è tutto inerente al far sentire i volontari e i turisti partecipi e “fondamentali” per il recupero di questi animali. Viene detto: “salva l’animale recuperato”, “vieni anche tu a salvare gli animali orfani o vittime del bracconaggio”, quando in realtà non è così, ma gli animali vengono allevati. Uno dei modi per rendersi conto se un santuario è vero o falso è che in quest’ultimo ai turisti e ai volontari viene permessa l’interazione con gli animali selvatici. In un vero centro di recupero, come quelli che abbiamo in Italia, al contrario l’interazione con l’essere umano è proibita, proprio per favorire il più possibile il recupero dell’animale, e quindi eventualmente la liberazione.
Che intende per “interazione”? Che cosa promettono di poter fare con gli animali?
Per esempio, in Africa è molto frequente che i leoncini vengano strappati alle mamme, spacciati per orfani recuperati, e poi vengano fatti coccolare, allattare, sbaciucchiare dai turisti e dai volontari. La stessa cosa può avvenire con pappagalli, delfini, scimmiette, tigri, e con gli elefanti in Thailandia. Insomma tutte forme di interazione che non sono per forza negative (per la percezione comune, nda.): l’elefante non dev’essere per forza cavalcato; anche la coccola, l’abbraccio, la carezza sulla proboscide, l’alimentazione (da parte dei visitatori, nda.) sono interazioni che ai nostri occhi sembrano attività piene d’amore e di cura, ma purtroppo per l’animale, essendo selvatico, sono una forma di abuso e di interazione innaturale con l’essere umano.
In quali aree geografiche sono più diffusi questi falsi santuari? Ce ne sono anche in Europa e in Nord America?
Assolutamente sì. In Nord America è molto frequente il famoso bagno con i delfini, o la camminata con animali selvatici pericolosi, carnivori, oppure con rapaci e volatili come i pappagalli. Mentre in Europa (ma per fortuna meno che in America, Africa e Asia) è frequente [l’escursione] con i lupi oppure con gli ungulati: cervi, daini, caprioli. Bisogna assolutamente fare attenzione a quelle che si spacciano per strutture che ospitano animali selvatici per il loro bene, e invece lo fanno per specularci sopra.
In Italia abbiamo più familiarità con altre strutture che non si propongono come centri di recupero, ma hanno animali selvatici: per esempio gli acquari, gli acquapark, i circhi, gli zoo e anche gli spettacoli di falconeria. Come possiamo regolarci in questi casi?
Bisogna innanzitutto distinguere i centri come i bioparchi, gli zoo EAZA (European Association of Zoos and Aquaria, nda.) che fanno un’effettiva conservazione ex situ, fuori dal luogo in cui gli animali dovrebbero vivere; e le strutture come i circhi, i delfinari, o le attività come la falconeria, in cui invece la conservazione non è presente tra gli scopi e gli obiettivi, e l’unico obiettivo è fondamentalmente speculare sugli animali. Chiaramente è un discorso molto ampio che bisognerebbe approfondire; però, per quanto riguarda gli zoo, ovviamente un animale in cattività è meno felice di un animale libero, e questo bisogna dirlo. Da etologa e da ricercatrice nell’ambito della conservazione degli animali, mi però preme dire che in alcuni casi, come gli zoo EAZA (un marchio di qualità per il benessere e la conservazione animale) gli animali non vengono solo esibiti come in vetrina, ma fanno parte di progetti di salvaguardia e di conservazione a più ampio raggio. In moltissimi casi gli animali di alcuni bioparchi vengono addirittura reintrodotti in natura, proprio come se fossero delle vere e proprie strutture di riproduzione ex situ. Cosa diversa sono invece i delfinari, la falconeria e i circhi, in cui l’animale vive a strettissimo contatto con l’essere umano; nel caso dei circhi esibendosi in attività innaturali per il suo repertorio comportamentale. Oltre tutto, appunto nel caso dei circhi, gli animali vengono anche costretti a spostamenti sui treni, estenuanti per la loro fisiologia. Nel caso dei delfinari e della falconeria oltre tutto si aggiunge lo stress per tutto il pubblico che sta lì a guardare l’animale; e c’è un enorme problema di educazione: che cosa imparano i nostri bambini vedendo un animale succube dell’essere umano che obbliga il rapace a volare e poi riappoggiarsi sulla spalla quando finisce lo spettacolo?
