Ecosistema

Tutelato solo su carta. Il Mediterraneo tra inquinamento, plastica e overfishing

Il fact check del WWF denuncia: solo 1,67% delle acque italiane effettivamente sottoposto a tutela. E siamo tra i migliori in Europa

Dieci anni fa a Nagoya, in occasione della decima Conferenza delle Parti della Convenzione internazionale sulla Diversità Biologica, ci si è impegnati globalmente, tra gli altri obiettivi, a proteggere entro il 2020 almeno il 17% delle terre e delle acque interne e il 10% delle aree marine e costiere.
L’Italia sulla carta sta mantenendo i propri impegni tutelando oltre il 19% delle proprie acque territoriali. Tuttavia questa gestione è efficace solo per l’1,67% delle nostre acque.

È quanto rivela un report del WWF dal titolo: “Verso il 2020: fact check sulla tutela del Mediterraneo” diffuso in occasione della COP21 per la Protezione dell’ambiente marino delle regioni costiere del Mediterraneo che si è tenuta a Napoli dal 2 al 5 dicembre.

Su Ecosistema, trasmissione di Earth Day Italia in onda su Radio Vaticana Italia, se ne è parlato con Giuseppe Di Carlo, direttore Mediterranean Marine Initiative del WWF.

 

Secondo il vostro report sulla carta il 19,12% delle nostre acque territoriali è sottoposto a una qualche forma di tutela, quasi sempre tra l’altro con dei precisi piani di gestione in merito. All’atto pratico questa gestione viene effettivamente implementata solo nell’ 1,67% delle acque. Come avete svolto questo fact check e che significato ha il gap che avete riscontrato?
Il fact checking è fondamentalmente basato sui dati che i paesi mediterranei riportano annualmente quindi siamo partiti da dati che sono disponibili pubblicamente, poi il WWF attraverso i propri esperti ha fatto ulteriori analisi per rifinire i numeri.
Va detto che, attraverso la convenzione sulla biodiversità, i paesi avevano preso l’impegno di proteggere almeno il 10% delle proprie acque entro il 2020. Abbiamo quindi una scadenza importante che sta per arrivare ed è per questo che il WWF ha voluto fare questa analisi per chiamare i paesi a dimostrare quali progressi sono stati fatti verso quegli impegni.
Effettivamente qualche progresso è stato fatto. Oggi nel mediterraneo abbiamo circa il 10% delle acque sotto una forma di tutela, tuttavia quando poi si va a guardare più nel dettaglio si vede che effettivamente quella tutela è solo su carta; poi manca una reale gestione delle risorse marine, una gestione efficace che porta alla protezione della biodiversità, a un recupero per esempio delle popolazioni di pesci, che sono poi quegli elementi naturali che supportano una serie di attività economiche e commerciali come come la piccola pesca o il turismo su piccola scala.
L’Italia per esempio protegge circa il 9% nelle proprie acque territoriali, abbiamo alcune buone pratiche, alcuni esempi virtuosi di protezione della biodiversità in alcune aree marine protette, ma purtroppo il sistema di aree marine protette rimane un sistema in difficoltà con un budget annuale molto ridotto, difficoltà a far rispettare le regole e gruppi di gestione delle risorse umane che sono molto limitati.
Il Mediterraneo è un mare particolarmente a rischio. Ogni giorno mettiamo nel mare circa 33.000 bottiglie di plastica, più dell’80% degli stock ittici, cioè delle popolazioni di pesci che peschiamo, sono sovra sfruttati, l’inquinamento è molto alto, c’è la micro plastica, circa il 30% del traffico marittimo globale passa per il Mediterraneo quindi vi lascio immaginare il livello di inquinamento sia del mare che e dell’aria.
C’è urgente bisogno di cambiare passo e di prendere degli impegni un po’ più ambiziosi e delle azioni un po’ più concrete, soprattutto vista di un anno, il 2020, in cui i paesi saranno chiamati a giugno alla conferenza di Lisbona a dimostrare i progressi fatti sia sulla tutela della biodiversità, attraverso la convenzione sulla diversità biologica che citavo prima, ma anche rispetto ai sustainable development goals, gli obiettivi di sviluppo sostenibile che sono stati adottati come un po’ il quadro internazionale all’interno del sistema Nazioni Unite per uno sviluppo sostenibile per il pianeta al 2030.

