Walter Ricciardi, vice presidente dell'Italian Institute for Planetary Health
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Walter Ricciardi: salute e sostenibilità, frontiera della ricerca

Col racconto di un anno di lavoro dell’Italian Istitute for Planetary Health il medico della Cattolica, noto al pubblico per essere stato portavoce del CTS durante l’emergenza Covid, sottolinea l’importanza della ricerca per promuovere scelte alimentari e politiche compatibili con la salute e l’ambiente.

All’inizio dello scorso anno, a Milano, dal consorzio tra l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, è nato un gruppo di ricerca particolare: l’Italian Institute for Planetary Health. Un nome altisonante per un progetto che si avvale dell’apporto di scienziati di grande levatura e diversi gruppi di giovani ricercatori. Uno dei padri nobili dell’iniziativa è Walter Ricciardi, ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica del Sacro Cuore: una personalità che in quest’ultimo anno il grande pubblico ha conosciuto come membro del Comitato Tecnico Scientifico che ha affiancato il Governo per l’emergenza Covid.

Le ricerche dell’IIPH sono mirate a salvaguardare allo stesso tempo la salute dell’uomo e del pianeta, nella convinzione che la tutela dell’ambiente, il benessere dei popoli, l’economia e il progresso scientifico devono procedere nella stessa direzione; e che non si possa lasciare indietro nessuno di questi fattori se non si vuogliono rischiare nuove catastrofi sociali e naturali.

I giovani ricercatori, impegnati dalla Cattolica e dall’Istituto Mario Negri, testano non solo i singoli alimenti e i loro effetti sulla salute; ma anche l’impatto delle abitudini dietetiche di varie culture e aree geografiche, ad esempio sulla longevità o sull’insorgere di malattie. Effetti che ovviamente dipendono anche dal clima, dai fattori genetici e dalle varietà alimentari locali che i diversi popoli hanno a disposizione, e a cui sono culturalmente e biologicamente abituati.

L’intervista che segue è stata trasmessa da Radio Vaticana Italia nel programma “Il Mondo alla Radio” del 15 aprile 2021.

Professor Ricciardi, le ricerche sull’ambiente e sulla salubrità degli alimenti si fanno da sempre; qual è l’originalità della visione che ha portato alla creazione di questo Italian Istitute for Planetary Health?

Quella di unire due grandi tradizioni ed anche due grandi esperienze: quella dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, che ha grande expertise sulla farmacologia e sull’approccio dell’utilizzazione degli alimenti come farmaci; e quella delle tante facoltà dell’Università Cattolica: nel nostro caso il Gruppo di Medicina e di Sanità Pubblica, che si occupa di educazione alla salute, promozione di buoni stili di vita e miglioramento dell’impatto climatico.

In questo primo anno di lavoro dell’IIPH avete avviato 25 progetti nei campi della sostenibilità ambientale e alimentare. Ne può citare qualcuno più rappresentativo, o che accomuni i due campi?

Il “Mario Negri” si è concentrato sulla verifica di alcuni alimenti tipici, sia dell’educazione alimentare italiana sia di altri paesi, per verificare che abbiano proprietà protettive, in particolar modo anticancro. Quindi alimenti che possano essere utilizzati quasi come medicine, sia per prevenire sia per migliorare la salute della popolazione. Nel nostro gruppo ci stiamo occupando invece di “One Health”, cioè di come rendere concreto l’approccio alla “salute unitaria”, umana e animale; e di studiare meglio l’impatto del cambiamento climatico sulla salute del cambiamento climatico nell’ottica della prevenzione. Inoltre stiamo lavorando per migliorare l’educazione al comportamento alimentare.