Come tante persone ho visto dei video, soprattutto sui social network, di questi animali accarezzati: leoni, ghepardi, gufi, rapaci. Sembrano trarre piacere da queste coccole. È veramente così deleterio interagire con loro?
Per il singolo animale purtroppo ormai parliamo di un individuo “rotto” per l’interazione con l’uomo. Un individuo che purtroppo non potrebbe sopravvivere in natura. Quello che dobbiamo chiederci è se sia giusto. Un leone che vive nel circo, è nato nel circo, è stato strappato a sua mamma per credere che sua madre sia un essere umano, è ovviamente un facsimile di un leone, come dico sempre: è un animale rotto; un leone che magari gradisce i grattini e le coccole, ma dentro di sé, nel suo DNA continua ad avere l’istinto e l’indole innata di un animale selvatico che dovrebbe vivere lontano dall’essere umano, libero in savana. Quindi magari sì, gradiscono le carezze come noi gradiamo i gattini, però chiediamoci se ci farebbe piacere che il primo che passa per strada ci accarezzasse. Ci farebbe piacere essere perennemente obbligati ad un contatto innaturale per la nostra biologia e per la nostra genetica?
Per le persone che comunque si approcciano agli animali selvatici con una comprensibile voglia di dare una mano, c’è qualche forma di volontariato che si può fare senza cadere in queste trappole dei finti santuari?
Certo. In Italia ci sono tantissime possibilità di collaborare con i CRAS, i centri recupero animali selvatici. Sono sparsi in tutto il territorio, almeno uno per provincia. In questi santuari… meglio dire in questi veri centri di recupero, gli animali vengono curati: per esempio una volpe investita, o un merlo che cade dal nido. I volontari si occupano di aiutare i veterinari nel recupero e la riabilitazione dell’animale selvatico. Se possibile (ed è bellissimo tra l’altro) possono assistere e aiutare nella liberazione in natura di questi animali. Quando la liberazione non è possibile, perché l’animale magari è cieco o ha una parte fondamentale della sua biologia danneggiata, il CRAS si occupa di ospitarlo perennemente nella struttura; quindi il volontario si preoccupa ogni giorno di alimentarlo, chiaramente con rispetto della distanza, e attuando una serie di interazioni che siano il meno limitanti possibili. Se invece si vuol fare volontariato all’estero, in Africa, in Asia, in Sudamerica, ci sono molte strutture, purtroppo meno di quelle false, che si preoccupano e si occupano di riabilitare la fauna selvatica. I volontari si dedicano alla cura di questi animali, al rilascio in natura, magari a costruire delle recinzioni antibracconaggio, a mettere delle fotocamere, le “camera trap”; quindi si tratta veramente di essere partecipi della conservazione e non dello sfruttamento degli animali ospitati.
Molte persone obietterebbero che anche cani e gatti sono animali, eppure traggono piacere e benessere dall’interazione con l’uomo. Che cosa si può dire in questo caso?
Cani, gatti, galline, cavalli e maiali sono animali domestici. Sono animali che hanno vissuto con noi migliaia di anni. Nel caso del cane per esempio è un animale domestico che si è co-evoluto con l’essere umano: sono quindicimila anni che ci cammina a fianco. La sua intera genetica, la sua intera biologia è costruita intorno al percorso evolutivo che abbiamo condiviso con lui. In qualche modo il cane non esisterebbe senza l’uomo, e viceversa l’uomo non esisterebbe senza il cane. Si tratta di animali che in natura non esistono: il cane (Canis lupus familiaris) in natura è il lupo (Canis lupus); quindi il cane è una sottospecie del lupo che noi abbiamo plasmato in modo naturale, non artificiale. Questa è la vera differenza: noi abbiamo plasmato il cane in modo spontaneo; è stata una co-evoluzione spontanea. Cosa diversa invece è il leone del circo che è addomesticato, non domestico. Quindi l’indole del leone del circo rimane quella del suo cugino libero in natura; mentre invece l’indole del cane, anche se noi non lo strappiamo alla mamma, è quella di essere docile e vivere con noi. Sono due processi evolutivi di ontogenesi e filogenesi, quindi di crescita del singolo individuo e della singola specie, molto diversi nella loro struttura.