 

A proposito di aumentare gli impegni. Quelli che sono stati già presi sono stati poi disattesi. Cosa manca per darvi seguito?
La cosa che sicuramente manca di più è l’impegno politico e la volontà politica di vedere la protezione della biodiversità come un’opportunità di sviluppo sostenibile. Si parla molto di sviluppo sostenibile, si parla di energie rinnovabili, ma alla fine le risorse naturali che ci danno la possibilità di arrivare a uno sviluppo sostenibile, che ci danno il cibo che mangiamo e l’aria che respiriamo non sono effettivamente tutelate.
Mancano gli investimenti economici necessari per farlo; gli strumenti ci sono tutti, giuridici, legali, ma anche diciamo di gestione; Manca la volontà di farlo.

 

Come dovrebbe essere gestita un’area marina sottoposto a tutela?
Un’area marina è fondamentalmente un’area cui riconosciuta un’alta biodiversità e che quindi ha bisogno di un certo livello di tutela.
Ci sono diversi livelli di protezione, quindi in diverse zone si possono svolgere diverse attività.
In alcune zone queste attività sono più fortemente limitate, per esempio la pesca non è consentita e non sono consentite altre attività come l’acquacoltura e a volte addirittura l’accesso delle persone. Questo serve per permettere a determinate zone di potersi ripopolare e funzionare da fulcri, nuclei di rigenerazione del mare. Ci sono poi altre zone dove invece sono consentite più attività.
In generale le aree marine protette dovrebbero servire da laboratori di biodiversità che però permettano alle persone e ad alcune attività di poterne fruire come la piccola pesca o il turismo.
Molte aree marine si trovano in zone costiere con piccole comunità che di solito vivono del mare, quindi quella biodiversità va a sostenere l’economia locale.

 

C’è qualche differenza nella sensibilità verso queste tutele da parte di diversi paesi del Mediterraneo? Ci sono paesi più virtuosi e paesi invece meno sensibili?
Sicuramente l’Europa è più avanti nella protezione dell’ambiente. Proprio qualche giorno fa il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione che chiede target ambiziosi e concreti ai paesi membri dell’Unione Europea verso lo sviluppo sostenibile e la protezione di biodiversità.
La maggior parte delle acque protette sta nel nord ovest del Mediterraneo, quindi in Francia in Italia in Spagna, per certi versi in Grecia e in Croazia. Siamo molto indietro in quei paesi che non sono membri dell’Unione Europea, che per certi versi sono anche paesi in via di sviluppo che hanno delle economie più in difficoltà e dove ovviamente c’è una situazione geopolitica più complessa.

 

Il vostro report è stato rilasciato in occasione della COP 21 di Napoli sulla protezione del Mediterraneo. Cosa è successo e che risultati ha prodotto?
La COP21 della convenzione di Barcellona, che è la convenzione ratificata da tutti i paesi del Mediterraneo per la protezione contro l’inquinamento e a favore della biodiversità, è un momento importante. Si sono riuniti a Napoli tutti i paesi del Mediterraneo con l’ambizione di creare un nuovo approccio alla gestione della biodiversità e fissare dei nuovi impegni da qui al 2030 che siano un po’ in linea con quelli che sono oggi gli impegni globali.
Sicuramente ci sono stati dei risultati positivi, citerei l’idea di cominciare a creare una zona che riduca le emissioni di zolfo, che sono le emissioni prodotte dal traffico marittimo; si è inoltre dato il via al processo per il nuovo protocollo sulla biodiversità, si è parlato di fermare inquinamento da plastica.
Quello che è un po’ mancato è il livello di ambizione; come WWF andando alla COP di Napoli ci saremmo aspettati dei target un pochino più ambiziosi e una voglia di cambiamento un pochino più forte.
Si comincia a parlare di sviluppo sostenibile, però abbiamo ancora bisogno di un grosso sforzo per arrivarci da qui al 2030 come previsto dagli impegni presi.

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