In un’altra intervista le ho sentito fare un interessante discorso sulle possibili politiche di disincentivazione all’acquisto di alimenti che non fanno bene alla salute. Attualmente si parla di qualcosa di simile nel campo dei trasporti. Ad esempio per accelerare la transizione dai mezzi di trasporto privato con i carburanti fossili a quelli mossi da energie pulite. Come potrebbe applicarsi questo approccio al campo alimentare? Tassando maggiormente il cibo “spazzatura”? o magari abbassando le tasse sui cibi più salutari? Lei crede il nostro sistema economico, politico e sociale sia pronto a pagare il cibo in maniera diversa?

Certamente non è un cammino facile, proprio perché ci sono tanti interessi economici e commerciali che si oppongono per esempio a un’educazione molto più chiara sugli alimenti: a volte equivocando e strumentalizzando tutta una serie di tecniche che vengono elaborate. Non c’è dubbio che i cittadini italiani, come quelli europei, si ammalano sostanzialmente per quattro fattori di rischio: il cibo eccessivo e la cattiva alimentazione sono uno di questi. Per cui bisogna incidere; la Commissione Europea lo ha capito, come lo hanno capito gli scienziati di tutto il mondo. Un caposaldo importante è il “food labeling”, cioè l’etichettatura del cibo, in modo che i cittadini possano capire e orientarsi nella scelta. Poi, certamente, ci sono anche misure come la tassazione; perché si è visto che tassare cibi insalubri ne riduce il consumo. Però contemporaneamente bisogna attivare delle politiche di supporto ed incentivazione per le fasce più povere della popolazione; altrimenti queste vengono penalizzate. È una politica complessa che ha bisogno di una grande leadership, e di strumenti tecnici che la scienza può mettere a disposizione della politica. Noi stiamo lavorando in questo senso.

A proposito del ruolo della Scienza, lei ha fatto parte del dibattito scientifico di quest’ultimo anno in un campo in cui la Scienza è entrata pesantemente: la pandemia. In un’altra intervista lei ha dichiarato: “Oggi non basta pubblicare gli studi e lanciare allarmi”; qual è il nuovo ruolo della Scienza e degli istituti di ricerca?

È certamente quello di mettere a disposizione della politica i risultati delle proprie attività di ricerca, in una maniera più comprensibile. Noi pubblichiamo su riviste scientifiche, e spesso i politici non hanno il tempo o la metodologia per leggere lavori complicati dal punto di vista scientifico. Quindi bisogna renderglieli semplici, capendo che hanno un’agenda diversa da quella della scienza, e la necessità di prendere decisioni in un contesto spesso molto polemico e anche pericoloso per l’impatto delle loro decisioni. Quindi dobbiamo aiutarli scendendo in campo in maniera più decisa. Per molti di noi ciò non è congeniale: molti sono ritrosi rispetto a una telecamera, a un giornale, a un’intervista. Invece bisogna cercare di sforzarsi perché alla fine il risultato è una politica basata sull’evidenza scientifica, che nella stragrande maggioranza dei casi è quella giusta, e non invece politiche basate sulle opinioni che, come si è visto per la pandemia, sono disastrose.

L’altro grande dibattito intorno alla Scienza in Italia è il finanziamento. Come sappiamo la ricerca, soprattutto quella svolta da giovani come nel caso del vostro istituto, ha bisogno di maggiori investimenti sia pubblici che privati; e soprattutto serve la volontà di aprire linee di ricerca innovative. Poco più di un anno fa, al lancio di questo istituto, lei disse che notava interesse sia dal mondo accademico sia da quello economico-produttivo. Conferma oggi questa sensazione? La lezione della pandemia ha cambiato qualcosa?

Confermo che c’è molto interesse. Per altro c’è anche tutta una serie di linee di ricerca finanziate dalla Commissione Europea. Devo dire che le istituzioni europee hanno reagito molto bene: a luglio verrà bandito il più grande stanziamento per la ricerca nella storia dell’Europa. Anche nel mondo imprenditoriale italiano c’è sicuramente interesse. Certo, è un mondo di piccole e medie imprese che spesso hanno difficoltà finanziarie; ed è per questo che c’è bisogno anche del finanziamento pubblico.

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